domenica 9 febbraio 2014

I greci e il simposio

Scene di banchetto dalla Tomba del Tuffatore di Paestum
Tra le immagini più ricorrenti sui vasi sia greci che etruschi, vi è certamente quella del banchetto. L'usanza di banchettare sdraiati su letti triclinari, il braccio sinistro appoggiato sul cuscino posto sotto la nuca mentre il braccio destro libero, compare, per la prima volta, nell'arte assira. Un rilievo proveniente dal palazzo di Assurbanipal (669-626 a.C.) raffigura il re, adagiato su un letto, e la regina seduta su un trono ai suoi piedi.
La rappresentazione del banchetto è mediata, in Occidente, soprattutto dalla ceramica corinzia ed attica che, affluendo sul mercato etrusco, fa conoscere il vero e proprio rito che si svolgeva attorno alle tavole imbandite (seconda metà del VI secolo a.C.).
I Greci mangiavano tre volte al giorno: al mattino (akràtisma), a pranzo (àriston) e la sera (déipnon). I cibi erano piuttosto poveri: una specie di focaccia d'orzo (màza), vari tipi di insalata, aglio e cipolla. Per questo i Greci erano soprannominati dagli stranieri mikrotràpezai (tavole piccole) o phillotròghes (erbivori). Ad essere più abbondanti erano i banchetti. La cena cominciava solitamente al tramonto e non era consentito bere vino. Quest'ultimo era al centro, invece, del simposio (detto anche déuterai tràpezai, seconde tavole, il cui significato deriva dalle parole syn, "insieme" e pinein, "bere") che seguiva alla cena e che poteva durare fino alle prime luci dell'alba. Il convito si svolgeva nell'andròn, la sala degli uomini, al cui centro era posto il cratere (kratèr, dalla stessa radice di kerànnumi, "io mescolo"), un vaso di grandi dimensioni, in cui il vino era mescolato all'acqua. I convitati avevano solitamente il capo e il petto ornato di corone di fiori e di mirto o di edera, il corpo unto di profumo.
Il vino era il protagonista, dunque, del simposio. Lo si beveva accompagnandolo con il formaggio, cibi piccanti, spezie e frutta secca o esotica. Il vino veniva mescolato con acqua nei crateri, in proporzione di una parte di vino e tre di acqua. Era  molto più difficile che si trovasse vino in proporzioni maggiori. Bere vino puro era considerato un'usanza barbara. L'acqua con la quale veniva mescolato il vino poteva essere calda o fredda. D'estate il vino era mescolato spesso a neve o ghiaccio o posto in contenitori detti psyktéres, tenuti nel ghiaccio.
Prima dell'inizio del simposio si tirava a sorte con i dadi un simposiarca, il quale doveva decidere la giusta proporzione del vino, il numero delle coppe per ciascun commensale e le norme che avrebbero regolato la festa. Si iniziava a bere in coppe piccole per aumentare la loro dimensione mano a mano che si proseguiva nel simposio.
Bambini e donne non potevano partecipare ai banchetti greci. Solo le etère avevano accesso al simposio. Si trattava solitamente di prostitute di alto bordo, istruite nel canto, nella danza, nella filosofia. Tra gli Etruschi, invece, era uso che partecipassero ai banchetti anche le donne, sovente sulla stessa klìne degli uomini, con grande perplessità e scandalo dei Greci.
Per il simposio era piuttosto frequente che numerosi amici si riunissero portando ciascuno dei cibi pronti entro dei canestri (spyris): erano i cosiddetti pasti "alla cesta", che compaiono in numerose raffigurazioni vascolari.
La musica aveva, con il vino, un ruolo centrale nel simposio greco. Il canto conviviale (skòlion) era nato a Lesbo nel VII secolo a.C., ma vi erano anche canti improvvisati che, spesso, venivano riuniti in raccolte popolari. I convitati cantavano a turno, chi sapeva suonare si dilettava con la lira mentre gli altri si passavano un àisakos, vale a dire un ramoscello di alloro o di mirto.
La lira, spesso ricavata dal guscio di una tartaruga, accompagnava il canto conviviale mentre il flauto faceva da sfondo alle libagioni. Altri strumenti che si potevano trovare spesso nei banchetti erano la cetra, i crotali o piccoli tamburi.
Tra i giochi che rallegravano i convitati vi erano indovinelli ed enigmi ma, soprattutto, il gioco del kòttabos. Questo consisteva nell'affondare o rovesciare piccoli recipienti, in equilibrio instabile su una particolare asta. Inizialmente il kòttabos era una forma di libagione ma si trasformò ben presto in un'esibizione di carattere amatoria, dal momento che chi colpiva il bersaglio pronunciava il nome della persona di cui sperava di conquistarsi il favore. La pratica del kòttabos era, secondo i Greci, una tra le più grandi scoperte dell'umanità, scoperta che era attribuita ai Siculi. Il termine kòttabos, infatti, sembra la resa greca di una parola non greca: guttus, che diventa kott- e abos, un suffisso non greco. Il gioco è testimoniato tra il VI e il III secolo a.C.. Vi erano due versioni: il tipo classico (kòttabos kataktòs) che prevedeva il lancio del residuo di vino contro il piattello in cima all'asta di bronzo, in modo che cadesse su un piattello posto su un livello più basso, producendo, in questo modo, rumore; il kòttabos en lekànai, in cui si lanciava il vino contro piccoli vasi che galleggiavano in un recipiente. Chi colpiva di più vinceva di più.
Si poteva assistere, nel corso del simposio, anche a spettacoli di mimi oppure alle esibizioni di giocolieri e istrioni, come si legge nel "Simposio" di Senofonte (V-IV secolo a.C.). Il numero degli invitati era generalmente circoscritto, compreso tra quello delle Muse e quello delle Grazie, vale a dire da nove a tre.
Nella sala del banchetto i convitati si disponevano in modo tale da essere a portata di voce e di sguardo degli altri. Le sale per banchetti sono emerse in diversi scavi archeologici: nel santuario di Artemide a Brauron ci sono nove di queste sale, di dimensioni identiche, aperte lungo il portico. Ciascuna sala accoglie undici klinai.
Il simposio era una forma di socialità che durò quanto il mondo antico. I Greci estendevano la felicità che dava il simposio anche ai defunti: all'iniziato veniva promesso che da beato celebrerà banchetti con perennemente sul capo una corona di fiori. Il valore del simposio era anche sacrale. bere significa penetrare nel demoniaco e l'offerta, la libagione, reca in sé un elemento di magia. Sacrale è l'abluzione delle mani e la corona che si pone in testa. Il vino che si beve non è semplicemente e solamente un dono degli dèi, ma una divinità essa stessa, chiamata Bacco, Bromio, Dioniso.
Il simposio si concludeva con un allegro corteo, il kòmos, che vedeva i convitati sciamare nelle vie della città.

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