sabato 27 luglio 2013

Memorie dalla Selva del Lamone

Selva del Lamone, sentiero
La Selva del Lamone è stata sempre considerata un luogo inospitale e marginale. Le ricerche archeologiche che vi sono state condotte, invece, hanno sottolineato quanto fosse intensamente sfruttata e frequentata.
Il sistema insediativo si è sviluppato sui margini di un'eruzione vulcanica. Nella fase pre-protostorica i villaggi che vi erano stati insediati distavano tra loro circa 500 metri e coronavano la selva unitamente ad alcune necropoli monumentali (tombe a camera dell'Età del Bronzo Medio di Prato di Frabulino e Roccoia).
I defunti erano deposti in posizione rannicchiata, unitamente agli oggetti del loro corredo, quali cuspidi di freccia in selce, accettine e pugnaletti in rame ed i tipici vasi a fiasca. Spesso le sepolture erano utilizzate più di una volta, forse dai membri della medesima famiglia, e le ossa che vi sono state ritrovate erano ricoperte talvolta di ocra o cinabro.
Nel 1992 fu scavata una sepoltura del Bronzo Medio in località Prato di Frabulino, il cui corredo apparteneva a quattro individui, due dei quali di sesso femminile. Sono stati ritrovati, in questo contesto, vasi miniaturistici, una collana in faience e tre fermatrecce in argento a testimonianza del rango elevato dei defunti.
Un'altra necropoli dell'Età del Bronzo è stata scoperta di recente presso l'insediamento di Roccoia, lungo il corso del fiume Olpeta. L'area è tuttora in fase di scavo da parte del Centro Studi di Preistoria e Archeologia di Milano in collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Etruria Meridionale. Sono emerse, nel corso dello scavo, quattro tombe affiancate e scavate nel tufo, lungo quella che sembra essere stata una via sepolcrale.
Sempre nella Selva del Lamone da trent'anni si scava l'abitato di Sorgenti della Nova, un villaggio posto su uno sperone tufaceo, circondato dai torrenti Varlenza e Porcareccia e dalla sorgente del Fosso la Nova, uno degli affluenti del Fiora. Il villaggio aveva capanne poste sulla sommità dello sperone e sui terrazzamenti artificiali che si trovano lungo i fianchi di quest'ultimo. Le capanne avevano forme e dimensioni diverse. Lo scavo e lo studio di questo insediamento ha permesso agli archeologi di ricostruire la vita delle popolazioni della media valle del Fiora alla fine del II millennio a.C..
Lo spazio abitativo delle capanne era suddiviso in modo razionale ed ha restituito contenitori per la conservazione di liquidi e granaglie, fornelli, un colatoio per la lavorazione del formaggio, ciotole per attingere le bevande e vasi biconici destinati alla dispensa.
In epoca etrusca la regione compresa tra Vulci e il lago di Bolsena e tra le valli dei fiumi Fiora e Albegna, faceva parte dell'agro vulcente, controllato dall'aristocrazia della potente città etrusca attraverso centri minori quali Castro, Poggio Buco, Pitigliano, Sovana e Bisenzio. Nel VII secolo a.C. iniziò lo sfruttamento agricolo della regione e l'insediamento di fattorie collegate da una rete viaria a Vulci.
L'unica tomba monumentale di questo periodo presente nella Selva del Lamone è quella del Gottimo, posta lungo il fiume Olpeta e databile al VI secolo a.C.. Vulci riorganizzò, tra la fine del VI e gli inizi del V secolo a.C., il territorio fondando molti siti sparsi.
In età ellenistica molti abitati si concentrano nella selva e lungo il medio corso dell'Olpeta. Uno dei più significativi è Rofalco, abitato fortificato fiorente tra il IV ed i primi anni del III secolo a.C., che controllava militarmente un territorio formalmente non dipendente da Vulci. Impressionante è la cinta muraria che proteggeva l'insediamento, dotata di torri quadrate e completamente realizzata in blocchi di pietra lavica del Lamone. I quartieri di Rofalco erano composti da edifici adibiti, con tutta probabilità, a magazzini e da abitazioni private. Sono state recuperate ceramiche da mensa e da cucina, grandi doli per la conservazione delle derrate, pesi da telaio e rocchetti e macine per la lavorazione delle granaglie.
Territorio vulcente
Rofalco fu spazzato via in modo violento dai Romani intorno al 280 a.C.: sono state trovate, infatti, tracce d'incendio, punte di lance e numerose ghiande-missili. Nelle epoche successive il centro non fu più rioccupato. Il territorio in cui si trova la Selva del Lamone venne sottoposto alla praefectura di Saturnia, colonia romana fondata nel 183 a.C.
Il I secolo a.C., a causa delle guerre tra Mario e Silla, vide lo spopolamento degli insediamenti ancora esistenti nel territorio che un tempo apparteneva alla città di Vulci e posto tra il Fiora e il lago di Bolsena. Alcuni di essi riescono a sopravvivere fino al IV-V secolo d.C.. Il territorio ospita piccole fattorie rustiche e ville di notevole estensione, soprattutto nel III-IV secolo d.C.
Scavi di Vulci
Nel II-III secolo d.C. il municipium di Visentium acquistò sempre maggiore importanza rispetto a quelli di Castro e di Vulci, in piena decadenza e l'asse viario Tuscania-Piansano-Latera assunse sempre più importanza rispetto al percorso della Clodia e di Castro.
Le guerre greco-gotiche, le carestie e le pestilenze portarono, soprattutto nel VI secolo d.C., ad un progressivo spopolamento del territorio. I trasporti via terra furono interrotti e la zona di Lamone divenne una fascia di confine tra l'area controllata dai Bizantini e quella sotto il controllo longobardo. Molti toponimi di origine germanica ricordano proprio la presenza dei Longobardi nella regione. Questi occuparono il territorio tra il 597 (assedio di Sovana) e il 607. Nell'VIII secolo d.C. terminò il dominio longobardo ad opera dei Franchi che donarono l'Alto Lazio alla Chiesa.

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