domenica 8 luglio 2012

Il sarcofago dello Sperandio

Il sarcofago dello Sperandio
Il sarcofago etrusco dello Sperandio si chiama così dal nome della necropoli in cui fu rinvenuto nel 1843, necropoli del III-II secolo a.C. che si trova nei pressi della Villa dello Sperandio, antico convento del '500. All'interno di uno dei sarcofagi contenuti nella sepoltura è stato ritrovato uno scheletro femminile, l'ambiente era riccamente arredato con suppellettili d'oro, oggi custodite nel Museo Archeologico di Firenze.
Una delle caratteristiche che contraddistinguono il sarcofago dello Sperandio è la costruzione in pietra fetida, che lo collocano tra la produzione chiusina di età arcaica (500 circa a.C.). Questo spettacolare sarcofago si trova, oggi, nel Museo Archeologico Nazionale di Perugia. Il suo "proprietario" era un uomo, forse un guerriero, poiché accanto alle spoglie del defunto sono state ritrovate armi in ferro. L'uomo apparteneva sicuramente ad un'élite locale. Gli archeologi pensano che il sarcofago sia stato commissionato ad una bottega chiusina e che sia poi stato trasportato a Perugia.
Il reperto è ben conservato e presenta tracce del colore originale, specialmente nelle due scene laterali, dove compare il tipico banchetto etrusco. Tre personaggi sono distesi su una kline a più posti, l'uomo al centro della scena poggia la mano destra sulla spalla di chi gli sta davanti che, a sua volta, con la mano destra regge la kilyx per il gioco del kottabos. Compare anche un suonatore di lira mentre, ai piedi del letto, un giovane schiavo nudo serve il banchetto.
Il banchetto etrusco aveva una componente altamente spirituale, profondamente connessa alla religione ed al culto dei morti ma rappresentava anche lo status sociale del defunto. Solo dal 500 a.C. si cominciò a rappresentare, nelle scene di simposio nelle tombe etrusche, anche le donne.
Il sarcofago, sorretto da zampe leonine, presenta una scena molto interessante sulla fronte: un lungo corteo guidato da un giovane, al quale sono legati tre uomini barbuti con una fune al collo, forse prigionieri. Il corteo procede da sinistra verso destra. Seguono il giovane due donne, tre uomini affiancati da un cane domestico con collare e due cavalli carichi. Il corteo è chiuso da altri personaggi maschili e da un gregge di capre e bovini. Tutti gli uomini raffigurati sulla superficie del sarcofago impugnano un'arma (aste appuntite, lance, bastoni). Una figura regge in una mano un lituo, un'insegna sacerdotale etrusca, e nell'altra la machaira, la sciabola dalla lama ricurva in uso dal VI secolo a.C.
Particolare del sarcofago con tracce di colore
La scena è stata oggetto di diverse interpretazioni: il ritorno di un eroe dalla guerra o dalla razzia di un territorio; il trasferimento di un gruppo familiare in un territorio da colonizzare. Tra il VI e il V secolo a.C., periodo in cui fu scolpito ed utilizzato il sarcofago in questione, l'attività bellica era una costante economica e sociale delle città etrusche in generale e di Chiusi e Perugia in particolare. I personaggi, però, indossano abiti civili e, malgrado la presenza di armi, non sono raffigurati elmi o schinieri.
Un'altra lettura vuole che la scena sia un ver sacrum, una consuetudine rituale dei popoli italici. Si trattava della migrazione di un gruppo sociale nel caso di sovrappopolazione o di altri eventi naturali che potevano mettere in pericolo la sopravvivenza di un popolo. Si chiamava ver sacrum (primavera sacra) perché solitamente si svolgeva in primavera e prevedeva il sacrificio da parte della parte più giovane della popolazione che, volontariamente, lasciava la propria gente e la propria terra per migrare verso nuovi territori.

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