domenica 28 ottobre 2018

Emilia Romagna: riemerge l'antica Claterna

Ozzano dell'Emilia, alcune delle recenti scoperte archeologiche
(Foto: Maurizio Molinari)
Sono di altissimo valore storico e culturale le recenti scoperte su Claterna, l'antica città che giace a pochi centimetri di profondità lungo la via Emilia, a Ozzano. Un luogo che lentamente sta prendendo forma grazie ai continui scavi. Infatti, durante i lavori di realizzazione della nuova pista ciclabile che collegherà San Lazzaro di Savena e Castel San Pietro Terme, le ricerche, dirette dalla Soprintendenza, hanno intercettato un grande mosaico e potenti strutture proprio nel luogo dove le prospezioni e le foto aeree portavano a supporre l'esistenza di un grande edificio pubblico: probabilmente termale.
Scavi e indagini confermeranno o chiariranno la natura di questa nuova scoperta, alla luce degli ultimi sorprendenti risultati ottenuti dalle ricerche geomagnetiche effettuate dall'Università di Siena, che hanno permesso individuare un foro, il teatro, le domus private e le officine artigianali. Studi che stanno fornendo un quadro completo della città romana.
Ozzano dell'Emilia, gli scavi dell'antica Claterna
(Foto: bolognatoday.it)
La campagna di ricerche che si è appena conclusa ha operato su tre fronti: la domus del fabbro e il teatro, in prosecuzione al progetto 2017-2019, e la ricerca geomagnetica su tutta la pianta della città: una novità assoluta. Nella domus del fabbro le ricerche si sono spinte nella nuova area aperta verso nord, operando più in profondità per raggiungere le fasi imperiali di I-III secolo d.C.. La scoperta più importante è stata quella di un secondo peristilio, un'area cortiliva porticata dotata di pozzo, sulla quale affacciava una cucina. Sono stati scoperti un altro cortile e vari ambienti, questi ultimi intonacati.
Ricerche proseguite anche nel settore del teatro: anche se le indagini sono ancora in corso, va segnalato il ritrovamento di strutture di fondazione della cavea in grandi blocchi di arenaria, molto più profonde e ben conservate di quanto non fosse emerso l'anno scorso. L'esplorazione della parte bassa ha restituito anche materiali lapidei lavorati, come un grosso frammento di cornice, mentre sono iniziate quest'anno le indagini nella zona dell'orchestra e degli ingressi laterali che si trovano più in profondità. La campagna di scavo 2018 ha consentito di avviare anche un progetto sognato da tempo dagli addetti ai lavori, cioè l'esplorazione estensiva della città attraverso le più moderne tecnologie geofisiche, che ha prodotto un quadro quasi completo dell'area urbana e di parte del suburbio. Dati che permettono di capire meglio tutto il comparto pubblico, compresi alcuni edifici mai individuati prima, e la scansione interna del tessuto urbano.
L'area dell'antica Claterna
(Foto: bolognatoday.it)
Claterna nasce nel II secolo a.C. con una duplice funzione: da un lato importante snodo viario all'incrocio fra via Emilia, torrente Quaderna e una via transappenninica (forse la Flaminia minor), dall'altra come centro di mercato e servizi. Nel I secolo a.C. Claterna, come tante altre città italiche, diventa un municipium con competenza sul vasto territorio compreso tra i torrenti Idice e Sillaro. Dopo il periodo di massimo splendore collocabile nella prima età imperiale, la città sopravvive fino alla tarda antichità (V-VI secolo d.C.), seppure notevolmente ridimensionata, per poi venire totalmente abbandonata fino al completo oblio.
Fin dall'Ottocento, l'antica città romana di Claterna è stata un campo d'indagine privilegiato per l'archeologia emiliano-romagnola. L'unicità di Claterna è dovuta al fatto di non aver avuto una continuità storica analoga a quella degli altri centri sorti lungo la via Emilia (da Rimini a Piacenza), e questa assenza di stratificazione ha offerto la possibilità di indagare la città nella sua estensione e configurazione originale, senza le modifiche intervenute nel tempo.

Fonte:
bolognatoday.it

Il vero "padre" della Madonna di San Luca

Roma, la Madonna di San Luca (Foto: Adnkronos.com)
Cambia "padre" la Madonna di San Luca, l'icona di Santa Maria del Popolo di Roma, ritenuta dalla tradizione popolare sin dal tardo Medioevo opera di San Luca. Il restauro dell'icona raffigurante la Madonna con il Bambino, realizzato dai tecnici della Soprintendenza Speciale Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Roma, infatti, ha permesso di cambiare l'attribuzione del capolavoro medioevale. L'opera, quindi, che la critica ha assegnato a un pittore ignoto, definito maestro di San Saba, sarebbe stata creata da Filippo Rusuti, uno dei più importanti mosaicisti e pittori romani attivo tra gli ultimi decenni del Duecento e i primi del Trecento, che firma l'opera verosimilmente entro il 1297.
Il restauro ha portato alla luce un'iscrizione occultata con una spessa vernice nera. Malgrado lo stato frammentario in cui si trova, l'iscrizione può essere riconosciuta come la firma proprio di Filippo Rusuti. L'opera restaurata sarà esposta fino al 18 novembre nel museo Nazionale di Castel Sant'Angelo di Roma, nella mostra "Filippo Rusuti e la Madonna di San Luca in Santa Maria del Popolo. Il restauro e la nuova attribuzione di un capolavoro medioevale romano".
A parlare di una scoperta "sensazionale" è stata la direttrice del Polo Museale del Lazio Edith Gabrielli che ha ricordato: "Le opere medioevali firmate sono pochissime. In questo caso, invece, troviamo la firma di uno dei grandi artisti che calcarono la scena di Roma a cavallo tra il Duecento e Trecento su un'opera famosissima". La novità, per Gabrielli, è il frutto del lavoro di tutela che "mette insieme tre parole che non possono essere disgiunte: ricerca, conservazione e valorizzazione".
A dirigere il restauro è stata Simonetta Antellini della Soprintendenza che ha anche curato la mostra insieme ad Alessandro Tomei, ordinario di storia dell'arte medioevale all'Università Gabriele D'Annunzio di Chieti.
"Conoscevamo Rusuti - ha spiegato Tomei - dal momento che ha lasciato la sua firma sul mosaico della facciata di Santa Maria Maggiore che fu parzialmente occultata da un portico del XVIII secolo progettato dall'architetto Ferdinando Fuga. La Madonna di San Luca fu riferita all'ignoto maestro di San Saba, autore degli affreschi della chiesa di San Saba all'Aventino. Penso che le due opere, la Madonna di San Luca e gli affreschi della chiesa di San Saba, siano da attribuire alla stessa mano, quella di Rusuti".
Tomei ha inoltre ricordato che Rusuti "è stato messo di lato rispetto ai due grandi artisti attivi a Roma alla fine del Duecento, Pietro Cavallini e Jacopo Torriti. Ma questa scoperta aumenta il debito di riconoscenza nei confronti di Rusuti e ci consente di fare una riflessione più ampia su tutta la storia della pittura a Roma nella seconda parte del Duecento". La città "è sempre stata un pò sottovalutata rispetto alla scuola fiorentina ed era considerata una sorta di provincia bizantina dell'Italia Centrale", aggiunge lo studioso. Un ruolo di punta, quello di Roma in quel periodo: "Credo che, anche nella formazione di Giotto, Roma sia stata molto più importante di quanto sia stato l'ambiente fiorentino", conclude Tomei.

Fonte:
adnkronos.com

Gli antichi segreti di Istanbul

Istanbul, lo scheletro trovato nel corso di uno scavo conservativo nei
pressi della stazione ferroviaria (Foto: AA)
Uno scavo archeologico, seguito al lavoro di restauro di un'opera in pietra nei pressi di una fermata della stazione ferroviaria di Istanbul, continua a restituire preziosi reperti storici che possono fare luce sulla storia bizantina della città.
Ultimamente è stato rinvenuto uno scheletro quasi intatto con indosso quella che viene descritta come "una collana profumata" che si pensa abbia circa 1000 anni. Lo scavo ha permesso il recupero di decine di sepolture oltre a 2.000 monete d'oro e d'argento e a diversi ornamenti. Alcune monete risalgono al VI secolo d.C. e recano l'effige di Giustiniano I, mentre altre, datate al VII secolo d.C., presentano il volto di Costantino III.
Un'altra sorprendente scoperta è una fontana di epoca bizantina, unica nel suo genere finora trovata a Istanbul, trovata perfettamente funzionante. Era alimentata grazie ad una serie di tubature trovate anch'esse durante gli scavi. Sono stati trovati anche una sorta di piattaforma di periodo ellenistico, con grappe di ferro e grandi blocchi di pietra quadrangolari ed una grande parete a nord del podio, che ha una larghezza di tre metri e si dipana per almeno 100 metri in modo discontinuo. Gli archeologi ritengono che questa parete, antica di almeno 2000 anni, sia il prolungamento delle mura della città di Calcedonia o, in alternativa, un frangiflutti del porto.

Fonte:
Daily Sabah

Ungheria, il tesoro del Danubio

Ungheria, parte del tesoro ritrovato nel letto asciutto del Danubio
(Foto: Ferenic Isza/AFP)
Un tesoro di circa 2.000 monete d'oro e d'argento è stato trovato in Ungheria, nel letto asciutto del fiume Danubio, nei pressi della cittadina di Erd, a sud di Budapest. Il ritrovamento è avvenuto grazie ad un livello eccezionalmente basso dell'acqua del fiume. Oltre alle monete sono state trovate armi, palle di cannone e spade.
Gli archeologi stanno lavorando alacremente, con l'ausilio di mezzi subacquei e droni, per estrarre dal letto del fiume quanto è possibile prima che il livello dell'acqua torni ad innalzarsi, come è previsto succeda nel corso di questa settimana. Come altri fiumi europei, il Danubio presenta zone dove l'acqua raggiunge livelli minimi in seguito a lunghi periodi di siccità.
Il tesoro appena scoperto comprende ducati e penny e si trovava nel relitto di un'imbarcazione commerciale la cui origine non è ancora nota. Le monete sono al 90% estere e databili ad un periodo compreso tra il 1630 ed il 1743. Sono state coniate nei Paesi Bassi, in Francia, a Zurigo e persino nello stato del Vaticano.

Fonte:
AFP

Gran Bretagna, in restauro il Bagno del Re a Bath

Bath, il Bagno del Re (Foto: Bath & North East Somerset Council)
Il Bagno del Re si trova nel cuore di un complesso architettonico costruito attorno alle sorgenti di acqua calda che si trovano sotto la Grand Pump Room a Bath, in Gran Bretagna. Prossimamente questo complesso sarà pulito e riparato nell'ambito di un programma di cura periodica e di conservazione del tessuto storico del sito.
Il Bagno del Re, per quanto piccolo, si compone di elementi di epoche diverse, ognuno dei quali corrisponde ad una parte significativa della storia del complesso. Ci sono resti romani, medioevali, georgiani, vittoriani ed anche del secolo scorso. Il ponteggio che avvolgerà i bagni durante i lavori di ripulitura permetterà ai conservatori di raggiungere la storica struttura in pietra costruita attorno alla più grande delle tre sorgenti termali di Bath. I visitatori potranno seguire i lavori di restyling attraverso le finestre dei Bagni Romani e la Pump Room.
I conservatori impiegheranno una serie di tecniche ben collaudate per salvaguardare la struttura e le pietre con la quale è stata costruita. Dovranno rimuovere muschi e piccole piante dalla muratura ed utilizzare malta tradizionale per riempire eventuali fessure che si fossero aperte tra gli elementi delle pareti.
Il Bagno del Re venne costruito nel XII secolo attorno ad una sorgente di acqua calda e sulle fondamenta di un precedente edificio romano. Presenta delle nicchie che permettevano ai frequentatori di sedersi restando immersi nell'acqua. Venne modificato nel XVIII secolo con la costruzione della Grand Pump Room e fu utilizzato fino alla metà del XX secolo per bagni curativi. Al suo interno il Bagno del Re ospita una statua raffigurante re Bladud, mitico scopritore delle sorgenti di acqua calda e fondatore della città di Bath.

Fonte:
heritagedaily.com

Torcello, riscoprire il passato

Torcello, lo scheletro emerso durante gli scavi sull'isola
(Foto: Università Ca' Foscari di Venezia)
L'Università Ca' Foscari di Venezia sta scavando, sotto la direzione scientifica dell'archeologo Diego Calaon, sull'isola di Torcello e cominciano ad emergere alcuni protagonisti della sua storia millenaria. Recentemente è stata portata alla luce una sepoltura databile al 700 d.C.
Lo scheletro trovato nella sepoltura appartiene ad un giovane adulto e si trova non lontana da una zona dove gli archeologi ritengono ci fosse un tempo un cimitero ed una basilica cristiana. E' risultato quasi del tutto intatto, fatta eccezione per la testa. Questa potrebbe essere stata danneggiata in tempi recenti da un palo.
Gli scavi archeologici sono iniziati, a Torcello, nel periodo a cavallo tra il 1960 e il 1970, proprio nella zona del cimitero. Sono stati ripresi recentemente con l'intenzione di indagare chi fossero gli abitanti dell'isola, come vivessero e cosa facessero. A tal proposito saranno utilissime le analisi biometriche e quelle del Dna.
La sepoltura è stata scavata in una zona particolarmente interessante in termini di stratigrafia: all'inizio di un canale pertinente un'antica laguna che separa l'isola dove sorge l'antica chiesa di Santa Maria dall'abitato medioevale. Nel tempo il canale venne fortificato con centinaia di pali di legno e questo sta ad indicare una vera e propria "fame di spazio" degli abitanti, che avevano bisogno di case e magazzini.
Lo scavo ha rivelato come sull'isola ci fu una vera e propria esplosione demografica tra l'VIII e il IX secolo d.C.: c'erano molte case costruite in legno, banchine, impianti industriali che hanno restituito centinaia di frammenti in ceramica, tra i quali supporti per la cottura del pane e di dolci, contenitori per olio e vino. L'abitato comprende un gran numero di magazzini costruiti tra il 500 e il 600 d.C., quando Torcello divenne un centro nevralgico all'interno della laguna. I magazzini sono stati edificati con mattoni romani di reimpiego, alcuni con i bolli di fabbrica ben visibili.

Fonte:
sciencedaily.com

sabato 27 ottobre 2018

Croazia, olive antiche di 3500 anni

Croazia, i resti di olive trovati nel mare davanti l'isola di Ricul
(Foto: HINA/Dipartimento di archeologia di Zadar)
Gli archeologi di Zara, in Croazia, hanno esaminato una serie di reperti risalenti all'Età del Bronzo Medio, trovati in mare tra l'isola di Ricul, nel canale di Pasman e la località costiera di Turanj. Tra i reperti vi sono resti di olive risalenti a 3500 anni fa, che sarebbero le più antiche tracce d'ulivo trovate in Croazia.
Il materiale organico è stato ben conservato negli strati marini e questo ha permesso di ricavare diversi dati che sarebbe stato difficile reperire sul terreno. Attualmente è in corso la quinta campagna archeologica subacquea, che ha il compito di cercare un collegamento culturale tra l'isola di Ricul e la posizione dei fondali marini.
Tra gli altri reperti gli archeologi hanno raccolto numerosi pezzi di ceramica preistorica e i resti di quella che sembra essere stata una cinta muraria che doveva proteggere l'insediamento dell'Età del Bronzo da pericoli provenienti dalla terraferma.
Oltre ai semi di oliva gli archeologi hanno rinvenuto noccioli di ciliegie, nonché resti di animali domestici quali capre e pecore. La presenza di macine in pietra indica che la popolazione dell'epoca conosceva la panificazione.
Croazia, gli scavi archeologici nei fondali dell'isola di Ricul (Foto: HINA/Dipartimento di archeologia di Zadar)


Fonte:
croatianweek.com

Straordinari ritrovamenti archeologici in Perù

Due siti archeologici scavati nella località di Marcavalle, nei pressi della città di Cuzco, in Perù, potrebbero essere le più antiche sepolture scavate nel Paese. Si pensa che questi siti sepolcrali risalgano a 3000 anni fa. In una delle sepolture sono stati trovati i resti di un adolescente, sepolto ad appena 40 centimetri di profondità.
Il corpo del giovane era circondato da pietre ed aveva un piatto d'oro vicino alla testa come ornamento. Lo scheletro era disteso nel senso della lunghezza a fianco di una parete di roccia vulcanica. I ricercatori pensano che possa trattarsi delle prime sepolture umane di Cuzco e di tutto il Perù.
Altri scavi sono in corso nella medesima località del ritrovamento. Sono stati rinvenuti, in precedenza, i resti di un alpaca, frammenti di pietre lavorate e di ceramiche decorate, strumenti in osso e tracce di prodotti agricoli.

Fonte:
perureports.com

giovedì 25 ottobre 2018

Mar Nero, il più antico naufragio del mondo

Progetto Black Sea Map, il sorvolo del fondale del mar Nero con
sommergibili robot (Foto: map/Rodrigo Pacheco-Ruiz)
Al largo della costa bulgara del mar Nero è stata rinvenuta una nave mercantile greca risalente a più di 2400 anni fa. Il relitto, a doppia propulsione, vele e remi, ha una lunghezza di 23 metri è stata rinvenuta da un team anglo-bulgaro ed è stato ribattezzato come il più antico naufragio finora ritrovato.
La nave mercantile assomiglia molto ai disegni di navi riportati su vasi per il vino dell'antica Grecia. Sono stati ritrovati intatti il timone, i remi, le panche per i rematori ed anche il contenuto. Il relitto è, dunque, in buone condizioni malgrado il tempo che la nave ha trascorso sott'acqua, a più 2.000 metri dalla superficie marina.
La nave somiglia molto a quella raffigurata dal cosiddetto Pittore della Sirena su un vaso custodito nel British Museum e risalente al 480 a.C. Il vaso mostra Ulisse legato all'albero di una nave a vele mentre oltrepassa l'isola delle sirene, la cui melodia incantava e dannava i marinai.
Al momento il carico della nave rimane sconosciuto, ma si pensa che trasportasse vino. La nave è uno degli oltre 60 naufragi identificati dal progetto di archeologia marittima del mar Nero, tra cui navi romane e una flotta di incursori del XVII secolo. Durante il progetto triennale, i ricercatori hanno utilizzato sistemi di telecamere remote ad acqua specializzate, precedentemente utilizzate nelle esplorazioni offshore di petrolio e gas per mappare il fondale marino.
Il vaso delle Sirene, che contiene la narrazione dell'incontro di Ulisse
con le mitiche Sirene. Il vaso è conservato nel British Museum. La
nave è molto simile a quella ritrovata nel mar Nero.
(Foto: British Museum)
"Un piccolo pezzo della nave è stato datato al carbonio ed è confermato come il più antico naufragio intatto noto all'umanità", hanno affermato i ricercatori in una nota. All'epoca del naufragio il mar Nero era un centro commerciale pieno di colonie greche. L'eccellente stato di conservazione del reperto è dovuto al fatto che, alla profondità in cui giace, l'acqua del mar Nero è anossica, ossia è quasi completamente priva di ossigeno, e questo ha permesso al materiale organico di conservarsi per migliaia di anni.
Jon Adams, responsabile della ricerca nell'ambito del progetto di esplorazione e mappatura del mar Nero, rivela che "il relitto è così ben conservato che è ancora possibile osservare il timone in posizione. Non avrei mai pensato che una nave del mondo classico situata a oltre 2.000 metri di profondità potesse conservarsi praticamente intatta per oltre 2000 anni. Lo studio del relitto promette di cambiare radicalmente le nostre conoscenze sulla costruzione navale e la navigazione del mondo antico".
Stando ad Adams la nave potrebbe essere affondata durante una tempesta di fronte alla quale l'equipaggio, che poteva essere composto tra i 15 e i 25 uomini, non riuscì a fare nulla e non sarebbe da escludere la possibilità che vi siano i loro corpi conservati nei sedimenti circostanti la nave. Al momento non c'è un progetto per riportare il relitto in superficie, in parte per i costi di una tale operazione e in parte perché sarebbe necessario suddividerlo in pezzi.
I ricercatori impegnati nel progetto Black Sea Map hanno rinvenuto reperti anche più antichi della nave greca, ma di questi sono stati trovati solo frammenti. Il luogo dove giace la nave greca è in realtà costellato di relitti: "Nella stessa area ci sono, per esempio, alcune parti di una nave mercantile medioevale, con le sue torri di prua e di poppa ancora praticamente intatte, con il sartiame e tutte le due decorazioni", conclude Adams.

Fonti:
bbc.com
agi.it
focus.it

Pompei, ancora sorprendenti scoperte nella Regio V

Pompei, la scoperta degli scheletri nella casa del giardino
(Foto: ilmessaggero.it)
I resti di cinque persone, probabilmente due donne e tre bambini, sono stati trovati in una camera da letto negli scavi della Regio V di Pompei. Il gruppo si era rifugiato qui quasi sicuramente in un tentativo disperato di sfuggire all'eruzione . "E' una scoperta sconvolgente, ma anche molto importante per la storia degli studi", ha affermato il direttore di Pompei, Massimo Osanna.
Gli scheletri sono stati rinvenuti in una casa dove, recentemente, è emersa un'iscrizione in carboncino che avvalora la tesi che l'eruzione del 79 d.C. che seppellì Pompei si sia verificata nel mese di ottobre e non nel mese di agosto, come finora si era pensato. Questa casa era conosciuta come la "casa del giardino", una casa dove erano in corso lavori di ristrutturazione ma che in parte era ancora abitata. La piccola stanza dove sono stati rinvenuti gli scheletri era affacciata sull'atrio ed era l'unica che aveva resistito alla forza del vulcano.
Per cercare di sigillare la porta, le due donne avevano messo davanti ad essa un mobile, del quale gli archeologi hanno trovato le tracce e fatto il calco. Tutti gli espedienti messi in atto, però, si sono rivelati inutili. I cinque rifugiati hanno trovato una morte orribile, "schiacciati dal crollo del tetto che, alla fine, ha ceduto, o bruciati dalla nube piroplastica, forse una concomitanza di entrambe le cose", ha affermato Osanna.
Pompei, resti umani appena ritrovati (Foto: ilmessaggero.it)
Una moneta di Filippo d'Asburgo, risalente agli anni '30 del Seicento, rinvenuta accanto agli scheletri, testimonia di scavi clandestini avvenuti in quella zona ben prima dell'inizio ufficiale degli scavi di Pompei avvenuto nel 1748. "Scavi che sembrano un saccheggio - riferisce il direttore del Parco. - che dovevano puntare a prendere tutti gli oggetti di valore senza nessuna attenzione per gli scheletri che sono stati in parte rimossi e smembrati". I tombaroli ante litteram avevano scavato un tunnel nella cenere solidificata e una volta all'interno della stanza hanno divelto e portato via tutto quello che hanno potuto, lasciando addosso agli scheletri solo due collanine in pasta vitrea. Lo scempio non è arrivato, però, davanti alla porta della stanza, dove i resti delle vittime sono stati ritrovati intatti, la testa di una donna schiacciata dalle tegole e a fianco i resti di un braccio e delle gambe e di un'altra vittima, mentre sull'altro lato è affiorata una mano ancora con i suoi due anelli, uno in argento e l'altro in ferro. "Un ritrovamento di straordinario interesse - conclude il direttore del Parco - sia per dinamiche eruttive sia per documentazione di scavi in età moderna".

Fonti:
ansa.it
ilmessaggero.it

domenica 21 ottobre 2018

Bulgaria, altre scoperte nella necropoli di Sozopol

Sozopol, una delle sepolture appena scoperte (Foto: Novinite)
Archeologi bulgari e francesi hanno scoperto una straordinaria sepoltura famigliare risalente alla seconda metà del IV e all'inizio del III secolo d.C. durante gli scavi di salvataggio sul versante nord della collina di Budjaka, a Sozopol.
La sepoltura ha una forma rettangolare e le dimensioni di 6,2 x 8 metri. Le pareti esterne sono costituite da massicci blocchi di pietra posti insieme senza leganti. All'interno della tomba vi erano gli scheletri di due donne e di un uomo, probabilmente membri di una ricca famiglia locale. Due delle tombe sono del tipo a cista, in cui l'alloggiamento per il corpo è di forma rettangolare e il rivestimento è in solidi blocchi di pietra. Nella sepoltura centrale vi erano, sparsi, i resti del corredo funebre.
Le pareti della camera sepolcrale sono colorate in rosso. L'analisi dei reperti porta a pensare che chi vi era seppellito era di sesso femminile. Una tomba simile è stata trovata nell'angolo sudorientale della necropoli. In questa sepoltura vi erano i resti di un uomo con un corredo funerario molto ricco, costituito, tra gli altri reperti, da due skyphoi in bronzo e vasi in ceramica quale un oinochoe e dei lekythoi.
I resti di una donna giacevano sulla copertura in pietra della seconda sepoltura, che venne in seguito coperta con un tumulo. Le analisi preliminari delle sepolture fanno risalire la loro costruzione al periodo in cui le città del Mar Nero ed i vicini regni traci furono conquistati dall'impero macedone di Alessandro Magno e del suo successore Lysimachos.
Bulgaria, le nuove scoperte degli archeologi a Sozopol (Foto: Novinite)


Fonte:
archaeologynewsnetwork.blogspot.com
Novinite

Islanda, l'amuleto di Thor

L'amuleto a forma di martello di Thor in pietra arenaria (Foto: Fornleifastofnun Island)
Gli archeologi che stavano registrando dei siti archeologici nella valle di Bjòrsàrdalur, nel sud dell'Islanda, hanno rinvenuto alcuni reperti ancora non datati ma che potrebbero verosimilmente risalire ai primi secoli della colonizzazione dell'Islanda. I reperti sono tornati alla luce tra i resti di una fattoria in fase di esplorazione.
Il sito è stato scoperto da un abitante del posto che vi ha guidato gli archeologi. Tra gli oggetti ritrovati una fibbia e un piccolo oggetto in pietra a forma di martello di Thor. Si tratta del primo oggetto del genere ad essere trovato in Islanda. Si pensa che sia un amuleto che andava portato al collo.

Fonte:
archaeologynewsnetwork.blogspot.com

sabato 20 ottobre 2018

Scoperta una nuova tomba dipinta a Cuma

Uno degli affreschi della tomba scoperta a Cuma
(Foto: E. Lupoli, Jean Bérard Centre)
La città di Cuma, grande due volte la città di Pompei, si trova a 25 chilometri da Napoli, di fronte l'isola d'Ischia, nel parco archeologico dei Monti Flegrei. Gli antichi storici consideravano Cuma la più antica colonia greca del mondo occidentale. Venne fondata nell'VIII secolo a.C. dai greci di Eubea, crebbe rapidamente e prosperò nel corso del tempo.
Negli ultimi anni i ricercatori francesi si sono concentrati su un'area dove sono stati rinvenuti un santuario greco, tracce di strade e una necropoli pluristratificata. Nel corso del II secolo a.C. il paesaggio funerario davanti alla Porta Mediana è caratterizzato dalla presenza di diverse tombe a camera di tipo ipogeo, con volte a botte e facciata monumentale, costruite in blocchi di tufo. L'accesso alle tombe avveniva attraverso un lungo corridoio scavato nella terra (dromos), mentre la porta della camera funeraria  era chiusa da un grande blocco di pietra. I monumenti erano destinati ad accogliere inumazioni plurime, deposte in cassoni o su letti funerari. La tipologia architettonica e i corredi funerari dimostrano l'elevato status sociale dei defunti.
Quest'anno i ricercatori francesi hanno scoperto una nuova tomba riferibile alla stessa tipologia architettonica ma dall'eccezionale decorazione figurata: sulla lunetta in corrispondenza dell'ingresso della camera funeraria, sono ancora visibili, infatti, una figura maschile nuda che sorregge nella mano destra una brocca in argento (oinochoe) e nella sinistra un calice. Ai lati del personaggio sono rappresentati un tavolino (trapeza) e alcuni vasi di grandi dimensioni tra i quali un cratere a calice su supporto, una situla e un'anfora su treppiede. Sulle pareti laterali s'intravedono, verosimilmente, scene di paesaggio. La decorazione è delimitata nella parte alta da un fregio floreale. L'intradosso alla volta è giallo, mentre le pareti al di sotto della cornice e i tre letti funerari sono dipinti di rosso. La qualità delle pitture è eccezionale.
Purtroppo la tomba è stata più volte visitata e pochi sono gli elementi dei corredi recuperati, anche se sufficienti a confermare la datazione. I temi rappresentati sulle pareti della tomba, poco consueti per questo periodo cronologico, offrono nuovi e importanti spunti di riflessione per delineare e ricostruire l'evoluzione artistica della pittura parietale cumana.
E' dal 2001 che Priscilla Munzi, ricercatrice del Centre Jean Bérard (Cnrs - Ecole Française de Rome) e Jean-Pierre Brun, professore del Collège de France, lavorano con la loro équipe per riportare alla luce l'antica necropoli cumana.

Fonti:
heritagedaily.com
adnkronos.com

24 ottobre 79 d.C., eruzione del Vesuvio

Pompei, l'iscrizione che cambia la data dell'eruzione del Vesuvio
(Foto: ilmessaggero.it)
Una scoperta straordinaria è stata fatta a Pompei lo scorso 16 ottobre: è stata ritrovata un'iscrizione in carboncino che cambierebbe la data dell'eruzione del Vesuvio. Fino ad oggi, infatti, si credeva che l'eruzione del vulcano si fosse verificata il 23 agosto del 79 d.C., questa nuova scoperta potrebbe ridatare la distruzione della città di Pompei al 24 ottobre del 79 d.C.
La "scoperta straordinaria", come l'ha definita il ministro dei Beni Culturali Alberto Bonisoli, è stata fatta durante gli scavi della Regio V di Pompei, nell'ambito degli interventi di manutenzione e messa in sicurezza dei fronti di scavo, previsti dal Grande Progetto Pompei. La scritta è datata al sedicesimo giorno prima delle calende di novembre, corrispondente al 17 ottobre. Essendo carboncino, e quindi fragile ed evanescente, che non avrebbe potuto resistere a lungo nel tempo, è più che probabile che si tratti dell'ottobre del 79 d.C., una settimana prima dell'eruzione.
L'iscrizione è stata rinvenuta in un ambiente di una domus in corso di ristrutturazione. Ad inciderla, secondo il direttore generale Massimo Osanna, sarebbe stato un operaio che definisce "buontempone" per il contenuto scherzoso della frase. Massimo Osanna ha poi dichiarato: "E' un pezzo straordinario di Pompei datare finalmente in maniera sicura l'eruzione. Già nell'Ottocento un calco di un ramo che fa bacche in autunno aveva fatto riflettere, oltre al rinvenimento di melograni e dei bracieri".
I dubbi a cui fa riferimento Massimo Osanna sono riferibili al rinvenimento, negli scavi di Pompei, di melograni, che di solito ci sono nel periodo autunnale, di bacche anch'esse autunnali e di bracieri.

Fonti:
tpi.it
ilmessaggero.it

Fourni, l'isola dei naufragi

Grecia, una delle lucerne trovate a Fourni, risalente al II secolo d.C. e
recante il nome del fabbricante, Octavius (Foto: Ministero Greco della Cultura)
Un team greco di archeologi subacquei ha individuato uno dei più antichi cimiteri di navi, con imbarcazioni cariche di ceramiche, tra le quali alcune lucerne di quasi duemila anni fa. Il ritrovamento è stato fatto al largo dell'isola di Fourni, all'incrocio delle due principali antiche rotte marittime, nelle notoriamente infide acque tra le isole di Ikaria e Samos.
I relitti più antichi sono stati datato orientativamente tra il IV ed il II secolo a.C. e tra il V e il VI secolo d.C., mentre il più recente risale al XVIII-XIX secolo, secondo quanto ha dichiarato l'archeologo George Koutsouflakis. I relitti sono stati rinvenuti ad una profondità variabile tra i 10 ed i 40 metri. A causa della collocazione in acque basse sono stati oggetto di saccheggi e di danni da parte delle reti delle imbarcazioni per la pesca.
Le imbarcazioni, in tutto cinque, erano tutte navi commerciali e portano a quota 58 il numero totale dei relitti antichi, medioevali e moderni ritrovati dal 2015 vicino all'isola di Fourni. Due dei 13 isolotti che contornano Fourni portano l'inquietante nome di Anthropofas, mangiatore di uomini, in riferimento ai numerosi naufragi e alle vittime di questi ultimi.
Tra i ritrovamenti fatti dal 2015 ad oggi vi sono anfore per vino, per olio e per prodotti alimentari e, soprattutto, un gruppo di lucerne in terracotta del II secolo d.C., incise con i nomi degli artigiani di Corinto che le hanno plasmate: Ottavio e Lucio. Si trattava, forse, di artigiani slavi che avevano ottenuto la libertà e si erano dati al commercio.

Fonte:
apnews.com

Tracce di insediamento celtico in Svizzera

Svizzera, spilla in bronzo e frammento di ceramica trovati negli scavi ad
Egolzwil (Foto: Kanton Luzern)
Gli archeologi che stanno lavorando nel cantone svizzero di Lucerna hanno scoperto un raro insediamento celtico nella città di Egolzwil, a circa 35 chilometri da Lucerna. Si tratta di una scoperta molto importante.
Il fatto che i Celti vivessero, un tempo, nell'attuale cantone di Lucerna era conosciuto agli studiosi, poiché sono stati trovati dei resti sacrificali là dove un tempo sorgeva un lago. Questa nuova scoperta, però, è eccezionale poiché è la prima traccia di insediamento trovata finora e può gettare finalmente luce sulla storia dei Celti della zona.
Nello scavo sono stati portati alla luce frammenti di ceramica, resti di abitazioni bruciate ed ossa di animali. Si pensa che una spilla in bronzo, anch'essa trovata negli stessi scavi, fosse stata utilizzata, un tempo, per mantenere insieme mantelli o pastrani. Secondo gli archeologi l'insediamento risale al I secolo a.C.

Fonte:
swissinfo.ch

Il misterioso miltos

Miltos del XVI secolo (e) e un campione di controllo di ossido giallo (b)
analizzati dagli scienziati (Foto: E. Photos-Jones)
Scrittori greci e romani parlano di una sostanza chiamata miltos che aveva proprietà sia decorative che medicinali ed era utilizzata nella riparazione delle imbarcazioni. I ricercatori stanno lavorando per scoprire cosa sia questa sostanza e come è composta.
Il miltos pare fosse una sostanza di origine minerale, una polvere che aveva proprietà eccezionali. Secondo scrittori quali Teofrasto, Dioscoride e Plinio, il miltos era rosso, aveva grana fine ed era composto principalmente da ossido di ferro. L'uso del miltos è attestato in tavolette di argilla micenee scritte in lineare B, risalenti al II millennio a.C.
Ampia era la gamma di applicazioni del miltos: era impiegato come pigmento, come cosmetico, nelle riparazioni navali, in agricoltura e in medicina. Proprio questa diversità di impieghi ha incuriosito gli scienziati dell'Università di Glasgow, in Scozia, guidati da Effie Photos-Jones.
Secondo i testi antichi il miltos, a differenza di altri tipi di minerale, si poteva reperire solo in poche località del mondo greco-romano: Kea, nelle Cicladi; Lemno, nell'Egeo nordorientale; la regione della Cappadocia in Turchia. Si tratta, dunque, di quella particolare sostanza rossa, granulosa, che è stata trovata presso i siti minerari.
I ricercatori hanno, dunque esaminato i campioni di miltos là dove sono stati comunemente ritrovati. Il miltos contiene un'elevata percentuale di ossido di ferro, visto il suo caratteristico colore, ma i ricercatori erano curiosi di conoscere anche quali altri minerali lo componevano. Hanno, pertanto, analizzato cinque campioni di miltos: quattro provenienti da Kea ed uno da Lemno, raccolti tra il XVI ed il XVII secolo ed attualmente custoditi nel Museo della Farmacia dell'Università di Basilea, in Svizzera. Non è stato possibile reperire nessun campione di miltos dalla Turchia.
I campioni della sostanza sono stati sottoposti a numerosi test, tra i quali raggi x a diffrazioni, analisi geochimiche, un'analisi che permette di sondare la struttura delle nanoparticelle, il sequenziamento del Dna per individuare componenti microbiologiche ed anche test anti-microbici. Ovviamente non vi è la certezza assoluta che i campioni analizzati siano esattamente uguali, nella composizione, al miltos utilizzato dai greci e dai romani duemila anni fa. L'analisi ha innanzitutto dimostrato che i campioni hanno componenti diversi a seconda della provenienza. Il miltos proveniente da Kea, per esempio, ha livelli di piombo "eccezionalmente alti", il che spiegherebbe un'iscrizione greca del 360 a.C. che stabiliva che il miltos di Kea doveva essere venduto solo alla città di Atene, visto il suo valore non solo decorativo ma anche utile nella riparazione delle imbarcazioni. La polvere, infatti, una volta mescolata in un materiale biologico, acquisterebbe proprietà antincrostazione, impedendo la crescita di colonie batteriche sugli scavi delle navi. Un altro campione, sempre proveniente da Kea, contiene alti valori di zinco, arsenico e rame, che lo rendevano un ideale ingrediente per proteggere le imbarcazioni dall'attacco di biocidi.
Nella letteratura greca come in quella romana si fa spesso riferimento all'utilizzo del miltos nelle aziende agricole. Gli usi sono diversi ma per la maggior parte sono indirizzati a scongiurare le malattie delle piante. Talvolta il miltos era applicato direttamente alle radici degli alberi come fertilizzante e le analisi moderne hanno confermato le proprietà della misteriosa polvere.
Anche se l'esistenza dei batteri era del tutto sconosciuta nel mondo classico, ci sono diversi riferimenti all'uso del miltos nel trattamento di malattie o ferite, un uso che rende questa sostanza simile ad un antibatterico. Nel campione di miltos proveniente da Lemno, per esempio, sono state trovate tracce di biossido di titanio, un noto composto antibatterico. Per converso il miltos contenente alte percentuali di piombo non era particolarmente efficace, poiché questo minerale è molto tossico. Altri campioni sono stati testati e trovati efficaci contro i batteri Gram-positivi e Gram-negativi. Questo non fa che confermare quanto è stato tramandato dagli antichi scrittori, vale a dire che non tutti i miltos erano uguali.
Lo scrittore antico Teofrasto, nei suoi scritti, parla anche di una sorta di miltos artificiale, ottenuto riscaldando ocra gialla fino a quando questa non acquista un colore rosso. Ma il risultato è un materiale di scarsa utilizzazione. Probabilmente questo falso miltos era utilizzato come pigmento.

Fonte
cosmomagazine.com

giovedì 18 ottobre 2018

La palestra di Eretria

Eretria, la palestra appena scoperta (Foto: iefimerida)
Nella località di Eretria, sull'isola di Eubea, in Grecia, è stato scoperto un nuovo edificio pubblico dalla Swiss School of Archaeology, sotto la supervisione dell'Eforato per le antichità di Evia, con a capo Angeliki Simosi.
Il sito è stato scoperto nel 1917 dall'archeologo greco Constantine Kourouniotis, ma è stato necessario un secolo per avviare i primi scavi diretti a riportare alla luce l'antico edificio che si pensa essere stato una palestra, che può fornire utili informazioni sull'attività sportiva nell'antica Grecia.
Nella parte nordoccidentale della palestra era presente un santuario dedicato ad Ilizia, dea greca del parto e dell'ostetricia in genere. Nel 1917 Kourouniotis aveva scoperto, nella stessa zona, una sorgente d'acqua con un centinaio di tazze in ceramica risalenti al III secolo a.C.
Eretria, tazze in ceramica rinvenute nel 1917 accanto ad una sorgente (Foto: greece.greekreporter.com)

Fonte:
greece.greekreporter.com

Bulgaria, scoperte sull'isola di San Giovanni

L'iscrizione su pietra recante un decreto della città di Apollonia Pontica sulle
relazioni esistenti tra i cittadini di questa colonia e quelli di Eraclea Pontica
(Foto: Archaeology in Bulgaria)
Un raro e antico documento, un decreto dell'Assemblea dell'antica colonia greca di Apollonia Pontica, è stato scoperto negli scavi sull'isola di San Giovanni in Bulgaria. Questo documento fornisce notizie di prima mano sui legami intercorrenti tra la città di Apollonia Pontica ed altre antiche colonie greche che popolavano, un tempo, l'attuale Turchia. L'isola di San Giovanni fa parte del territorio della città di Sozopol, nota per il suo patrimonio archeologico, storico e culturale.
L'isola è conosciuta soprattutto per la scoperta delle reliquie di Giovanni Battista, fatta nel 2010 dalla Professoressa Kazimir Popkonstantinov. Nel 2015, inoltre, è stata trovata una tomba che, con tutta probabilità, conteneva i resti del fondatore del monastero di San Giovanni, un monaco siriano che aveva portato le reliquie di Giovanni Battista fino nell'attuale Bulgaria.
L'isola di San Giovanni si trova a circa 900 metri dalla terraferma. Il decreto dell'Assemblea di Apollonia Pontica, risalente al III secolo a.C., è stato scoperto durante gli scavi di quest'anno, tra le rovine del monastero paleocristiano e bizantino dedicato a San Giovanni Battista. Il decreto è stato inciso su una lastra di marmo portata dalla terraferma sull'isola. Probabilmente si trovava, prima, all'interno di un santuario pagano e venne riutilizzato nella costruzione del monastero nel medioevo.
Bulgaria, l'isola di San Giovanni (Foto: Wikipedia)
La maggior parte dei documenti di Apollonia Pontica erano trascritti su papiri e conservati negli archivi della città. Solo i decreti che concedevano la cittadinanza onoraria e i privilegi alle persone che avevano contribuito al bene della città erano iscritti su marmo. Queste iscrizioni venivano solitamente collocate nei santuari o nelle piazze delle città, in modo da essere letti da tutti.
Secondo l'epigrafista Sharankov, il decreto recentemente scoperto è ancora più prezioso in quanto getta luce sulle relazioni dell'antica Apollonia Pontica con un'altra città del Mar Nero, chiamata Eraclea Pontica, attualmente conosciuta come Karadeniz Eregli, nella parte asiatica della Turchia. Il decreto enumera i contribuiti dati dai cittadini di Eraclea per il benessere della città di Apollonia Pontica e propone di attribuire ai primi i più alti onori. L'elenco dei riconoscimenti e dei privilegi, purtroppo, sono per la maggior parte andati perduti.
I cittadini di Eraclea Pontica sono diventati rappresentanti onorari della propria città ad Apollonia Pontica, hanno visto riconosciuto il diritto di acquistare proprietà immobiliari e ad intrattenere scambi senza l'aggravio di tasse ed imposte, di non aspettare il loro turno nelle questioni giudiziarie, potevano avere un posto in prima fila al teatro e così via. Una copia di questo importante decreto era inviato nella città natale di Eraclea Pontica.
L'iscrizione appena scoperta reca anche la prova che doveva esistere, sull'isola di San Giovanni, un grande santuario pagano eretto molto tempo prima della costruzione della chiesa e del monastero cristiano. Questo tempio era, molto probabilmente, dedicato ad Apollo, la principale divinità protettrice di Apollonia Pontica (attuale Sozopol).

Fonte:
arcaheologyinbulgaria.com

sabato 13 ottobre 2018

Lugnano in Teverina, la tomba della bambina

Lugnano in Teverina, la sepoltura della bambina appena scoperta
(Foto: umbria24.it)
Custodisce i resti di una bambina di 10 anni la tomba rinvenuta nell'area archeologica di Poggio Gramignano a Lugnano in Teverina. La tomba presenta al suo interno il corpo della bambina con la bocca aperta e una pietra collocata nel suo interno.
Il rinvenimento è avvenuto durante la campagna di scavi nello scorso luglio ad opera di una equipe di archeologi statunitensi guidata da David Soren, dell'Università dell'Arizona, che per primo scoprì la necropoli dei bambini. Le operazioni sono state condotte da ricercatori della Yale e della Stanford University, in collaborazione con la Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio dell'Umbria e il Comune di Lugnano in Teverina.
Secondo gli esperti, rende noto l'amministrazione, la presenza della pietra nella cavità orale della bambina farebbe ricondurre ad un rito legato presumibilmente all'epidemia di malaria che infestò, alla metà del V secolo d.C., l'area dove oggi sorge Lugnano. Una tesi che si riallaccia a quella che vuole la desistenza nell'avanzare di Attila che durante la sua campagna di conquista verso Roma si imbatté proprio nella presenza della malaria. A questo sarebbe dovuta la sua decisione di non avanzare oltre.
A Poggio Gramignano gli archeologi scavano da tre anni sui resti di un'antica villa di epoca romana, riportata alla luce proprio dall'Università dell'Arizona dal 1988 al 1993. Alcuni ambienti furono riutilizzati alla metà del V secolo d.C. come cimitero di bambini, dove sono stati trovati i resti di 47 infanti, molti dei quali morti a causa di un ceppo di malaria. Il plasmodium falciparum provocò numerosi decessi in poco tempo.
Oltre ai materiali fittili e ceramici e ai resti delle strutture murarie crollate, gli strati scavati dal 2016 ad oggi hanno restituito un'abbondante presenza di ossa animali. L'analisi preliminare di questi reperti mostra una popolazione animale composta in ampia misura da animali domestici, allevati per la carne, specialmente il maiale e il pollo, e individui giovani o quasi adulti. Sembra interessante la presenza di resti di cani fra cui risultano ossa di cucciolo, forse correlati in qualche modo alle sepolture rinvenute nei precedenti scavi archeologici.
Fonti:
umbria24.it
terninrete.it
umbriaon.it

Gerusalemme anche 2000 anni fa era chiamata Yerushalayim

Gerusalemme, la stele con la scritta Yerushalayim in antico ebraico
(Foto: il Foglio)
I ricercatori affermano di aver trovato il primo riferimento noto alla città di Gerusalemme, scritto in un ebraico uguale a quello attualmente utilizzato, su una stele di 2000 anni fa rinvenuta in Israele. Il reperto è stato rinvenuto da alcuni operai che stavano lavorando alla costruzione di una strada vicino Binyanei Ha'Uma.
Sulla stele è inciso: "Hananiah figlio di Dodalos di Yerushalayim". Si pensa che questa stele fosse eretta come parte di un edificio in un villaggio di vasai. In ebraico antico il nome di Gerusalemme è riportato solitamente come Shalem. Sulla stele, invece, si legge "Yerushalayim". Non è stato trovato alcun riferimento simile precedentemente. L'unico riferimento a "Yerushalayim" è stato rinvenuto su una moneta.
"Le iscrizioni risalenti al primo e secondo Tempio che recano la menzione di Gerusalemme sono abbastanza rare", ha detto Yuval Baruch, archeologo della Israel Antiquities Authority. "Ma unica è l'ortografia completa del nome della città come lo conosciamo oggi, che appare di solito nella versione abbreviata".
Danit Levy, che ha guidato lo scavo, ha affermato che l'area era popolare, al tempo del regno di Erode il Grande, per i suoi laboratori di ceramica ed i forni per la cottura del vasellame. Il riferimento a Dudolos, trovato sulla stele, potrebbe essere un omaggio ad un artista greco.

Fonte:
upi.com

Egitto, la tomba di Kaires, amico unico del faraone

Egitto, la statuetta del sacerdote Kaires da Abusir
(Foto: Istituto Ceco di Egittologia)
In Egitto, accanto alla piramide di Abusir, sono stati scoperti i resti di una tomba appartenente all' "amico unico" di un faraone. All'interno sono stati trovati i resti di una piccola cappella e la sepoltura vera e propria. Quest'ultima è stata visitata dai ladri già in tempi antichi, tuttavia gli archeologi hanno trovato i resti di una statua con iscrizioni che fanno riferimento ad un sacerdote di nome Kaires, che era "l'amico unico del faraone" e il "custode del segreto della casa".
Gli archeologi non sono ancora sicuri riguardo al nome del faraone a cui le scritte fanno riferimento. Ci sono degli indizi: il complesso sepolcrale era nei pressi di una piramide appartenente al faraone Neferirkara (2446-2438 a.C.); i titoli reali incisi sulla statua riportano che Kaires era "ispettore dei sacerdoti che servono nei complessi delle piramidi" di Userkhau e del suo predecessore Sahure.
La statua riporta anche altri importanti titoli attribuiti a Kaires: "sorvegliante di tutte le opere del faraone" e "il più importante della casa della vita", che era una sorta di biblioteca nella quale venivano custoditi i papiri contenenti notizie sulle materie più disparate.
Kaires doveva godere di un'alta considerazione, a giudicare dalla sua sepoltura, piuttosto elaborata. Venne sepolto, infatti, in un luogo riservato esclusivamente ai membri della famiglia reale ed ai più alti dignitari di stato. La sua cappella presenta blocchi di basalto, una cosa piuttosto insolita, visto che solo i faraoni erano autorizzati ad utilizzare il basalto nella costruzione delle loro sepolture.
Anche se nella tomba di Kaires è stato rinvenuto il suo sarcofago, la mummia non è stata ancora trovata. Gli scavi sono, tuttavia, in corso. Ad operare sul sito è una missione dell'Istituto Ceco di Egittologia della Charles University di Praga, guidati da Miroslav Barta, professore presso lo stesso Istituto.

Fonte:
livescience.com

Bulgaria, scoperta chiesa con affreschi del XIII secolo

Bulgaria, frammento di un affresco della nuova chiesa scoperta nella
fortezza di Trapesitsa (Foto: Yantra Dnes Daily)
E' stata scoperta, nella fortezza di Trapesitsa, una delle cittadelle della medioevale Tarnovgrad (odierna Veliko Tarnovo), in Bulgaria, una chiesa risalente al XIII secolo contenente resti di affreschi raffiguranti il Cristo. Si tratta della ventitreesima chiesa medioevale scoperta sulla collina fortificata di Trapesitsa.
Questo edificio religioso è unico per una serie di motivi tra i quali il fatto che gli affreschi superstiti rappresentano figure umane, oltre all'immagine del Cristo Pantocratore. Si tratta dei primi affreschi medioevali rinvenuti a Trapesitsa. La chiesa è adiacente, dalla parte interna, alle mura della fortezza.
La fortezza di Trapesitsa è stata una delle due principali cittadelle, con la fortezza di Tsarevets, della cittadina medioevale di Tarnovgrad, capitale del secondo impero bulgaro (1185-1396/1422), fino alla conquista degli Ottomani nel 1393. Di queste due cittadelle, la più studiata è la fortezza di Tsarevets, in parte restaurata tra il 1930 e il 1980 ed attualmente tappa di molti tour turistici. La maggior parte della fortezza di Trapesitsa, invece, deve essere ancora studiata dagli archeologi.
La nuova chiesa è stata scoperta da un gruppo di ricercatori guidati dal Professor Konstantin Totev, dell'Istituto Nazionale di Veliko Tarnovo e del Museo di Sofia. Si trova nei pressi del muro occidentale della fortezza, accanto a quella che un tempo era una torre o un bastione ancora in corso di scavo. I frammenti superstiti degli affreschi che ricoprivano le pareti della chiesa risalgono al XIII secolo, quando l'edificio venne eretto, e sono stati attribuiti alla scuola di pittura medioevale di Tarnovo. Si tratta, a detta degli archeologi degli affreschi più belli e raffinati finora scoperti nella fortezza.
La chiesa è larga 4 metri e lunga dieci ed è stata scoperta durante gli scavi di una sezione di terreno di 40 metri lungo la parete occidentale della fortezza. All'inizio gli archeologi hanno incontrato sepolture e macerie edilizie, in un secondo tempo sono state portate alla luce le fondamenta dell'edificio religioso. Secondo gli archeologi quella appena rinvenuta doveva essere una parrocchia che serviva commercianti e artigiani del vicino quartiere. 

Fonte:
archaeologyinbulgaria.com

Giordania, scoperto un antico villaggio preistorico

Giordania, resti di un contenitore in argilla trovati negli scavi di
Munqata'a (Foto: Università Jagellonica di Cracovia)
Gli archeologi dell'Università di Cracovia hanno scoperto un insediamento neolitico nel sud della Giordania. La scoperta è stata fatta in una parte montagnosa del territorio giordano mai esplorato prima. Si tratta di Munqata'a, l'insediamento più orientale associato al tardo Neolitico finora rinvenuto. Il responsabile della spedizione è il Professor Piotr Kolodziejczyk.
L'insediamento presenta dei muri in pietra che circondavano un edificio di una certa importanza, forse un tempio o la casa di qualcuno molto in vista nella comunità dell'epoca. Intorno alle mura gli archeologi hanno trovato molti manufatti quali smerigliatrici, punte di freccia, un'enorme quantità di ceramica come vasi utilizzati, con tutta probabilità, per lo stoccaggio delle merci.
Il luogo del ritrovamento si trova in una regione montagnosa di non facile accesso. La discesa a valle è garantita solamente da un ripido sentiero, che è stato quello che hanno dovuto percorrere gli archeologi per trasportare attrezzature, cibo e rifornimenti idrici. A valle si ritiene che si sia sviluppata, un tempo, una fiorente pastorizia.
Gli archeologi polacchi stanno conducendo dal 2017 ricerche sia presso Munqata'a che presso un altro sito, Faysaiyya, nel deserto vicino Shawbak, dove esisteva un insediamento ed un centro economico. Sono stati trovati muri in pietra, degli ambienti e altre strutture risalenti all'Età del Rame (Calcolitico).

Fonte:
scienceinpoland.pap.pl

Akrotiri, importanti scoperte sull'antica civiltà cicladica

Akrotiri, il piccolo santuario in argilla contenente una statuetta femminile
appena ritrovato (Foto: greece.greekreporter.com)
Le ricerche in corso ad Akrotiri, sull'isola di Santorini, stanno lentamente rivelando un luogo deputato allo svolgimento di rituali religiosi, un importante edificio pubblico con affreschi e decorazioni al confine meridionale dell'insediamento.
Secondo gli archeologi, i reperti rinvenuti sono sicuramente da collegarsi alle convinzioni religiose dell'antica società che abitava Thera - il nome ufficiale di Santorini - e pongono domande sul tipo di culto che veniva praticato e sulla religione che veniva seguita da questa popolazione dell'Egeo preistorico.
Secondo un comunicato del Ministero della Cultura, durante gli scavi di Akrotiri, diretti dal Professore Emerito Christos Doumas, all'interno di un importante edificio pubblico conosciuto con il nome di "Casa di Thrania", dove nel 1999 è stata rinvenuta una statuetta d'oro raffigurante una capra, ora al Museo preistorico di Thera, è stata trovata un'urna di argilla accanto ad una serie di corna. Sono state trovate anche una serie di piccole anfore e piccoli santuari rettangolari in argilla.
Una volta ripulito, uno dei santuari in argilla, ha rivelato una figurina femminile in marmo, protocicladica, disposta diagonalmente nella parte inferiore del santuario. Del gruppo di santuari in argilla trovati nell'angolo sudest del sito, tre sono stati completamente recuperati, insieme a vasi in argilla e vasi in marmo precicladici e ad un vaso in alabastro.
Akrotiri, i piccoli santuari di argilla rinvenuti nel sito (Foto: greece.greekreporter.com)


Fonte:
greece.greekreporter.com

sabato 6 ottobre 2018

Giordania, scoperta una straordinaria sepoltura

Giordania, affresco raffigurante il sito di Capitolias con Dioniso e altre
divinità (Foto: Julien Aliquot/HiSoMA 2018)
E' stata portata alla luce, nel nord della Giordania, una tomba dipinta di epoca romana. Un documento straordinario dei riti religiosi, della politica e della storia sociale che è stato esaminato da tre storici ed epigrafisti che stanno cercando di darne una spiegazione ed un'interpretazione.
La tomba dipinta, che si trova nell'antica città di Capitolias, fondata alla fine del I secolo a.C., è stata scoperta grazie a dei lavori stradali. Si compone di due camere funerarie e contiene un sarcofago di basalto molto grande. E' in ottimo stato di conservazione, anche se porta i segni della visita di tombaroli. E' parte di una necropoli situata ad est di un imponente teatro recentemente portato alla luce.
Giordania, affresco raffigurante Zeus tra le Fortune di Capitolias e di
Cesarea Marittima 
(Foto: Julien Aliquot/HiSoMA 2018)
Capitolias era una città facente parte della Decapoli, una regione che raggruppava città ellenizzate nella zona sudorientale del Vicino Oriente, tra Damasco ed Amman. Molte sono le cose notevoli in questa sepoltura di 52 mq di superficie, a cominciare dal numero impressionante di figure: quasi 260, tra le quali dèi, esseri umani e animali, dipinti sulle pareti della camera più grande. Altre sepolture romane della Decapoli presentano sontuose decorazioni a tema mitologico, ma nessuna di loro può essere paragonata alla scoperta attuale. Qui le figure compongono una narrazione disposta su entrambi i lati di un affresco centrale, rappresentante un sacrificio offerto da un officiante alle divinità tutelari di Capitolias e Cesarea Marittima, il capoluogo di provincia della Giudea.
Chi ha avuto la fortuna di entrare per primo nella tomba ha potuto vedere un vero e proprio banchetto di divinità sdraiate su triclini e un susseguirsi di vivande portate da esseri umani. A sinistra dell'ingresso un secondo affresco con un paesaggio campestre con contadini impegnati a lavorare la terra con l'aiuto di buoi, scene di raccolta di frutta e di vigne. Un altro pannello affrescato ritrae boscaioli che stanno abbattendo diverse specie di alberi aiutati dagli dèi. Si tratta di un soggetto molto raro nell'arte greco-romana.
Giordania, affresco raffigurante due scalpellini all'opera(Foto: Julien Aliquot/HiSoMA 2018)
Non meno rara, a destra dell'ingresso, è un grande affresco che illustra la costruzione di un bastione, con architetti ed operai che lavorano fianco a fianco, trasportando materiali a dorso di cammeli o asini, affiancati da tagliatori di pietra e muratori. Questa raffigurazione di un vero e proprio cantiere è seguita da un ultimo affresco, in cui un sacerdote offre un sacrificio in onore alla divinità tutelare della città.
Sul soffitto compaiono le più classiche scene con il Nilo e il mondo marino, in cui ninfe cavalcano animali acquatici affiancate da amorini. Al centro un medaglione con i segni dello Zodiaco e i pianeti che circondano una quadriga.
Ancora più particolari ed originali sono le iscrizioni che accompagnano le scene. Si tratta di circa 60 iscrizioni in inchiostro nero, una parte delle quali sono state già decifrate, scritte nella lingua locale, l'aramaico, scritto con lettere greche. Questa combinazione di due idiomi primari nell'antico Vicino Oriente è estremamente rara e aiuta ad identificare meglio la struttura e l'evoluzione dell'aramaico. Le iscrizioni sono molto simili alle bolle utilizzate oggi nei fumetti, poiché servivano a descrivere le attività dei personaggi che danno spiegazioni di ciò che stanno facendo.
Per quanto riguarda il significato di tutta questa composizione iconografica, i ricercatori sono inclini ad interpretarla come le diverse fasi della costruzione di Capitolias: la consultazione delle divinità sulla scelta del sito durante un banchetto, l'innalzamento di un muro, un rendimento di grazie alle divinità dopo la costruzione della città. In questo caso il defunto deposto nella tomba potrebbe essere la persona rappresentata mentre officia nella scena del sacrificio dell'affresco centrale, forse il fondatore stesso della città. Il suo nome non è stato ancora identificato, ma potrebbe essere inciso sull'architrave della porta e non essere stato ancora cancellato.

Fonte:
news.cnrs.fr

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Turchia, l'iscrizione di Antioco di Commagene (Foto: AA) Un'iscrizione trovata vicino a Kimildagi , nel villaggio di Onevler , in Tu...