sabato 26 maggio 2012

L'ombra di Micene

Micene, la cosiddetta maschera di Agamennone
Agamennone, figlio di Atreo, re di Micene e suo fratello Menelao, vuole la leggenda, si recarono a Sparta dove Agamennone prese in sposa Clitennestra, figlia di Tindareo, re della città, dalla quale ebbe quattro figli: Ifigenia, Crisotemi, Elettra e Oreste. Omero vuole che Agamennone sia succeduto, in modo del tutto pacifico, a Tieste sul trono di Micene. Proprio per questo, quando Elena, moglie di Menelao, venne rapita, fu Agamennone a comandare i Greci a Troia. Questi sono, nell'immaginario collettivo, i reali di Micene, antica città ancora confinata nel mito.
L'antica e suggestiva città di Micene sorge in cima a una collina nella piana dell'Argolide. Omero la chiamò "la ricca d'oro", una terra intrisa di miti e leggende per lo più tragiche che riguardarono i suoi regnanti di un tempo. La scoperta della città è dovuta a Heinrich Schliemann (1822-1890), il quale aveva a sua guida i versi di Omero e le descrizioni di Pausania. L'archeologo dilettante mise in luce, tra il 1874 e il 1876, un circolo di tombe dove i defunti erano stati inumati con corredi favolosi, testimonianza di una civiltà opulenta.
Micene, la Porta dei Leoni
La leggenda vuole che la città di Micene sia stata fondata da Perseo, re di Tirinto, figlio di Zeus e Danae, che ordinò ai Ciclopi di costruire mura imponenti per proteggerla. Dopo la morte dell'ultimo discendente di Perseo, venne scelto come re Atreo, figlio di Pelope ed Ippodamia, capostipite di una nuova dinastia le cui tragiche vicende personali sono state descritte in molte delle tragedie greche, prime tra tutte le tragedie della trilogia di Eschilo l'Orestea. La serie di disgraziate vicende ebbe inizio quando Atreo diede da mangiare al fratello Tieste i suoi stessi figli, attirando, in tal mondo, la maledizione degli dèi. Maledizione che si sarebbe estesa a tutta la discendenza di Atreo. Agamennone, suo figlio, fu assassinato al ritorno dalla guerra di Troia dalla moglie Clitennestra e dall'amante Egisto. Oreste, figlio di Agamennone, per vendicare il padre uccise la propria madre e il di lei amante e venne perseguitato dalle Erinni fino a quando sarà liberato dal giudizio dell'Areopago di Atene presieduto da Athena stessa.
La civiltà che espresse Micene nacque nella seconda metà del XVII secolo a.C. da culture locali della media Età del Bronzo. Intorno al 1600 a.C. l'eruzione devastante del vulcano di Thera cambiò la fisionomia politica dell'Egeo. La flotta minoica scomparve del tutto e i Micenei approfittarono del collasso di quella civiltà per invadere l'isola di Creta e distruggere i palazzi che la punteggiavano. Poi stabilirono a Cnosso la loro residenza.
Micene, dromos di accesso alla cosiddetta
Tomba di Agamennone
Gran parte di quello che si conosce della civiltà micenea è dovuto a quanto è stato trovato nelle tombe di Micene. Gli esponenti di questa cultura controllavano il flusso di una serie di metalli strategici quali il rame, lo stagno e l'oro. Nel XVI secolo a.C. essi iniziarono a costruire tombe sempre più impressionanti, in pietra, con una cupola chiamata tholos e un corridoio monumentale di accesso. Erano tombe collettive, destinate ad ospitare i membri delle grandi famiglie aristocratiche che governavano Micene. Lungo i pendii della collina dove sorge Micene sono state ritrovate la cosiddetta Tomba di Egisto (1500 a.C.), la Tomba del Leone (1350 a.C.), la Tomba detta di Clitennestra (1220 a.C.) e, infine, quella di Atreo (1200 a.C.).
Il culmine questa civiltà lo raggiunse tra il 1400 e il 1150 a.C., quando furono edificate vaste regge provviste di magazzini e sofisticati sistemi idraulici, legate a porti sulla costa.
La scrittura di Micene è stata battezzata dagli studiosi "Lineare B" ed era utilizzata per trascrivere note contabili su tavolette di argilla cruda. Se ne sono trovate diverse in tutta la Grecia peninsulare, a Micene, Pilo, Tirinto, Tebe ed anche a Creta. La scrittura, e conseguentemente anche le tavolette, fu decifrata negli anni '50 del secolo scorso da Michael Ventris (1922-1956).
Atene, Museo Nazionale, il tesoro delle tombe di Micene
Micene, fortificata sin dal IV millennio a.C., era posta in corrispondenza di un importante nodo strategico. Qui passavano piste di terra e rotte del Mediterraneo Orientale. Il palazzo reale era stato edificato tra il XIV e il XIII secolo a.C. su terrazze artificiali e naturali, a più piani sovrapposti, con le pareti composte da intelaiature ortogonali di pali che bloccavano la pietra e l'argilla. L'esterno era rivestito da blocchi di calcare, mentre l'interno era intonacato e rivestito di affreschi. Di questa reggia resta, oggi, solo il nucleo centrale, il megaron, la sala del trono con un grande focolare al centro attorniato da quattro colonne. Qui si riuniva il consiglio, qui il re dava udienza, qui si svolgevano le riunioni familiari. Nel palazzo si trovavano anche gli archivi e i laboratori artigianali, i magazzini e piccoli ambienti di culto.
Attorno al palazzo di Micene si trovavano le abitazioni dei funzionari, degli artigiani e di parte del clero. Le possenti mura delimitano un triangolo che si estende per 900 metri e circonda una superficie di 3000 metri quadrati. Sono composte da enormi blocchi grezzi che, nei punti critici, sono sostituiti da pietre squadrate e lisciate. La prima cinta muraria venne costruita nel 1350 a.C. e lasciava fuori il circolo sepolcrale aristocratico, che fu incluso in una seconda cerchia di mura, edificata nel 1250 a.C.
Micene, il megaron
Al vertice di Micene vi era il wa-na-ka (l'anax della futura tradizione greca), assistito dal ra-wa-ge-ta (il duce del popolo, forse il comandante dell'esercito). A scalare nella gerarchia di palazzo si trovavano il te-re-ta, una specie di sacerdote che aveva il compito di distribuire le terre, il qa-si-re-u (che, in seguito, diventerà il basileus, il re, il capo) e l'e-qe-ta, il cavaliere. Il clero, ovviamente, godeva di un grandissimo prestigio ed era considerato una classe a se stante.
I cittadini liberi coltivavano la terra e allevavano il bestiame. Tutti insieme formavano il da-mo (demos in greco, popolo). La schiavitù era piuttosto diffusa. La terra coltivabile era divisa tra possedimenti del palazzo e terra comune, a disposizione del da-mo. Si coltivavano orzo e grano, l'olivo e la vite, il fico e il sesamo. Dalle pecore si otteneva la lana.
Furono altre popolazioni, i Dori o i cosiddetti Popoli del Mare, a determinare la fine di Micene. Le stesse popolazioni che si installarono provvisoriamente sulle sue rovine, costruendovi sopra ma non riuscendo a restituire alla città il passato prestigio. In età romana Micene era ridotta ad un piccolo borgo spopolato, perlomeno così la descrive Pausania. Nel V secolo d.C. la città era ridotta a poche capanne e subì un devastante incendio che la distrusse. Venne ricostruita come borgata agricola su un'altura poco distante.
Schliemann, che scoprì la necropoli reale di Micene, era convinto di aver riportato alla luce i tesori e i ricordi dei re omerici. In realtà i gioielli che aveva trovato nella necropoli di Micene furono successivamente datati ai secoli XVI e XII a.C.. Oltre ai gioielli furono ritrovati sigilli, ceramiche e tavolette inscritte.
Micene, circolo delle tombe reali
Oltre al megaron, dell'antica, potente Micene rimane la monumentale Porta dei Leoni, preceduta da un bastione che permetteva di colpire gli eventuali nemici in avvicinamento dal lato del braccio armato non protetto dallo scudo. La Porta prende il nome dal massiccio architrave sormontato da una grande lastra triangolare con due leoni o leonesse affiancate. Lo stesso motivo si ritrova in alcuni sigilli. Una composizione che ricorda da vicino alcuni aspetti dell'arte ittita.
Della metà del XIII secolo a.C. è il cosiddetto Tesoro di Atreo o Tomba di Agamennone, che ospitava i resti di un sovrano che, probabilmente, portò a compimento la rocca. La tomba è simile ad altre tholoi del Mediterraneo orientale ed ha un aspetto monumentale. E' alta 13 metri con un diametro di 14,50. Il dromos di accesso è lungo 36 metri ed ha le pareti rivestite di pietra. Il portale che immetteva nella sepoltura era decorato con semicolonne in calcare verde con motivi a zig-zag sul fusto, un fregio con rosette sull'architrave della porta e una decorazione a fasce con spirali sulla lastra di marmo rosso che chiudeva l'apertura triangolare sull'architrave.
In un altro circolo funerario, chiamato Circolo B, più antico, sono state ritrovate 24 tombe a fossa, delle quali almeno 14 erano tombe reali. Ogni tomba all'esterno era contrassegnata da un piccolo recinto di pietre e da una stele a motivi geometrici e figurati.
E' tutto quel che rimane dell'antica, potente, città di Agamennone.

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