lunedì 11 febbraio 2013

I Romani e gli Italici

Gli antichi Romani, agli esordi della loro storia, non mancarono di dimostrare l'aspetto predatore del  loro comportamento, soprattutto nei confronti delle piccole tribù delle colline circostanti: i Volsci, gli Equi, i Sabini e gli Ernici.
Durante il VI secolo a.C. Roma adottò la falange in stile greco, composta da cittadini abbastanza ricchi da potersi permettere una panoplia (armatura) da oplita. La riorganizzazione sociale, politica e militare di Roma avvenne sotto il regno di Servio Tullio (579-534 a.C.), che volle creare un esercito cittadino. Fu fatto, in questo caso, un censimento di tutti i cittadini maschi in età adulta, che vennero, in seguito, ripartiti in classes (classi), in base al valore dei loro beni.
Tito Livio scrive che le classi serviane I, II e III combattevano con la panoplia oplitica. I membri della classe I erano dotati di un clipeus circolare, uno scudo di circa 90 centimetri di diametro, attaccato al braccio sinistro. Le classi II e III, invece, utilizzavano lo scutum ovale, uno scudo italico.
I cittadini si riunivano nel Campus Martius (Campo Marzio), uno spazio posto all'interno del pomerium cittadino. Qui si discuteva se dichiarare guerra o accettare i trattati di pace, si eleggevano i consoli, i pretori e i censori e si discutevano i casi giudiziari più importanti. I cittadini opliti erano essenzialmente contadini e agricoltori e potevano lasciare il lavoro nei campi solo per poche settimane.
All'inizio del IV secolo a.C. Roma iniziò a pagare i cittadini-soldati per la durata della campagna militare. Il salario non era elevato e non consentiva, pertanto, di poter scegliere la "professione" di soldato. In questo periodo la preoccupazione essenziale dei Romani erano i popoli che abitavano nelle vicinanze della città: gli Etruschi a nord, i Latini a sud, i Volsci e gli Equi ad est.
Entro la metà del IV secolo a.C. i Romani avevano sottomesso i Latini, stabilitisi in una zona aperta a sud del Tevere chiamata Latium, e i Sabini, che vivevano sulle montagne ai confini del Lazio. In questo modo i Romani controllavano l'estremità settentrionale della strada principale che portava all'Agro Falerno, abitato dai Campani, discendenti dei Lucani di lingua osca. Costoro si opponevano ai bellicosi Sanniti, popolazione Osca stanziata soprattutto nel territorio montuoso dell'Italia centromeridionale. Roma appoggiò i Campani contro i Sanniti, dando luogo alla prima guerra sannitica (343-341 a.C.). A questo conflitto seguì la guerra latina (341-338 a.C.), in cui i Romani si allearono con i Sanniti per combattere i Latini.
Le fonti relative sia alla prima che alla seconda guerra sannitica (327-304 a.C.) sono piuttosto scarse. Quest'ultima ebbe inizio quando i cittadini italo-greci di Neapolis si rivolsero a Roma chiedendo aiuto contro i Sanniti che occupavano la città con una guarnigione. L'esercito romano subì una sconfitta e l'umiliazione delle Forche Caudine (321 a.C.), il cui seguente trattato divenne inutile non appena Roma riprese la lotta.
La terza guerra sannitica (298-290 a.C.) segnò la definitiva scomparsa dei Sanniti in quanto popolo libero. Nel 290 a.C. i Romani avevano sottomesso l'intero Sannio e minacciavano la Lucania. La romanizzazione della penisola si completò nel 272 a.C., con il saccheggio della città italo-greca di Taras (Tarentum per i Romani, oggi Taranto), che vollero così punire la città per aver chiamato in Italia Pirro, re dell'Epiro nel 281 a.C., parente della casa reale di Alessandro Magno. Il territorio di Tarentum fu conquistato e reso terreno pubblico e il commercio marittimo, che costituiva la base della prosperità della città, fu trasferito per sempre dall'altra parte del promontorio, a Brundisium, Brindisi, che divenne colonia latina nel 244 a.C.

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