domenica 26 novembre 2023

Turchia, scoperta una lussuosa domus con splendidi pavimenti musivi

Turchia, dettaglio del mosaico pavimentale scavato di
recente (Foto: Sercan Kucuksahin/Anadolu)

Gli scavi archeologici nel distretto di Incesu, nella provincia di Kayseri, nell'Anatolia Centrale (Turchia) hanno portato alla luce il mosaico pavimentale più grande della Cappadocia.
Il pavimento musivo misura ben 600 metri quadrati ed è stato scoperto all'interno di una villa che si pensa risalga al IV secolo d.C. La ricerca, in corso da tre anni, è stata condotta dall'Università Nevsehir Haci Bektas Veli.
Gli archeologi pensano che la villa risalga all'epoca romana e bizantina. Venne sicuramente utilizzata per diverso tempo dopo l'arrivo dei Turchi in Anatolia. Il complesso abitativo poteva contare ben 33 stanze distribuite su una vasta area. Ciascuna di queste stanze aveva mosaici pavimentali di grande valore, ad indicare che la struttura era una residenza di alto livello.
Nelle iscrizioni è stato individuato il nome di Hyacinthos, che gli studiosi ritengono appartenere ad un amministratore che doveva abitare nella villa. Kayseri sorse sulle fondamenta di un'antica città conosciuta come Mazaca, tappa fondamentale lungo le rotte commerciali tra la colonia greca di Sinope e l'Eufrate. Nel IV secolo, la provincia faceva parte del fiorente panorama culturale dell'Anatolia, che prosperò durante il dominio romano. Sempre nello stesso periodo, Kayseri era un importante centro della cristianità ed ospitava un importante complesso monastico costruito da San Basilio Magno, che, purtroppo. non è stato rinvenuto.
Gli scavi archeologici hanno interessato un'area di circa 4.000 metri quadrati. Sono state trovate anche tracce risalenti al III secolo ed oltre e tracce di diverse civiltà. Un'iscrizione latina indicava, per esempio, una sala principale per i ricevimenti e diverse iscrizioni greche.
Al momento gli scavi sono ancora in corso, visto che non si è ancora raggiunto il limite di questa grandiosa residenza privata. Si sa che c'erano molte proprietà imperiali nella Cappadocia durante il periodo romano e bizantino.

Fonti:
news.artnet.com
finestresullarte.info

sabato 25 novembre 2023

Pompei, un askos servile, i Romani e il vino

Pompei, l'askos servile trovato nel Parco
Archeologico (Foto: stilearte.it)
Un vaso antico (un askos bronzeo a ventre allungato) originariamente utilizzato per mescere vino, è stato rinvenuto nel corso degli scavi presso la Villa suburbana di Civita Giuliana, sul pavimento di una stanza del primo piano del quartiere servile. Lo annuncia il Parco Archeologico di Pompei. Non siamo, probabilmente, in un'area per schiavi, ma in un punto in cui abitavano i capi della servitù che lavorava nella villa.
Il contenitore rinvenuto ricorda vagamente la forma di un'anatra ed è dotato di un manico leggiadro ed ergonomico che consentiva di dosare perfettamente la mescita di vino.
La civiltà romana è stata notoriamente ricca di tradizioni e stili di vita sofisticati e il consumo del vino occupava un ruolo centrale nella società. La bevanda era considerata parte integrante del tessuto sociale, utilizzata in vari contesti e celebrata durante eventi importanti.
I Romani erano maestri nella coltivazione della vite e nella produzione del vino. Le regioni come la Campania, la Sicilia e la Gallia erano famose per la qualità delle loro uve.
I Romani producevano e consumavano una vasta gamma di vini. Il posca era una bevanda popolare tra i soldati romani, una miscela di vino diluito con acqua e una punta di aceto. Possiamo immaginare che fosse qualcosa di simile a un lambrusco secco all'ennesima potenza. Una punta asprigna, con acqua fresca, rendeva la miscela molto dissetante.
Il mulsum era, invece, un vino aromatizzato con miele, spesso servito durante i banchetti e che risultava gradevole perché possiamo immaginare che molti vini romani dovevano essere molto tannici e corposi, con un fondo denso e amarognolo.
Il conditum era un vino speziato arricchito con miele, pepe e altre spezie. Qualcosa che poteva avere un sapore che si colloca a metà tra la sangria e il vin brulé.
Il vino era centrale durante i banchetti romani, noti come convivia. Questi eventi erano caratterizzati da abbondanza di cibo e vino, con gli ospiti sdraiati sui triclini a godere della compagnia e dei piaceri della tavola. Il padrone di casa svolgeva spesso il ruolo di simposiarca, responsabile di mescere e diluire il vino.
I Romani utilizzavano una varietà di utensili per bere il vino. Le coppe, come le celebri calix o scyphus, erano spesso elaborate e variamente decorate. L'aggiunta di acqua al vino era una pratica comune, non solo per ridurre la gradazione alcolica, ma anche per permettere una lunga e piacevole consumazione.
Sino a qualche anno fa, in Italia, permaneva l'espressione arcaica "mescere il vino" inteso come l'atto di versare il vino nel bicchiere. Si parlava anche di "mescita di vino" per indicare un locale in cui veniva servita questa bevanda con alcuni stuzzichini quali pezzi di formaggio molto forti. Mescita deriva dal verbo "mescere" che, a sua volta, trae origine dal latino "miscere", che non significa tanto versare quanto "mescolare". Il significato di "mescere il vino" è legato all'antica pratica romana di mescolare il vino con acqua prima di berlo. Questa usanza aveva lo scopo di diluire il vino, rendendolo meno denso e più adatto al consumo durante i pasti e i banchetti.
Il vino miscelato era considerato più adatto all'accompagnamento dei pasti. La pratica rispondeva alla concezione romana di un pasto equilibrato e armonico, in cui il vino non doveva essere troppo pesante. I vini troppo tannici possono peraltro, in alcuni soggetti, rendere difficoltosa la digestione.
Mescere il vino era considerato un gesto raffinato e di buon gusto. Mostrava l'attenzione del padrone di casa per il comfort dei suoi ospiti ed era un segno di ospitalità.

Fonte:
stilearte.it


Tarquinia, i tesori delle sepolture di Carcarello

Tarquinia, orecchini rinvenuti nel nuovo scavo
(Foto: stilearte.it)
A Carcarello, nelle vicinanze di Tarquinia, sono stati compiuti scavi archeologici preventivi in concomitanza con la costruzione di un impianto a pannelli solari. Ciò che è emerso durante queste indagini è un tesoro storico: una necropoli dell'epoca imperiale (II-IV secolo d.C.).
Il lavoro di scavo, condotto con cura dalla società Eos Arc S.r.l., tra marzo ed aprile 2023, ha portato alla luce ben 57 sepolture di vario tipo. Tra queste, spiccano tombe a cappuccina, sepolture in anfora, casse funerarie in muratura e semplici fosse terragne. Ciò che rende particolarmente significativo questo ritrovamento è la presenza di corredi funerari di notevole bellezza, alcuni dei quali saranno esposti dopo un accurato restauro nell'esposizione collegata a una giornata di studi.
Oltre alla necropoli, gli scavi hanno rivelato parte di una divisione agraria, aggiungendo ulteriori strati di complessità storica a questa scoperta straordinaria. La storia di quest'area sarà approfondita nel corso di un convegno che si terrà il 2 dicembre presso il Castello di Santa Severa, organizzato dalla Soprintendenza Archeologia Belle arti Paesaggio Etruria Meridionale.
Questo ritrovamento non solo arricchisce la nostra comprensione dell'epoca imperiale romana, ma apre nuovi scenari sulla vita quotidiana, le pratiche funerarie e l'organizzazione territoriale di quel periodo. 

Fonte:
stilearte.it


Modus Vivendi, i reperti della cloaca di Altino in mostra

Altino, alcuni degli oggetti ritrovati nella cloaca
(Foto: stilearte.it)

In un affascinante viaggio nel tempo, la mostra "Modus Vivendi" offre uno sguardo dettagliato sulla vita quotidiana ad Altino durante l'antichità. Questa straordinaria esposizione presenta una selezione di reperti provenienti dalla cloaca, scoperta durante la campagna di scavo 2022 e oggetto di ulteriori indagini nel 2023. Attraverso questi frammenti del passato, gli abitanti di Altino ci invitano ad esplorare il "modo di vivere" che caratterizzava la loro esistenza.
Durante il periodo di attività, che si estende almeno per tutto il I secolo d.C., la cloaca ha funzionato come una sorta di cronista silenzioso, registrando il transito di migliaia di rifiuti. Oggetti buttati via o perduti, in gran parte rotti, sono rimasti intrappolati nello strato di fanghiglia che si è depositato sul fondo della cloaca. Oggi, questi reperti offrono testimonianze eloquenti sulla quotidianità degli altinati di epoche passate.
La mostra si estende oltre i confini di Altino, raggiungendo il MUB - Museo della Bonifica di San Donà  di Piave. Qui i visitatori possono esplorare ulteriori reperti di vita quotidiana risalenti alla fine del XIX e all'inizio del XX secolo, molti dei quali provengono direttamente dalle trincee della Grande Guerra. Questo collegamento ideale tra epoche diverse permette di gettare uno sguardo unico sulla continuità e l'evoluzione della vita nella regione.
Tra gli oggetti che destano particolare interesse nella mostra, si annoverano un frammento di balsamario in vetro blu con inserti in foglia d'oro, una lucerna con decorazione a rilievo di figura alata, personificazione della Vittoria, una lucerna in terracotta con decorazione a rilievo raffigurante un gallo e un balsamario in miniatura in vetro blu.
Per ulteriori informazioni e prenotazioni, è possibile contattare gli organizzatori via e-mail all'indirizzo drm-ven.museoaltino@cultura.gov.it o chiamando il numero 0422789443.

Fonte:
stilearte.it

Turchia, il pozzo di Demetra...

Turchia, una delle statuette raffiguranti Demetra
(Foto: stilearte.it)
Nell'antica città di Aigai, situata nella regione occidentale della Turchia, precisamente a Manisa, due statuette raffiguranti Demetra, la dea greca della terra e della fertilità, sono state scoperte all'interno di una cisterna durante degli scavi archeologici. Questa straordinaria scoperta archeologica getta nuova luce sulla storia della città, che fu un antico centro greco, successivamente romano ed infine vescovado in Aeolis.
Aigai, conosciuta anche come Aigaiai, è stata menzionata sia da Erodoto che da Strabone come parte della dodecapoli eoliana ed ha giocato un ruolo significativo come santuario di Apollo. La sua epoca d'oro ha coinciso con la dinastia Attalide, che dominò la regione della vicina Pergamo tra il III ed il II secolo a.C. I resti della città sono ora situati vicino al moderno villaggio Yuntdagi Koseler, nella provincia di Manisa.
La scoperta è stata fatta dal team archeologico guidato dal Professor Yusuf Sezgin, capo del Dipartimento di Archeologia dell'Università di Manisa. La cisterna in cui è stata rinvenuta la statuetta di Demetra è situata vicino alla strada che conduceva al santuario di Athena. Era deliberatamente posizionata sotto una rientranza all'ingresso del cisterna. Si tratta di una scoperta straordinaria, poiché di solito non si trovano simili statuette all'interno di queste strutture. Demetra era una figura divina di grande importanza nella mitologia greca, poiché era la dea dell'agricoltura che garantiva la fertilità e proteggeva le piante.
Ancora più sorprendente è stato il ritrovamento di un'altra statuetta di Demetra all'interno della stessa cisterna, anch'essa con la stessa postura della prima. Il terzo ritrovamento è un pezzo di vaso decorato con frammenti che mostrano covoni di grano, chiaramente associati a Demetra.
Il Professor Sezgin ha sottolineato l'importanza della figura di Demetra nelle antiche città rurali come Aigai, dove il culto della dea era particolarmente forte. La dea dell'agricoltura aveva un ruolo chiave per garantire la fertilità e la produttività del suolo, rendendola una delle divinità più importanti in un contesto agricolo.
La recente scoperta di una cisterna a pochi metri dal santuario di Athena ad Aigai, presumibilmente utilizzata per feste e rituali religiosi, suggerisce un legame diretto con le celebrazioni legate a Demetra. La cisterna è unica nel suo genere, poiché al suo interno sono emerse più statuette rispetto a qualsiasi altra cisterna, rendendo questo sito un tesoro archeologico ricco di significato storico e mitologico.

Fonte:
stilearte.it


Cuma, trovata un'antefissa con la testa della dea Athena

Cuma, l'antefissa di Athena appena scoperta
(Foto: archeomedia.net)

Un'eccezionale scoperta durante gli scavi condotti dal Centre Jean Bérard nel santuario extraurbano settentrionale, all'interno del contesto del Parco Archeologico dei Campi Flegrei, nella provincia di Napoli.
Si tratta di un'antefissa con la testa di Athena indossante un elmo frigio e circondata da una cornice di foglie d'acanto. L'opera, appena emersa, è di straordinaria bellezza, con il volto della dea che si presenta intenso e fortemente espressivo.
L'antefissa è stata trovata a Cuma. La città, come testimoniano le più recenti evidenze archeologiche, è stata fondata circa nel 750 a.C. da gruppi diversi di Greci provenienti dall'Eubea. L'antefissa, un elemento della copertura dei tetti nei contesti degli edifici greci, etruschi e romani, poteva essere realizzata in legno o terracotta e assumere varie forme, come palmette, teste umane o raffigurazioni di creature mitologiche come la Gorgone. Nel caso di questo ritrovamento, la testa di Athena domina l'opera, rivelando la maestria artistica dell'antica produzione.
Questo ritrovamento, oltre ad essere un tesoro archeologico, offre uno sguardo affascinante sulla rappresentazione artistica di Athena e sulla ricca storia che circonda il santuario extraurbano settentrionale dei Campi Flegrei. 

Fonte:
stilearte.it

domenica 19 novembre 2023

Spagna, la donna che visse due volte...dopo un intervento al cranio

Spagna, teschio di una donna dell'Età del Rame con prove
di raschiatura (Foto: Sonia Diaz-Navarro)

Migliaia di anni fa una donna subì due interventi chirurgici alla testa e sopravvisse ad entrambe le operazioni. E' quanto è stato rivelato dal suo cranio, rinvenuto insieme ai resti della defunta, in un luogo di sepoltura dell'Età del Rame noto come Camino del Molino, situato a Caravaca de la Cruz, nel sudest della Spagna.
La donna, che aveva un'età compresa tra i 35 ed i 45 anni quando morì, era uno dei 1.348 individui rinvenuti nel sito funerario, utilizzato dal 2566 al 2239 a.C. A differenza degli altri scheletri il suo cranio mostrava segni di una serie di trapanazioni, che sono procedure che richiedono la perforazione o la raschiatura di fori attraverso il cranio al fine di esporre la dura madre, lo strato più esterno di tessuto che circonda il cervello ed il midollo spinale, come forma di trattamento medico.
Un ulteriore esame ha rivelato due fori sovrapposti tra la tempia e la parte superiore dell'orecchio. Un'apertura misurava 53 mm di larghezza x 31 mm di lunghezza. La seconda era più piccola (32x12 mm). I ricercatori pensano che le aperture non siano state causate da un infortunio, innanzitutto perché non c'erano fratture che si irradiavano dalle lesioni e ciascun foro conteneva bordi ben definiti. Per questo hanno concluso che la donna fosse stata sottoposta a due interventi chirurgici separati.
Sulla base dei fori, insieme all'orientamento obliquo delle pareti degli stessi, i ricercatori hanno stabilito che le trapanazioni sono state eseguite utilizzando una tecnica di raschiatura. Questa comporta uno sfregamento di uno strumento litico dalla superficie ruvida contro la volta cranica, erodendola gradualmente lungo tutti i suoi bordi al fine di creare un foro. Per eseguire questo intervento chirurgico, l'individuo probabilmente doveva essere immobilizzato in modo sicuro da altri membri della comunità o precedentemente trattato con sostanze psicoattive che alleviassero il dolore o lo rendessero incosciente.
Sorprendentemente la donna sembra essere sopravvissuta ad entrambe le operazioni, come dimostra la guarigione dell'osso del cranio. I ricercatori pensano che sia riuscita a sopravvivere diversi mesi dopo il secondo intervento chirurgico.
La documentazione di procedure chirurgiche preistoriche è un evento raro soprattutto condotte in questa zona della testa, conosciuta come regione temporale. Era più comune la trapanazione eseguita nelle regioni frontali e parietali del cranio.
Le trapanazioni preistoriche utilizzando la tecnica di raschiatura avevano più successo ed erano più sicure rispetto alle operazioni di perforazione. Gli antichi chirurghi generalmente non danneggiavano le meningi o il cervello, riducendo il rischio di potenziali infezioni post-chirurgiche.
I ricercatori non sono sicuri del motivo per cui la donna si è sottoposta all'intervento. Il suo scheletro mostrava fratture costali guarite e alcune carie dentali, probabilmente non correlate al motivo dell'intervento.

Fonte:
livescience.com



Messico, scoperta la testa in pietra di un guerriero Maya

Messico, la scultura del guerriero appena ritrovata
(Foto: INAH)

Un lavoro di salvataggio archeologico ha portato alla luce a Chichén Itzà una scultura ben conservata raffigurante la testa di un guerriero Maya, con indosso un elmo a forma di serpente piumato con le mascelle aperte.
La testa è stata rinvenuta nel Tempio 6 di Maudslay, nel complesso Casa Colorada di Chichén Itzà, nello Yucatàn, nell'ambito del Programma di Miglioramento delle Zone Archeologiche.
La scultura è alta 33 centimetri e sembrerebbe risalire al primo periodo abitativo della città. Era consuetudine rappresentare i guerrieri con un copricapo, una specie di elmo. Il copricapo indossato dalla scultura allude, con tutta probabilità a Kukulcàn, il serpente piumato dei Maya.
Proprio di recente gli archeologi dell'INAH hanno scoperto un tempio circolare dedicato a Kukulcàn nel sito di El Tigre a Campeche, anch'esso parte dei lavori di salvataggio archeologico.
Il sito di Chichén Itzà ha circa 1300 anni ed il suo nome significa, in lingua Maya, "ingresso all'acqua". Fu il principale porto del regno di Cobà negli anni 250-600 d.C., ma cadde in rapido declino dopo che le malattie introdotte dai conquistadores spagnoli quasi sterminarono i nativi.

Fonte:
mexiconewsdaily.com

Egitto: scoperto, su una mummia, un raro esempio di antico tumore

Egitto, teratoma con dente A (inferiore) in situ e dente B
(superiore) adattato nella cripta (Foto: A. Deblauwe -
Progetto Amarna)

Durante gli scavi in una necropoli egiziana, gli archeologi hanno fatto  una rara scoperta: un tumore ovarico annidato nel bacino di una donna morta più di tre millenni fa. Il tumore, una massa ossea con due denti, è il più antico esempio conosciuto di teratoma, un raro tipo di tumore che si sviluppa nelle ovaie o nei testicoli.
Un teratoma può essere benigno o maligno e di solito è costituito da vari tessuti, come muscoli, capelli, denti od ossa. I teratomi possono causare dolore e gonfiore e se si rompono possono portare a infezioni.
In precedenza sono stati trovati solo quattro esempi di teratomi: tre in Europa ed uno in Perù. La recente scoperta di un teratoma nella necropoli del Nuovo Regno ad Amarna, risalente al 1345 a.C., è solo il quarto caso archeologico ed è il più antico esempio conosciuto di teratoma, il primo caso trovato in Africa.
La vita della città di Amarna fu piuttosto breve. La città si estendeva sulla riva orientale del Nilo, a metà strada circa tra le città de Il Cairo e Luxor (antica Tebe). Amarna era il centro del culto del dio unico Aton e qui risiedeva Akhenaton. Sebbene la città comprendesse templi, palazzi ed altri edifici e fosse abitata da una popolazione compresa tra i 20.000 ed i 50.000 abitanti, venne abbandonata dieci anni dopo la morte di Akhenaton, nel 1336 a.C.
Gli archeologi hanno studiato quattro grandi necropoli collegate alla città di Amarna. In una sepoltura della necropoli del deserto del Nord, costituita da un pozzo e da una camera sepolcrale, i ricercatori hanno rinvenuto lo scheletro di una donna di età compresa tra i 18 ed i 21 anni, avvolta in una stuoia di fibre vegetali. La giovane venne sepolta insieme a numerosi elementi di corredo, tra i quali un anello decorato con la figura del dio Bes, spesso associato al parto, alla fertilità e alla protezione.
Esaminando i resti della defunta, gli archeologi hanno notato qualcosa di insolito nel bacino della donna: una massa ossea delle dimensioni di un grosso acino d'uva, con due depressioni che ospitavano denti deformati. Proprio questi denti indicano che la donna soffriva di un teratoma ovarico.
L'anello con la raffigurazione di Bes farebbe pensare che il teratoma fosse sintomatico, poiché l'amuleto con valenze medico-magiche era posto sulla mano sinistra della donna, che era piegata sul grembo dalla parte dove era i teratoma. Si potrebbe pensare che la donna stesse tentando di invocare Bes affinché la proteggesse dal dolore o da altri sintomi oppure perché l'aiutasse a concepire e a dare alla luce un figlio.

Fonte:
livescience.com


sabato 18 novembre 2023

Turchia, i sigilli di Doliche

Turchia, due sigilli in argilla recuperati dagli scavi
(Foto: Forschungsstelle Asia Minor)
Nel sudest della Turchia, nell'antica città di Doliche, gli archeologi del Centro di Ricerca dell'Asia Minore hanno compiuto una scoperta di rilievo durante la campagna archeologica 2023, che getta nuova luce sulla storia di questa antica urbs, i suoi archivi e, in genere, su quelli delle città dell'Impero romano. Doliche, antica città situata all'estremità settentrionale di Gaziantep, è un sito di grande importanza storica e religiosa.
Il team di archeologi, guidato da Michael Blomer e Engelbert Winter dell'Università di Munster, ha effettuato una scoperta significativa nei pressi dell'antico centro religioso. Gli studiosi hanno individuato i resti di un'ampia struttura e, in essi, le vestigia degli archivi cittadini contenenti oltre 2.000 impronte di sigilli utilizzati per certificare documenti. Le "carte" - papiri e pergamene - andarono distrutte durante un incendio, ma i sigilli dei documenti si sono conservati.
Si può pensare che le pratiche o i contratti - simili a documenti notarili - fossero riposti nelle stanze dell'edificio pubblico, che doveva avere funzione di Registro. Una volta pronto il contratto tra ente pubblico e privati o tra privati e privati, esso poteva essere scritto in triplice copia: due di esse andavano ai contraenti. Una terza doveva, invece, essere conservata, in modo integro, dall'ente pubblico o da un suo sostituto di comprovata fiducia, affinché costituisse l'originale matrice che potesse comprovare la veridicità delle copie, in caso di future contestazioni. Proprio per evitare che qualcuno negli uffici del registro potesse correggere o modificare, nel tempo, il contratto, privati ed enti pubblici producevano un proprio "stampino", con immagini di dei, in molti casi.
Questo stampo, nella maggior parte dei casi, era intagliato nell'anello che i romani indossavano. Come sarebbe avvenuto nel medioevo con gli stemmi nobiliari, i sigilli tendevano a riferirsi ad una persona, a una famiglia, a una "corporazione" o a un ente, diventandone il contrassegno. Il contratto da conservare preziosamente nell'archivio, scritto su un papiro o pergamena, veniva legato saldamente con una corda tesa. Sul nodo della corda veniva collocata, in molti casi, argilla fresca che veniva poi stampigliata con un sigillo identificativo. Una volta asciutto, il sigillo induriva, imprigionando il nodo. Per riaprire il documento era necessario tagliare la corda. Il nodo era infatti bloccato dal sigillo e non poteva essere slegato. L'integrità della corda e del sigillo comprovavano l'autenticità del documento-fonte.
Questo ritrovamento è particolarmente straordinario considerando che, sebbene ogni città romana avesse archivi per conservare contratti e documenti, fino ad oggi sono stati identificati solo pochi edifici archivistici dell'Impero Romano. Le impronte di sigilli, impresse su grumi di argilla, sono di varie dimensioni e forme.
Le impronte dei sigilli, ben conservate nei sedimenti archeologici, sono una preziosa fonte di informazioni sull'antica pratica amministrativa. L'archeologo Michael Blomer sottolinea che le immagini sui sigilli ufficiali della città sono strettamente legate a Doliche, spesso raffigurando le divinità più importanti, come Giove Dolichenus, la principale divinità della città, anche se le raffigurazioni sono piuttosto varie.
Giove Dolicheno (Juppiter Dolichenus) o semplicemente Dolicheno è il nome di una divinità che nasce dalla fusione tra caratteristiche greco-romane di Giove e una contigua divinità dell'Asia minore. Era venerato, appunto, nella città di Dolico, in Anatolia, ed accettata nel pantheon della regione romana. Si ritiene che fosse frutto di un'interpretatio romana derivata dal culto semitico di Hadad-Baal-Teshub, che aveva il suo centro devozionale su una collina vicino a Doliche, 30 miglia romane ad ovest di Samosata sull'Eufrate, nella Commagene, nell'Asia Minore orientale. Hadad è una divinità degli Aramei (o Siri). Era il dio del fulmine e delle tempeste, al quale era conferito l'epiteto di tonante. Già in nuce, un Giove dell'Asia Minore, insomma.
Un aspetto affascinante delle impronte di sigilli privati più piccoli è la varietà di immagini e simboli che riflettono l'impronta culturale degli abitanti di Doliche. Gli dei raffigurati forniscono informazioni sull'ambiente religioso, mentre figure mitiche o ritratti privati indicano una forte influenza greco-romana.
Dell'edificio dell'archivio rimangono solo gli strati inferiori delle fondamenta che sono costituiti da massicci blocchi di pietra calcarea. E' presente una sequenza di stanze che si uniscono per formare un complesso edilizio allungato. Si pensa che l'edificio fosse largo otto metri e lungo venticinque. La larghezza dei muri di fondazione dimostra che la struttura era a più piani.
I documenti d'archivio furono distrutti in un grande incendio. Nel 253 d.C., il re persiano Sapur I devastò numerose città nella provincia romana della Siria, inclusa Doliche, a seguito della guerra tra l'impero romano e quello persiano. Il centro cittadino, che comprendeva anche un complesso balneare e un tempio monumentale, non fu ricostruito dopo l'incendio.

Fonte:
stilearte.it


Germania, torna alla luce un villaggio medioevale ed il suo castello

Germania, la zona del bastione e del fossato
(Foto: A. Swieder, Ufficio Statale per la conservazione
del patrimonio e l'archeologia della Sassonia-Anhalt)
In Germania gli archeologi hanno effettuato una scoperta straordinaria, riportando alla luce i resti di un villaggio medioevale che fu abbandonato intorno alla fine del XV secolo. Questo affascinante sito archeologico è situato vicino alla città di Harzgerode, nella parte centrale del paese, ed è oggetto di un'importante ricerca frutto della collaborazione tra l'Ufficio Statale per la gestione del patrimonio e l'archeologia della Sassonia-Anhalt e l'Università di Gottingen.
Le ricerche su questo villaggio perduto nel tempo sono iniziate lo scorso anno e continuano a rivelare segreti affascinanti del passato. Nel 2023, la squadra di scavo è stata composta da due archeologi, nove studenti dell'Università di Gottingen e sette volontari, che hanno lavorato in quattro sezioni di scavo, per un'area totale di circa 50 metri quadrati.
Uno degli aspetti più interessanti degli scavi è la scoperta di una grande trincea che attraversa il fossato del castello e il suo bastione antistante, creando un profilo lungo oltre 12 metri. Questo fossato, scavato a circa 2 metri di profondità nella roccia ardesia preesistente, rivela la maestosità del castello che fu parte di questo villaggio sepolto.
L'eccezionale area archeologica ha rivelato ben oltre 2.000 reperti, nonostante l'area finora scavata sia esigua. Tra questi reperti si annoverano dardi di balestra in ferro, frammenti di ferri di cavallo, chiodi di ferro, tegole smaltate e non smaltate, tegole in ardesia, numerosi frammenti di ceramica, monete d'argento. La maggior parte dei reperti risale ai secoli dal XIII al XIV.
E' importante sottolineare che la regione ospita quasi 200 villaggi medioevali abbandonati, conosciuti grazie a reperti superficiali, mappe storiche o identificabili in modelli digitali del terreno. Tuttavia solo pochi di questi siti sono stati oggetto di approfondite ricerche archeologiche, lasciando molte domande aperte sulla loro funzione economica e il loro contesto storico.
Il villaggio a schiera scoperto si estende su entrambi i lati di una piccola valle di ruscello ed è costituito da appezzamenti agricoli disposti in maniera regolare. Alcuni di questi appezzamenti presentano fosse libere nella zona anteriore rivolta verso il ruscello. Nell'area del villaggio, più precisamente nella parte nordorientale, si trova un piccolo fortilizio ovale di circa 45x60 metri. Questo fortilizio era un castello appartenente alla nobiltà locale.
Secondo gli studi di storia locale, il sito era noto a partire dal 1216 e sarebbe caduto in disuso al più tardi tra il 1488 ed il 1562. L'eccezionale conservazione del sito consente una facile identificazione di reperti e l'ambiente umido del luogo, dovuto alla sua posizione vicino al torrente, suggerisce la presenza di materiali organici ben conservati. La presenza di creste e solchi circostanti e di eventuali hortisuoli (terreni da giardino intensamente utilizzati) attesta l'attività agricola.
La coesistenza di una struttura di insediamento rurale e di un castello di una nobiltà locale offre un punto di partenza promettente per ulteriori indagini archeologiche.
Nel corso delle ricerche effettuate nell'autunno del 2022, sono state aperte cinque trincee di scavo, documentando parti delle fortificazioni esterne e i resti delle fondamenta dell'edificio. Durante questi scavi, sono stati rinvenuti migliaia di reperti, tra i quali tegole in ardesia e tegole smaltate di colore verde, particolarmente rari in contesti rurali.
L'importante scoperta di questo villaggio medioevale e del suo castello fornisce un'opportunità straordinaria per svelare ulteriori dettagli sulla vita quotidiana e sulla storia di questa comunità un tempo prospera. La ricerca archeologica in corso continua a rivelare segreti del passato e getta nuova luce sulla storia della regione.

Fonte:
stilearte.it


Francia, il santuario gallo-romano e le sue sorprese

Francia, oggetto con l'effige di Giano bifronte emerso
dagli scavi (Foto: Clichés/DAO: S. Lancelot, Inrap)

A Estrées-Saint-Denise, nell'Oise, in Francia, un complesso santuario gallo romano è al centro di studi e di scavi. L'area del sito archeologico è denominata "Moulin Brùlé". Posizionato sulla cima di un'altura naturale, 87 metri sopra il livello del mare, questo luogo ha rivelato tre monumenti principali, ciascuno testimone di diverse fasi storiche che vanno dalla Seconda Età del Ferro al Tardo Impero Romano. Le indagini condotte dall'Inrap hanno illuminato la complessa storia di questo antico centro, svelando dettagli su un recinto consacrato, un tempio e un edificio per spettacoli.
Si è al cospetto di uno spazio protetto e sacrale, collocato su un rilievo del terreno, in cui avvenivano liturgie religiose e che offriva ai fedeli spazi per la preghiera. Un santuario attivo e ricco di iniziative, come dimostra la presenza di un teatro. Parti di depositi rituali di origine militare portano testimonianza del fatto che il luogo era frequentato anche da soldati.
"Una buca di posta lungo il muro sud del tempio iniziale ha rivelato un lotto di 13 monete galliche. - Spiegano gli archeologi dell'Inrap. - Appartengono ad una facies regionale, in un range cronologico -60/+50 (100), ad eccezione di dune monete, forse più antiche, la cui prima data di emissione risale al 150 a.C. Un piccolo oggetto indeterminato completa questo lotto monetario. Realizzato in lega di rame, assume la forma di un nocciolo di oliva. Un secondo oggetto della stessa costruzione è stato rinvenuto in una buca di posta adiacente, mentre un terzo, proveniente dal bottino del tempio, proviene sicuramente dall'una o dall'altra di questa strutture. Si tratta di tre pezzi di forma e dimensioni quasi simili (31x9 mm; circa 8,80 grammi). Può essere paragonato ad un oggetto identico proveniente dal santuario di Fesques (Seine-Maritime)".
Nella seconda fase del tempio i gallo-romani portarono offerte. I reperti archeologici rinvenuti, soprattutto metallici, sono caratteristici dei complessi santuariali. Comprendono monete, ornamenti (fibule), due ruote, anelli, pezzi di armamento (tre rivetti umbone, un grande rivetto a scudo) ed elementi di finimenti ed anche finimenti (morsi, chiodo smaltato, anello guida).
All'altezza della torre del portico, all'ingresso del recinto, è stato rinvenuto un singolare oggetto recante l'effige di Giano, il dio bifronte ma anche degli inizi, dei passaggi e delle porte. Trovato anche un cursore dell'equilibrio, un oggetto militare, deviato dalla sua funzione primaria e bruciato. Molti di questi manufatti furono oggetto di mutilazione intenzionale.
La parte meridionale del sito rivela i resti di un recinto quadrangolare molto antico, il cui angolo sudest è stato accuratamente esplorato. Questo recinto, risalente alla Seconda Età del Ferro (360-210 a.C. circa), suggerisce uno spazio circondato da buche e fosse, con tracce di una palizzata ad est. La presenza di un ampio ingresso, delimitato da quattro buche per pali, indica una funzione significativa. Successive trasformazioni vedono il recinto evolversi in una struttura piena di fossati, con un portico d'ingresso più elaborato e spazi seminterrati. Questa fase, datata tra il 50 a.C. ed il 30 d.C., rivela un edificio circolare, forse di culto, con una pianta di circa 12,50 metri quadrati.
La seconda metà del I secolo segna un cambiamento monumentale, con il recinto che viene trasformato, grazie ad opere in muratura. Gallerie porticate emergono, seguendo in parte il percorso del recinto originale e una torre-porticato sostituisce il portico in legno. Questo complesso, esteso su circa 2.116 metri quadrati, potrebbe essere stato occupato per tutto il II secolo, abbandonato alla fine dello stesso secolo o nella prima metà del III secolo. Reperti archeologici, in particolare manufatti e un oggetto raffigurante Giano, il dio bifronte, forniscono un affascinante affaccia sulla vita e sulle pratiche religiose del luogo.
La porzione settentrionale sito mostra i resti di un tempio in cui sono riconoscibili due fasi costruttive successive. Il primo tempio, in legno, occupa un'area sacra racchiusa da una palizzata. Con una pianta absidata, questo edificio del 50-30 a.C. potrebbe aver ospitato un focolare o un altare. Una buca di posta lungo il muro sud ha rivelato un tesoro di monete galliche, offrendo un'interessante finestra sulle attività economiche della zona. La trasformazione successiva vede il tempio evolvere in una struttura in muratura, con una cella di circa 17 metri quadrati. Un pozzo, forse sormontato da un'edicola circolare, e la presenza di elementi mobili suggeriscono un abbandono alla fine del II secolo o all'inizio del III secolo d.C.
L'edificio degli spettacoli, uno dei soli otto teatri antichi nell'Oise, sorge sul punto più alto del sito. Due sono le fasi costruttive: un'originaria costruzione in legno, datata tra il 50 ed il 27 a.C., seguita da una versione più monumentale in muratura. La facciata diametrale del teatro, lunga 68 metri, comprende un muro scenico decorato con cornici modanate e elementi statuari. Il palco rettangolare, noto come pulpitum, occupa una superficie di circa 60 metri quadrati. L'emiciclo della cavea, sebbene non ancora completamente compreso nelle sue dimensioni, suggerisce una capacità di 3.000-4.000 posti. Il teatro sembra essere stato occupato fino alla fine del II secolo, abbandonato nella prima metà del III secolo.

Fonte:
stilearte.it


San Casciano dei Bagni, trovata una statua monumentale di Apollo fanciullo

San Casciano dei Bagni, la statua di Apollo ricomposta
(Foto: Il Santuario Ritrovato - San Casciano dei Bagni)

San Casciano, nei pressi di Siena, continua a rivelare tesori eccezionali. I lavori di scavo coordinati dall'archeologo Jacopo Tabolli hanno fatto riemergere il corpo di una statua di Apollo che era alta 180 centimetri. Lo ha comunicato l'Università per stranieri di Siena.
La statua monumentale raffigura un Apollo giovinetto che caccia una lucertola. Si tratta di una copia da un originale in bronzo del celebre scultore greco Prassitele. Il ritrovamento, insieme ad un donario in pietra bilingue e a numerosi oggetti in bronzo, terracotta e cristallo, svela affascinanti dettagli sulla vita quotidiana del santuario.
Il sito, inizialmente identificato come un piccolo edificio sacro, si è rivelato essere un tempio più ampio, con un portico ornato da colonne e una grande vasca coperta da un podio decorato con statue monumentali, tra cui si ipotizza possa esserci quella dell'Apollo giovinetto. Un complesso architettonico e idraulico che, in continuità di culto, si sovrappone ad un antico sacello etrusco, le cui mura sono state recentemente scoperte.

Fonte:
stilearte.it

Carsulae: riprendono gli scavi e subito nuovi ritrovamenti

Carsulae, gli scavi dell'area del foro
 (Foto: Umbria7.it)

Prosegue la storia dell'antica città di epoca romana nota come Carsulae, oggetto, dal XV secolo, di scavi, ricerche ed approfondimenti.
A venire alla luce sono un importante ambiente pubblico di riunione del senato locale, vale a dire una curia; una grande domus dei mosaici ricca di decorazioni che, probabilmente, fungeva da spazio polifunzionale per ricevere i magistrati, unitamente ad un sistema di smaltimento delle acque della domus; una moneta di Adriano, un castone di anello in corniola raffigurante una scena pastorale ed un anello in bronzo con un'incisione.
I ritrovamenti sono stati fatti nell'angolo nordovest della piazza del foro. I primi scavi sono partiti nel 2017 ed hanno portato alla luce tutta la superficie del foro. Nell'anno in corso è emerso questo grande ambiente di cui gli archeologi non conoscevano la forma poiché era completamente interrato. Si presume che sia un ambiente pubblico, forse la curia, luogo di riunione del senato di Carsulae.
L'area era organizzata in tre navate, due file di tre colonne di cui sono rimaste le basi in pietra. Un dato interessante è l'individuazione, sul lato est dello spazio, di due sepolture riconducibili ad un periodo successivo all'abbandono. Attualmente le sepolture sono in fase di studio per meglio determinarne la dazione anche se, sostengono i ricercatori, si tratta di sepolture di persone che successivamente all'abbandono della città, continuavano a vivere nella zona.
L'archeologo Valerio Chiaraluce, racconta della domus dei mosaici: "E' uno dei più grandi edifici che abbiamo scavato. Si tratta di una vasta area di 2.500 metri quadri, presso l'angolo sudovest del foro, che è occupato da questa grande domus, che negli anni passati ci ha dato molte soddisfazioni in quanto ci ha restituito pavimentazioni musive, con tessere bianche e nere a decorazione geometrica, tra cui quella di un grande salone che ha la particolarità di avere una cornice che raffigura una cinta muraria. La domus è molto grande e ricca di decorazioni, forse anche troppo per essere di un privato, quindi si è ipotizzato che si tratti di una domus pubblica, uno spazio polifunzionale per ricevimenti di magistrati. Inoltre la domus ha due atri e due peristili. Si sono trovate, inoltre, le basi delle colonne della seconda area porticata, probabilmente un peristilio e anche parte del sistema di smaltimento delle acque della domus, che consiste in due cunicoli sotterranei".

Fonte:
umbria7.it

sabato 11 novembre 2023

Cave, riemergono i resti dell'antica chiesa di Santo Stefano

Cave, il sito della chiesa di Santo Stefano
(Foto: finestresullarte.info)

Uno scavo nel Comune di Cave, sui colli romani, non lontano da Valmontone, ha portato alla scoperta dei resti di un'antica chiesa cristiana. Lo scavo era iniziato in occasione dei lavori per la realizzazione di alcune aree a servizio della scuola elementare in località Colle Santo Stefano e sono stati condotti dalla Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per l'Area Metropolitana di Roma e per la provincia di Rieti, sotto la direzione della funzionaria archeologa Gabriella Serio e coordinati sul campo dall'archeologo Andrea Fiasco. L'edificio ritrovato è di dimensioni significative, fa sapere la soprintendenza, e i resti, nonostante siano compromessi dalle spoliazioni che l'edificio ha subito, non lasciano dubbi sul fatto che si trattasse proprio di una chiesa.
L'edificio di culto si presenta con una pianta a croce latina a navata unica, orientata nord-sud, favorevolmente posizionata in zona collinare, nel settore orientale dell'abitato urbano odierno, a ridosso del prolungamento della via Prenestina antica in direzione del territorio di Genazzano. Al suo interno è stata trovata una vasca che serviva per il battesimo dei fedeli (catecumeni), secondo l'antico rito dell'immersione: viene definita come un'opera di pregio e si trova in ottimo stato di conservazione.
Nel sito sono stati trovati anche reperti ceramici tra cui alcune forme integre di maiolica arcaica trecentesca. Inoltre è riemerso, sempre nella stessa area, anche un tracciato viario di epoca romana, nelle forme di una via glareata e una diffusa attività di seppellimento, riferibile sia al periodo medioevale che a età romana, fra cui spicca una tomba femminile in cassa litica di tufo con corredo tipico della tradizione funeraria di area prenestina, risalente a età medio repubblicana (fine IV - inizi III secolo a.C.)
Queste tracce hanno portato gli esperti della Soprintendenza a formulare l'ipotesi che l'edificio ritrovato sia la primitiva chiesa di Santo Stefano, uno dei luoghi di culto più antichi del territorio cavense, attestata a partire dall'VIII secolo d.C. Inizialmente fra i possedimenti delle monache di San Ciriaco di Santa Maria in via Lata, a partire dalla seconda metà del Trecento la chiesa assunse un ruolo centrale nelle politiche della famiglia degli Annibaldi, come sappiamo dalle fonti storiche: Mascia Annibaldi, moglie di Giordano Colonna, fratello di papa Martino V Colonna, nel 1385 affidò la chiesa alla cura dei Padri Agostiniani, vi costruì la cappella gentilizia di famiglia e vi istituì un capitolo dei canonici, elevandola così al rango di collegiata.
Nonostante questo, l'edificio dal 1428 finì coinvolto nei nuovi progetti di sviluppo urbano che il pontefice programmò per il suo nuovo feudo di Cave, concessogli in eredità proprio dalla cognata Mascia: con bolla pontificia, il papa autorizzò i Padri Agostiniani a costruire una nuova chiesa all'interno delle mura del borgo (ancora oggi esistente sotto la ricostruzione risalente al XVIII secolo), sulla quale venne così trasferito l'antico titolo dedicato al protomartire Stefano. Questa scelta condannò all'oblio l'antica parrocchia rurale, che fu oggetto di sistematico smantellamento. Le pietre della chiesa vennero reimpiegate per altri utilizzi. Di fatto la chiesa si trasformò in una cava per l'estrazione di materiali da costruzione, forse la "Cava Sancti Stephani", ricordata nei documenti già a partire dal 1436.

Fonte:
finestresullarte.info

Marocco, riemerge un'antica città romana

Marocco, una statua di epoca romana rinvenuta negli
scavi (Foto: AP Photo/Mosa'ab Elshamy)

Gli archeologi marocchini hanno riportato alla luce le antiche rovine di quella che si crede sia stata, un tempo, una vivace città portuale, posta vicino alla capitale dell'attuale Marocco. Lo scavo ha evidenziato la presenza di bagni termali e quartieri operai.
Gli studiosi ritengono che l'area sia stata inizialmente colonizzata dai Fenici ed abbia avuto la funzione di avamposto chiave dell'impero romano dal II al V secolo d.C. La necropoli fortificata e gli insediamenti circostanti vennero costruiti vicino all'Oceano Atlantico, lungo le rive del fiume Bu Regreg. Tra i ritrovamenti vi sono mattoni iscritti in neo-punico, una lingua che precedette l'arrivo dei Romani in Marocco. L'area di scavo è più ampia di quella di Volubilis, a 179 chilometri ad est di Rabat.
Abdelaziz El Khayari, Professore di archeologia preislamica presso l'Istituto Nazionale di Scienze e Patrimonio Archeologico del Marocco, ha affermato che l'importanza del sito deriva dalla sua posizione sull'acqua, che probabilmente ne ha fatto un importante sito commerciale, facilitando il commercio di materiali tra i quali l'importazione di marmo italiano e l'esportazione di avorio africano.
Durante una conferenza stampa è stata mostrata ai giornalisti una statua di donna scoperta di recente, forse una divinità o un'imperatrice. Si tratta della prima statua del genere scoperta in Marocco dagli anni '60 del secolo scorso. Probabilmente adornava le camere termali.
Tra le imponenti resti architettonici vi è una vasta area pavimentata accompagnata da vasche, un colonnato e altre strutture, probabilmente un grande stabilimento termale pubblico di almeno 2.000 metri quadrati. La dimensione stimata di questa antica città è di circa 300 ettari, probabilmente è stata costruita nel II secolo d.C.

Fonte:
archaeonewsnet.com

Creta, straordinario rinvenimento di antichissime armi in bronzo

Creta, paragnatidi di bronzo appena scoperte
(Foto: Università Ca' Foscari di Venezia)
L'Università Ca' Foscari di Venezia ha portato alla luce un'armatura di bronzo nel sito cretese di Festòs, precisamente sulle pendici sudoccidentali della collina di Kastri, dove nel XIX secolo a.C. venne impiantato il primo palazzo di Festòs.
Lo scavo, in concessione della Scuola Archeologica italiana di Atene dal 2022, è stato condotto a luglio 2023 da Ilaria Caloi, professoressa associata di Civiltà Egee presso il Ca' Foscari, e dai suoi allievi sotto la direzione di Pietro Militello, docente ordinario di Civiltà Egee all'Università di Catania.
I resti bronzei dell'armatura del guerriero comprendono un umbone di scudo e frammenti di elmo e, forse di cintura. L'umbone, la parte centrale dello scudo, che doveva essere in cuoio, è realizzato da un elemento conico centrale composto da una lunga protuberanza e da un disco esterno, i cui fori servivano al fissaggio sullo scudo e la cui controparte interna era svolta da un anello bronzeo.
Dell'elmo si conservano le paragnatidi bronzee, che erano le fasce protettive delle guance e della mandibola del guerriero. Queste paragnatidi presentano elementi circolari e forellini che le fissavano all'elmo.
Il ritrovamento della panoplia bronzea di Festòs, vale a dire dell'insieme delle parti dell'armatura o di armi posizionate a mo' di trofeo, è singolare per un motivo: è stata rinvenuta all'interno di un complesso abitativo non funerario. Secondo la Professoressa Caloi "l'ipotesi più accattivante, che solo la continuazione dello scavo potrà confermare, è che l'armatura possa attribuirsi ad un eroe locale, onorato all'interno di un'area di culto o di un cenotafio, in stretta connessione con la fondazione della polis di Festòs tra l'VIII ed il VII secolo a.C." L'armatura era deposta all'interno di un pithos, contenitore in ceramica con un diametro massimo di 120 centimetri, che serviva per l'immagazzinamento di alimenti. Il pithos era coperto da un coperchio a sua volta nascosto da un grande frammento di vaso decorato con motivi di brocchette (oinochonai) e spirali correnti.
Il grande vano all'interno del quale è stato rinvenuto il pithos, ancora oggetto di scavo, era forse un'area di culto, come suggerirebbero la sua forma, la deposizione rituale della panoplia e il rinvenimento, non lontano dal contenitore ceramico, di due coltelli in ferro, di un piccolo scudo in ceramica dipinto di bianco, e di alcuni vasi aryballoi (contenitori per versare) databili tra l'VIII e il VII secolo a.C. Sebbene in generale questi oggetti possano essere parte del corredo funerario di un guerriero, qui potrebbero essere, invece, testimoni di un'offerta votiva.
Ritrovamenti simili a Creta riguardano la necropoli di Cnosso, di Mouliana e di Eleutherna, e sono cronologicamente ascrivibili tra il XII ed il VII secolo a.C. Confronti stilistici per le paragnatidi e lo scudo vanno ricercati al di fuori dell'isola di Creta e, precisamente, nella tomba XXVIII di Tirinto (Argolide, XI secolo a.C.) e nella tomba 40 di Kourion-Kaloriziki (Cipro), a testimonianza del fatto che Festòs tra il Tardo Bronzo e la prima Età del Ferro facesse rete con l'area egea e con il Mediterraneo orientale.

Fonte:
Cafoscari News - Università Ca' Foscari di Venezia


I tesori di Claterna, Pompei del nord Italia

Claterna, gemma incisa rinvenuta nell'area
archeologica (Foto: Roberto Macrì, Soprintendenza
Archeologia per la Città Metropolitana di Bologna e
le province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara)

Lo scavo nel sito archeologico di Claterna, lungo la via Emilia, a metà strada tra le antiche Bononia (attuale Bologna), continua a restituire importanti reperti e così il MiC annuncia, attraverso il sottosegretario di Stato Lucia Borgonzoni, di voler creare nei 18 ettari del sito un parco archeologico di risonanza internazionale, tra i maggiori non stratificati presenti nel nord Italia.
Nel corso della presentazione di un'anteprima degli ultimi risultati degli scavi in quella che è una sorta di "Pompei del nord", sono stati mostrati i risultati ottenuti su una piccola porzione del vastissimo insediamento di Claterna: sono state riportate alla luce più di 3.000 monete in argento e bronzo, in ottime condizioni di conservazione, oltre ad una cinquantina di gemme incise
Nel corso della stessa presentazione è stato annunciato lo straordinario ritrovamento di un quinarius databile al 97 a.C,, una moneta che presenta una Vittoria alata intenta a scrivere su uno scudo poggiato su un trofeo. Sulla raffigurazione appare chiara la scritta "Roma", a testimonianza della celebrazione di vittorie militari romane dell'epoca.
Grazie a studi e ritrovamenti si evince che Claterna in epoca romana fosse un vivace centro commerciale, arrivato a contare 2.500 abitanti. Proprio per questo lo Stato ha annunciato di volere investire in questo sito con l'intento di valorizzare il territorio circostante sotto un profilo culturale e turistico.
I recenti scavi, poi, stanno restituendo materiali molto preziosi e significativi, oltre al quinarius anche marmi colorati che erano gestiti direttamente da Roma.
La città romana di Claterna prese il nome dal fiume che tuttora la bagna, il Quaderna, toponimo ritenuto di origine etrusca che parrebbe attestare un insediamento nel luogo già in quell'epoca. Le prime notizie sulla città si riferiscono ad un episodio della guerra di Modena, quando Aulo Irzio, nel 43 a.C., la espugna e vi si insedia per rafforzare la posizione di Ottaviano contro Antonio. La città venne, dunque, presa con le armi, il che attesterebbe la presenza di un apparato difensivo attorno alla città, non necessariamente costituito da solide mura ma verosimilmente realizzato con un vallo o terrapieno, benché oggi non ne resti traccia evidente sul terreno. Fonti scritte sono costituite da iscrizioni incise su lapidi in pietra rinvenute nel territorio e nel sito della città, dedicate a personaggi di rango, imperatori e divinità.
Claterna è ricordata anche da Sant'Ambrogio, vescovo di Milano, che sul finire del IV secolo d.C. la include tra i "semirutarum urbium cadavera" (cadaveri di città semidirute), riferendosi al destino di decadenza economica e spoliazione da parte degli eserciti barbarici o al servizio degli usurpatori che accomunava molti altri centri della regione. In epoca romana Claterna fu dapprima un villaggio che assurse dignità urbana con l'autonomia amministrativa, quando nel I secolo a.C., venne elevata al rango di municipio, come capoluogo di una grande circoscrizione territoriale estesa tra i torrenti Idice e Sillaro, confinante ad ovest con Bononia e ad est con Forum Cornelii, attuale Imola.
I primi segni di una profonda crisi dovettero coincidere con il cambiamento delle strutture economiche, sociali e politiche dell'Impero, durante quel III secolo d.C. che vide il sopraggiungere delle prime incursioni barbariche anche nel cuore dell'Italia centro-settentrionale. La città si impoverisce lentamente e poche sono le iscrizioni, quasi tutte conservate nel Lapidario del Museo di Bologna: una ricorda come patrono della città Agrippa, l'amico e genero di Augusto; un'altra celebra la munificenza di un seviro che aveva fatto eseguire giochi durati sei giorni, ma pochissime iscrizioni hanno carattere sepolcrale.

Fonti:
ilgiornaledellarte.com
ilrestodelcarlino.it
sabapbo.beniculturali.it




Sardegna, l'antico tesoretto di Arzachena

Arzachena, il tesoro di monete del IV secolo d.C.
(Foto: archeomedia.net)

E' stato scoperto, nel mare della costa nordorientale della Sardegna, nel territorio di Arzachena, un ricco deposito di follis risalente alla prima metà del IV secolo d.C.
Secondo una prima stima, fatta sulla base del peso complessivo delle monete, il numero delle grandi monete di bronzo si aggirerebbe tra i 30.000 e i 50.000 esemplari. Molte di più, quindi, di quelle rinvenute nel 2013 nel Regno Unito, a Seaton, quando riemersero 22.888 follis. Oltre a queste ultime sono state individuate anche pareti di anfore di produzione africana e, in minor numero, di produzione orientale.
A scoprire i reperti è stato un privato cittadino che, nel corso di un'immersione, ha notato dei resti metallici a poca profondità, non molto distante dalla costa. Il giorno seguente il Nucleo archeologico subacqueo della Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio di Sassari e Nuoro, insieme con i Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale della Sardegna e del Nucleo Carabinieri Subacquei della Sardegna hanno eseguito una prima ricognizione del tratto di mare interessato.
Le immersioni hanno rivelato l'esistenza di due macro-aree di dispersione dei follis in un grande spiazzo di sabbia che si apre tra la spiaggia e la posidonia: quest'ultima, per posizione e morfologia del fondale, potrebbe conservare resti cospicui di un relitto.
Tutte le monete prelevate sono in uno stato eccezionale e raro di conservazione. Solo quattro pezzi risultano danneggiati, anche se comunque leggibili. Il contesto cronologico delle monete è riscontrabile in un arco temporale tra il 324 (monetazione di Licinio) ed il 340 d.C. Datazione confermata dalla presenza di monetazione di Costantino il Grande e da quella di tutti gli altri membri della famiglia presenti come cesari ma soprattutto dall'assenza di centenionales, coniati a partire dal 346 d.C. Il gruppo dei follis recuperato proviene da quasi tutte le zecche dell'impero attive in quel periodo ad eccezione di Antiochia, Alessandria e Cartagine.

Fonte:
cultura.gov.it

Aquileia, nuove scoperte nell'area dell'antico mercato

Aquileia, la scalinata acquea correlata alla banchina
sul fiume di una fase precedente del mercato
(Foto: Università di Verona)

Un'équipe dell'Università di Verona - Dipartimento Culture e Civiltà, sotto la direzione di Patrizia Basso, ha da pochi giorni concluso una nuova campagna di scavo nell'area del Fondo ex Pasqualis, posta all'estremità sudorientale di Aquileia. I lavori sono condotti su concessione ministeriale, in accordo con la Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio del Friuli Venezia Giulia.
Nel corso dei lavori di quest'anno è venuto alla luce un quarto lastricato, oltre ai tre già noti dagli scavi degli anni Cinquanta del Novecento. Il lastricato appena scoperto è ubicato ad est degli altri e a una quota più alta, perché probabilmente si adeguava al naturale andamento del terreno. Tale scoperta indirizza verso l'ipotesi di un grande complesso commerciale, costituito da almeno quattro edifici paralleli affiancati fra loro, ognuno caratterizzato da un'area scoperta attorniata da portici e botteghe: si tratterebbe di un mercato davvero straordinario per monumentalità e ampiezza, unico nell'impero, almeno allo stato attuale delle conoscenze, e quindi tale da attestare con particolare evidenza la vitalità di Aquileia come centro di scambi e commerci nel periodo tardoantico.
I quattro edifici dovevano essere composti in modo modulare (due a due), lasciando uno spazio intermedio fra loro, ove nello scavo di quest'anno è stata individuata una strada acciottolata, che dal decumano posto a nord del mercato e quindi dall'area della basilica portava al grande centro commerciale: essa permetteva il passaggio dei numerosi avventori che quotidianamente popolavano questi spazi e dei carri per il trasporto delle merci, come confermano anche le tracce individuate sul suo piano di calpestio.
Al mercato si accedeva anche dal fiume, attraverso una serie di ingressi aperti sul più esterno dei due muri di cinta urbani portati alla luce a sud delle stesse piazze e correlati a rampe per il trasporto delle merci. Infine, tra le scoperte di quest'anno, si segnala il rinvenimento lungo il muro perimetrale di uno degli edifici di una decina di anfore poste in posizione verticale, segate all'altezza della spalla e quindi mancanti del collo e dell'orlo. La loro funzione andrà chiarita con il seguito dei lavori, ma esse già da ora risultano riferibili ad una fase precedente alla realizzazione del mercato, quando nell'area esisteva una banchina fluviale e altre strutture ancora individuate solo parzialmente, perché in gran parte coperte dalle piazze. Di questa banchina è stata messa alla luce una scalinata acquea composta da quattro gradini in arenaria che era funzionale proprio alla discesa verso il fiume.

Fonte:
Università di Verona

domenica 5 novembre 2023

Brasile, la siccità rivela interessanti e antichi petroglifi

Amazzonia, i petroglifi scoperti (Foto: IPHAN)

I cambiamenti climatici e gli eventi atmosferici anomali rispetto a quanto gli scienziati sono abituati a registrare, portano anche a scoperte altrimenti inaspettate. La siccità del 2023 ha portato ad un abbassamento del livello delle acque del Rio delle Amazzoni in Brasile di ben 15 metri portando di conseguenza in superficie zone delle sponde e del letto del fiume fino ad ora nascoste. E proprio su alcune rocce ai bordi del fiume si sono rivelate delle incisioni sulle pietre che sembrano disegni di volti e persone. Dei petroglifi che già nel 2010, a seguito di analoga siccità, furono intravisti e che ora si ripresentano.
La scoperta è stata fatta nella zona di Manaus, nello stato di Amazonas, a Ponto das Lajes, vicino alla confluenza dei fiumi Rio Negro e Soimoes: qui sono nettamente visibili una serie di incisioni che compongono inequivocabilmente dei volti umani scolpiti nella pietra.
L'archeologo Jaime de Santana Oliveira, dell'Istituto Nazionale del Patrimonio Storico e Artistico (IPHAN), che sovrintende alla conservazione dei siti archeologici, ha spiegato che i primi ritrovamenti risalgono al 2010, ma la prolungata siccità, con il Rio Negro, il principale affluente del Rio delle Amazzoni, che è sceso di 15 metri da luglio, ha permesso di constatarne la numerosità e la qualità.
Le rappresentazioni sono per la maggior parte di volti, che la comunità locale chiama popolarmente "caretas", incisioni millenarie nascoste sott'acqua che rappresentano oltre alle figure umane anche degli animali ben prima dell'arrivo degli europei. Sono presenti anche incisioni che dimostrano la presenza di una sorta di officina litica con segni di lavorazione. Il sito di Lajes conserva ancora vasche di lucidatura locali dove, migliaia di anni fa, gli indigeni fabbricavano i loro strumenti, come le accette.
La siccità di portata storica, considerata la peggiore degli ultimi 121 anni, ha portato alla luce anche altri tre siti archeologici in diverse parti dello stato di Amazonas, completamente sconosciuti e di grande rilevanza. Si tratta delle rovine del Forte Sao Francisco Xavier, nel comune di Tabatinga (Amazonas), costruito nel corso del XVIII secolo sulle rive del fiume Solimoes, al confine tra Brasile, Colombia e Perù. L'edificio era l'ultima tappa per coloro che navigavano il Solimoes verso le Ande durante il periodo coloniale, in particolare le navi che si dirigevano verso la città spagnola di San Pablo de Loreto, in Perù, segnando i domini della corona portoghese nella regione amazzonica. Costruita in legno massiccio, la fortificazione aveva la forma di un esagono irregolare e conteneva nove pezzi di artiglieria, di cui ne restano cinque: due sono esposti al Museo di Storia Nazionale di Rio de Janeiro e tre alla caserma dell'esercito brasiliano di Solimoes.

Fonte:
finestresullarte.info



Egitto, scoperta la tomba dello scriba reale Djeuty-m-hat

Egitto, passaggio sotterraneo che conduce
alla camera sepolcrale di
Djeuty-m-hat (Foto: Luxor Times)

La missione archeologica della Faculty of Arts della Charles University di Praga ha di recente annunciato la scoperta della tomba di uno scriba reale, Djeuty-m-hat, nella necropoli di Abusir, appartenente alla XXVII Dinastia.
Si tratta di una scoperta molto importante, soprattutto se la si accosta a quella avvenuta circa un anno fa - sempre per mano della missione ceca - della tomba del comandante militare Wahibra-mery-neith: entrambe permetteranno agli studiosi di gettare nuova luce sul VI e V secolo a.C., anni tumultuosi per la storia dell'Antico Egitto.
La tomba è costituita da un pozzo che conduce ad una camera sotterranea, dove si trova il sepolcro, attraverso un passaggio orizzontale di circa 3 metri. Come afferma il diretto della missione ceca, il Dottor Miroslav Barta, la camera sepolcrale è ricchissima di iscrizioni, tra le quali compaiono alcune formule contro i morsi di serpente e alcune scene molto particolari. Gli archeologi, infatti, hanno scoperto che nella tomba dello scriba reale sono stati utilizzati frammenti di lastre con scene e iscrizioni provenienti dalla sepoltura del vicino Menekhibnekau, un generale coevo di Djeuty-m-hat.
Il soffitto della camera sepolcrale è decorato con le consuete scene del viaggio del sole, accompagnato da inni per l'alba e il tramonto. Di eccezionale pregio è sicuramente il sarcofago dello scriba reale: iscritto sia all'esterno che all'interno, presenta estratti del Libro dei Morti, dei Testi dei Sarcofagi e alcuni incantesimi per tenere lontani gli spiriti maligni, assieme alla raffigurazione delle dee Iside e Nefti. Nella parte interna è raffigurata Imentet, dea dell'Occidente, e il dio Geb, nell'atto di recitare incantesimi.
All'interno della sepoltura, come riportano gli archeologi, non sono stati rinvenuti elementi del corredo di Djeuty-m-hat: probabilmente doveva essere stato vittima dei saccheggiatori già nel V secolo a.C. Le analisi sul corpo del defunto, invece, hanno restituito interessanti informazioni: lo scriba reale aveva circa 20-25 anni al momento della sua morte e il suo corpo riporta segni di usura dovuti alla professione che svolgeva. L'erosione spinale e la grave fragilità ossea di cui soffriva Djeuty-m-hat sono elementi fondamentali per permettere agli antropologi di condurre uno studio sulla società del V secolo a.C. e, quindi, su altri uomini e donne sepolti nella necropoli di Abusir.

Fonte:
mediterraneoantico.it

Scozia, giardino con...strada romana

Gran Bretagna, lo scavo che ha portato alla scoperta
della strada romana (Foto: Stirling Council)

Una strada romana di duemila anni fa è stata scoperta nel corso di uno scavo archeologico condotto in un giardino in Scozia, vicino Stirling. E' stata descritta come la strada più importante nella storia del Paese e venne costruita all'epoca del generale Giulio Agricola, nel I secolo d.C. Essa portava, si pensa, ad un guado che attraversava il fiume Forth e fu utilizzata tra il II ed il III secolo d.C.
Questo percorso sarebbe stato utilizzato dalle legioni romane che stavano per invadere il territorio scozzese al tempo degli imperatori Antonino e Severo.
Il rinvenimento della strada romana è stato effettuato durante uno scavo nel giardino di un cottage del XVII secolo, chiamato Old Cottage Inn, antica locanda per mandriani.
Questa infrastruttura avrebbe avuto un'importanza strategica nel corso della storia, perché consentiva di guadare il fiume Forth e per la vicinanza a Stirling, ex capitale della Scozia. La strada cessò di essere manutenuta dopo che i Romani lasciarono il Paese e divenne, quindi, una cavità erosa.

Fonti:
bbc.com
Tg24.sky.it

mercoledì 1 novembre 2023

Creta, nuovi scavi nel palazzo di Archanas

Creta, alcuni ambienti del palazzo minoico di Archanas
(Foto: Ministero della Pubblica Istruzione)

Uno studio sul palazzo minoico di Archanas, sull'isola di Creta, ha rivelato che nell'adornarlo furono utilizzati numerosi effetti architettonici, quali il gesso, per far splendere l'edificio.
Il palazzo venne costruito per essere residenza estiva dei re di Cnosso ed è collocato nell'attuale Archanes, un ex comune di Heraklion.
Scavi precedenti hanno portato alla luce blocchi bugnati, placche di pietra calcarea, pavimenti in stucco, pavimenti in marmo blu, altari scolpiti e diversi affreschi risalenti al periodo Minoico Medio.
Gli ultimi scavi nella parte più settentrionale del palazzo hanno rivelato che pilastri, porte multiple ed ingressi erano stati ricoperti di gesso. La parola gesso deriva dal termine greco gypsos. Si presenta in natura sotto forma di cristalli appiattiti e spesso agglomerati e di masse trasparenti e scindibili chiamate selenite.
Gli scavi hanno individuato, grazie ai resti di vasi in pietra, in cristallo ed in steatite anche l'esistenza, nel palazzo, di un santuario. Sono stati trovati anche frammenti di ossidiana, un materiale non comune nella Creta del 1600 a.C. L'abbondanza di ossidiana trovata, secondo gli archeologi, suggerisce un utilizzo rituale di questo materiale.
Negli strati superiori sono stati rinvenuti anche un frammento di fibbia in bronzo ed il piede di una coppa micenea, unitamente ad un moneta della Venezia dei Dogi e ad una moneta americana datata 1963. Altri frammenti di coppe coniche e di piccoli vasi sono la testimonianza di scavi clandestini nell'area del palazzo, scavi condotti dai proprietari della sovrastante casa.

Fonte:
heritagedaily.com

Croazia, dipinto di Madonna attribuito a Giovanni Bellini

Croazia, la Madonna con Bambino attribuita a Giovanni
Bellini (Foto: Università Ca' Foscari - Venezia)

Una giovane studiosa dell'Università Ca' Foscari di Venezia avrebbe scoperto in Croazia una Madonna con Bambino di Giovanni Bellini, finora sconosciuta. 
Il dipinto è custodito nel piccolo museo del monastero benedettino di Santa Margherita sull'isola di Pag. Si tratta di un dipinto su tavola di 54,5 per 44,5 centimetri e presenta notevoli problemi di conservazione.
Beatrice Tanzi, la giovane ricercatrice in parola, non ha avuto dubbi ed ha riconosciuto nel quadro la mano del giovane Bellini, che l'avrebbe eseguito tra il 1455 ed il 1465. Se l'attribuzione fosse confermata, si tratterebbe della prima opera realizzata dall'artista per i territori orientali della Serenissima.
"L'importanza peculiare del dipinto - ha spiegato l'autrice della scoperta - è, in primis, che si tratta di un'opera giovanile di quello che sarà il più grande pittore del Quattrocento veneziano, riemersa non dal mercato antiquario, ma nel luogo a cui era verosimilmente destinata". E' da oltre un secolo, infatti, che un dipinto di Bellini non viene ritrovato nella sua sede originaria.
Noto agli storici croati da circa quarant'anni, ma sconosciuto in ambito internazionale, il quadro era stato attribuito in passato alla bottega di Francesco Squarcione, alla cerchia di Andrea Mantegna e a Bartolomeo Vivarini. Al di là delle estese cadute di colore, le porzioni rimaste integre rivelano una qualità raffinatissima, esente da importanti ridipinture.
La tavola presenta una Madonna con Bambino con in mano un frutto, probabilmente un melograno, e un paesaggio collinare sullo sfondo. Ed è proprio nel paesaggio che Beatrice Tanzi ha rintracciato uno degli elementi caratteristici della pittura di Bellini: la vegetazione delle colline e i corsi d'acqua prendono forma in tocchi lievi e quasi miniaturistici, come nella Crocifissione custodita nel Museo Correre, nell'Uomo dei dolori del Museo Poldi Pezzoli a Milano o nella Madonna Fodor di Parigi.
Il viso della Vergine, per quanto più compromesso rispetto a quello del bambino, è stato ricondotto dalla studiosa alle figure femminili presenti nella Natività della Vergine della Galleria Sabauda di Torino o a quelli della Sant'Orsola con le compagne e la donatrice delle Gallerie dell'Accademia e della Madonna Johnson del Philadelphia Museum of Art, nelle quali si può cogliere ancora l'intreccio con le opere mature del padre Jacopo, come la Madonna dei cherubini.
Non abbiamo notizie certe su come e perché il dipinto sia arrivato in Dalmazia. L'ipotesi è che anticamente fosse collato nella cappella di San Nicola, all'interno della chiesa del monastero di Pag e che fosse inserito in una carpenteria a cuspide, forse come parte di un trittico o di un polittico, anche se, sottolinea Beatrice Tanzi, i frammenti di pittura presenti negli angoli superiori della tavola sembrano escludere questa possibilità.
Sulla scorta di ricerche condotte dal croato Emil Hilje, la studiosa di Ca' Foscari ha ipotizzato un legame dell'opera con la famiglia Misolic (latinizzato in De Missolis), tra le più in vista sull'isola di Pag tra il '400 ed il '500. A commissionarla potrebbe essere stato Giorgio Misolic, nobile e membro del Gran Consiglio della città, conte palatino, capitano di galea e incaricato di dirimere le questioni legate alla vendita del sale a Venezia. Misolic aveva anche avuto un ruolo di rilievo nella costruzione della nuova chiesa delle benedettine a Pag, commissionando a Giorgio Dalmata, il più grande architetto e scultore della Dalmazia, una cappella al suo interno. E' molto probabile che un personaggio della sua statura economica e culturale avesse dimestichezza con i circuiti artistici più innovativi della Venezia quattrocentesca, dei quali Giovanni Bellini fu la punta di diamante.

Fonte:
arte.it


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