venerdì 25 aprile 2025

Egitto, scoperta la sepoltura del principe User ef Ra

Egitto, la monumentale falsa porta 
della tomba di Userefra, V Dinastia
(Foto: MoTA)
L'Egitto continua a riservare straordinarie sorprese. E' stata, infatti, scoperta di recente una tomba di altissimo rango, la sepoltura del principe User-ef-Ra (o Waser-If-Ra), figlio del sovrano fondatore della V Dinastia Userkaf (2494-2487 a.C. circa). Userkaf non diede solo inizio alla sua Dinastia, ma fu anche promotore del culto di Ra, tanto che durante il suo breve regno lo introdusse come culto di Stato. Suo, infatti, è il primo tempio solare. Lo costruì ad Abu Ghurab. Dopo di lui questo genere di struttura verrà edificato da tutti i sovrani della V Dinastia. Seguendo il suo programma politico-spirituale diede ai sui figli - Userefra (titolare della sepoltura appena rinvenuta) e Sahura (successore al trono) - un nome legato alla divinità solare.
Nella sepoltura sono stati trovati importanti e monumentali manufatti risalenti non solo all'Antico Regno ma anche al Periodo Tardo.
Diversi sono gli elementi rinvenuti degni di nota, ma la monumentale falsa porta in granito rosa è la più grande mai rinvenuta in Egitto. Alta 4,5 metri e larga 1,15 metri, la falsa porta è incisa con testi geroglifici che riportano i titoli di Userefra, tra questi: "Principe Ereditario", "Governatore di Buto e Nekheb", "Scriba Reale", "Visir", "Giudice" e "Sacerdote Cantore". Ai suoi piedi una tavola per offerte in granito rosso dal diametro di 92,5 centimetri incisa con dettagliati elenchi di offerte rituali per il nutrimento del ka del principe defunto. Probabilmente doveva trattarsi di una base per colonna riadattata per l'uso.
Altro reperto davvero interessante e unico del suo genere è il gruppo scultoreo che rappresenta Djoser (III Dinastia) con sua moglie e le loro dieci figlie: finora non era mai stata trovata una statua di Netjerykhet raffigurato con la sua famiglia. Si tratta di un oggetto sicuramente fuori contesto, in quanto Djoser governò circa 160 anni prima di Userkaf. Gli studiosi ritengono che le statue inizialmente fossero ubicate in una cappella vicina alla Piramide a Gradoni e poi trasferite nella tomba del principe Userefra durante il Periodo Tardo suggerendo, quindi, un riuso postumo della sepoltura, come testimonia anche la presenza di una statua in granito nero della XXVI Dinastia (675-525 a.C. circa) di un personaggio maschile stante, alta 1,17 metri, con incisi sul petto il suo nome ed i suoi titoli. Era pratica comune, durante il Periodo Tardo, arricchire le sepolture con oggetti d'arte provenienti dall'Antico Regno per rievocare i fasti e la grandezza del passato.
Anche l'inusuale ingresso secondario fiancheggiato da due colonne di granito rosa individuato sulla facciata orientale della tomba suggerisce un riuso della sepoltura. Sull'architrave sono riportate iscrizioni poco leggibili con nome e titoli del proprietario della sepoltura e un cartiglio di Neferirkara (sovrano dal 2475 al 2465 a.C. circa): probabilmente la tomba fu utilizzata anche da un'altra figura elitaria della V Dinastia. Quando si riusciranno a leggere le iscrizioni si avrà maggiore chiarezza sul susseguirsi delle inumazioni in questa sepoltura.
Altro reperto di particolare spicco riportato alla luce è un raro gruppo scultoreo di 13 elementi maschili e femminili in granito rosa: ogni figura è seduta su una panca dallo schienale alto. Si ritiene rappresentino familiari e collaboratori del proprietario della tomba. Singolari sono alcune delle figure femminili, le cui teste sono scolpite in modo da essere più alte degli altri personaggi, probabilmente rappresentano le mogli del principe. Nello stesso contesto è stata rinvenuta una statua capovolta in granito nero alta 1,35 metri

Fonte:
mediterraneoantico.it


Spagna, frammenti di pitture dalla villa romana di Barberes sud

Spagna, i frammenti dipinti della villa romana di
La Vila Joiosa (Foto: finestresullarte.info)

Importante scoperta archeologica in Spagna durante gli scavi nella villa romana di Barberes Sud, nella città di La Vila Joiosa (comunità Valenciana, provincia di Alicante), che hanno portato alla luce più di 4.000 nuovi frammenti delle pitture che decoravano la residenza all'inizio del II secolo d.C.
L'ultima campagna di scavi condotta nella villa romana di Barberes Sud ha rinvenuto migliaia di frammenti delle pitture murali che decoravano le stanze signorili di una grande villa di età imperiale, situata accanto alla strada che collegava la città romana di Allon con la costa, nell'attuale regione di Marina Baixa. I lavori, svolti su una superficie complessiva di 842 metri quadrati, hanno permesso agli archeologi di scoprire parte della pianta della villa, realizzata durante il regno dell'imperatore Traiano, con una parte ad uso manifatturiero, un cortile o atrio con diversi ambienti (probabilmente ad uso della servitù) e infine un ampio spazio coperto, porticato con grandi colonne, destinato al giardino della casa e circondato da stanze signorili, all'epoca riccamente decorate. Di questa parte si sono conservate solo le fondamenta.
Le mura erano costruite in terra battuta (argilla pressata) e apparivano crollate all'interno delle stanze e del cortile porticato. Una delle sale signorili ha conservato integralmente gli stucchi delle sue pareti, il cui scavo ha richiesto un lavoro molto meticoloso poiché si sono conservati frammenti di intonaco dipinto. Ogni frammento o gruppo di frammenti è stato consolidato dai restauratori ed è stata realizzata la fotogrammetria di ciascuno degli strati di stucco, numerata e localizzata, il che permetterà di farsi un'idea della composizione originaria.
Una volta completati gli scavi, nel laboratorio di restauro di Vilamuseu sono iniziati i lavori di consolidamento e ricostruzione dei pannelli che decoravano la sala. Si comincia ad intravedere la ricca decorazione della sala, ed è stato addirittura possibile ricostruire parte di un pannello con 22 frammenti degli 866 documentati in questa sala, che mostra una ricca decorazione di ghirlande vegetali, alternate a uccelli e sormontate in alto da una modanatura.
Tra gli altri lacerti, in fase di inventariazione e restauro, spiccano frammenti di stucco curvilineo, decorato ad imitazione di colonne scanalate, che ricoprivano grandi colonne che sostenevano lo spazio porticato che circondava il giardino della villa romana.

Fonte:
finestresullarte.info
 

Libia, trovati resti mummificati di individui di una comunità isolata

Libia, mummia naturale di 7000 anni fa rinvenuta nel
riparo roccioso di Takarkori (Foto: Missione
archeologica dell'Università di Roma La Sapienza)

Settemila anni fa, quando il Sahara era ancora una distesa verde e fertile, un gruppo umano isolato abitava l'odierna Libia, senza contatti con le popolazioni subsahariane. Lo rivela un nuovo studio basato sull'analisi del DNA di due individui mummificati naturalmente, trovati nel riparo roccioso di Takarkori, nel Sahara centrale. I risultati, pubblicati da un team internazionale di ricercatori del Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology con sede a Leipzig, Germania, ridefiniscono la storia genetica dell'Africa settentrionale, dimostrando che la regione non era un passaggio migratorio tra il nord ed il sud del continente.
I campioni genetici, tra i più antichi mai recuperati dall'area, presentano un'inedita finestra sulla vita durante il cosiddetto Periodo Umido Africano (tra 14500 e 5000 anni fa), quando il Sahara era attraversato da fiumi e costellato di laghi, favorendo la presenza umana e la diffusione del pastoralismo. La successiva desertificazione ha trasformato la regione del deserto più vasto del mondo, rendendo eccezionale la conservazione di materiale genetico.
"I nostri risultati suggeriscono che mentre le prime popolazioni nordafricane erano in gran parte isolate, hanno ricevuto tracce di DNA neanderthaliano a causa del flusso genico dall'esterno dell'Africa", ha affermato il Dottor Johannes Krause, direttore del Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology.
Libia, il riparo roccioso di Takarkori, dove sono state trovate
le mummie (Foto: Missione Archeologica dell'Università
di Roma La Sapienza)
"Lo studio evidenzia l'importanza del DNA antico per ricostruire la storia umana in regioni come l'Africa centro-settentrionale, fornendo un supporto indipendente alle ipotesi archeologiche", ha detto il Dottor Davide Caramelli, dell'Università di Firenze.
Le analisi genomiche indicano che gli individui di Takarkori appartenevano ad una linea genetica nordafricana distinta, separatasi dalle popolazioni subsahariane circa 50.000 anni fa, ovvero nello stesso periodo in cui i moderni esseri umani iniziarono a diffondersi fuori dall'Africa. Questo lignaggio rimase geneticamente isolato fino al Periodo Umido Africano, suggerendo una continuità genetica nella regione per migliaia di anni. Sebbene oggi questa linea genetica non esista più nella sua forma originale, è ancora una componente centrale del patrimonio genetico delle popolazioni nordafricane. Il dato rivela che la storia genetica del Nord Africa è molto più complessa e stratificata di quanto ipotizzato in precedenza.
Lo studio dimostra che i flussi genetici tra le aree del Nord Africa e dell'Africa subsahariana rimasero limitati. Gli individui analizzati non mostrano alcuna traccia di ascendenza subsahariana, un dato che smentisce l'ipotesi del Sahara come ponte migratorio tra le due macro-regioni africane. La diffusione del pastoralismo nel Sahara, secondo i ricercatori, non sarebbe avvenuta attraverso lo spostamento delle popolazioni, bensì grazie a un passaggio di conoscenze culturali e tecnologiche. Questa scoperta ridimensiona, quindi, il ruolo delle migrazioni nella diffusione delle innovazioni nel Nord Africa preistorico.
Un altro elemento chiave emerso dalla ricerca è la connessione genetica tra gli individui di Takarkori e i cacciatori-raccoglitori vissuti in Marocco 15000 anni fa, nel sito di Taforalt. Questi ultimi erano associati all'industria litica iberomaurusiana, una cultura preistorica precedente al Periodo Umido Africano. Entrambi i gruppi risultano ugualmente distanti dalle popolazioni subsahariane, confermando che, nonostante il clima favorevole del Sahara Verde, le due aree rimasero geneticamente separate.
Lo studio offre anche nuove informazioni sul rapporto tra i primi nordafricani e i Neanderthal. L'analisi del DNA mostra che gli individui del Takarkori possedevano una quantità di materiale genetico neanderthaliano dieci volte inferiore rispetto alle popolazioni non africane attuali, ma superiore a quella delle popolazioni subsahariane contemporanee. Lo studio segna quindi un passo fondamentale nella comprensione delle dinamiche umane nel Sahara preistorico. La scoperta di un lignaggio genetico rimasto isolato per oltre 50000 anni e la conferma della scarsa interazione con l'Africa subsahariana impongono una revisione delle teorie sulle migrazioni in questa regione.

Fonte:
finestresullarte.info

Agrigento, scoperta un'aula dell'antico ginnasio

Agrigento, gli scavi dell'aula del Ginnasio
(Foto: agrigentonotizie.it)

Il ginnasio greco, anticamente, rappresentava qualcosa di molto importante e definito: era il luogo deputato alla formazione della futura classe dirigente. Forniva gli strumenti educativi e di crescita per creare "cittadini completi" attraverso la filosofia, la retorica, la musica e l'atletica. Un insieme perfetto di discipline che armonizzavano il corpo e la mente.
Grazie ad una sensazionale scoperta avvenuta durante una campagna di scavi nell'area archeologica di Agrigento, è riaffiorata un'ampia testimonianza di un antico ginnasio, un aula in particolare.
Un'équipe internazionale di archeologi ha riportato alla luce questa antica struttura durante una campagna di scavi diretta dai Professori Monika Trumper e Thomas Lappi della Freie Università di Berlino. Un'attività che ha visto la collaborazione del Politecnico di Bari e del Parco Archeologico della Valle dei Templi. Fondamentale anche il sostegno della più importante fondazione tedesca per la ricerca scientifica.
Nel V secolo a.C., in particolare ad Atene, il ginnasio si affermò come istituzione centrale nella formazione dei giovani. Grazie ad esso l'individuo si preparava non solo alla vita pubblica ed alla guerra, ma anche alla riflessione morale ed al dibattito civile. 
Con l'ellenizzazione del Mediterraneo e con l'espansione romana, il modello del ginnasio si diffuse ovunque ed arrivò anche ad Agrigento. L'aula magna riaffiorata ad Agrigento ha una forma rettangolare di 11 per 23 metri ed era verosimilmente utilizzata per ospitare letture, dibattiti, esercizi di retorica ed addirittura gare di poesia. Sono apparse iscrizioni in lingua greca perfettamente conservate che fanno riferimento al "ginnasiarca", ovvero al funzionario responsabile del ginnasio. Ma parlano anche della ristrutturazione del tetto dello spogliatoio: intervento edilizio che sarebbe stato finanziato, all'epoca, da un cittadino che lo dedicò alle divinità protettrici del ginnasio: Hermes, dio della parola e del movimento, ed Eracle, che rappresentava la forza fisica e l'eroismo.
Nel 2026 il team di ricerca ha intenzione di esplorare le aree a nord dell'auditorium perché si presuppone la presenza di ulteriori ambienti scolastici e sportivi. Gli archeologi contano di individuare nuove iscrizioni che possono svelare altri elementi utili per delineare la vita di Akràgas sia dal punto di vista istituzionale che puramente quotidiano.
La parola ginnasio deriva dal greco gymnàsion, da gymnòs, "nudo": nell'antica Grecia, infatti, gli esercizi ginnici si svolgevano senza indumenti, per esaltare l'estetica del corpo e affinare la tecnica atletica. I ginnasi comprendevano la palestra per la lotta e l'atletica, l'ephebeion per le lezioni teorica, sale per il riposo, bagni, biblioteche e portici per il passeggio e la conversazione. Celebri erano quelli dell'Accademia, del Liceo e del Cinosargo, frequentati anche da grandi filosofi come Platone, Aristotele e Antistene.
Il fulcro della scoperta 2025 è rappresentato da un edificio coperto, una sorta di auditorium o piccolo teatro didattico, capace di accogliere circa 200 persone. La sala, strutturata in otto ordini di sedute semicircolari ascendenti, era concepita per facilitare la visione e l'ascolto, come nei più avanzati edifici teatrali ellenistici. Si tratta di uno dei più antichi esempi conosciuti di ambiente scolastico coperto adibito a funzioni intellettuali, anticipando di almeno due secoli strutture simili come quella del ginnasio di Pergamo in Asia Minore, databile solo alla metà del I secolo d.C.

Fonti:
archeomedia.net
stilearte.it

sabato 19 aprile 2025

Austria, avamposto militare romano sul Danubio torna alla luce

Austria, vista aerea dello scavo nell'Hainburger Au
(Foto: H. Wraunek)

Per la prima volta i ricercatori dell'Istituto Archeologico Austriaco dell'Accademia Austriaca delle Scienze e del Parco Archeologico di Carnuntum, del Dipartimento di Arte e Cultura della Provincia della Bassa Austria, sono riusciti a dimostrare l'esistenza di una testa di ponte romana in territorio austriaco. Questa scoperta dimostra l'importanza della via dell'Ambra, una via commerciale che dal Baltico, passando per Carnuntum, conduceva nei territori dell'Impero Romano e fornisce, nel contempo, nuovi dettagli sulla difesa di confine romana lungo il Danubio.
Finora era conosciuto solo un sito analogo sul limes del Danubio, il forte di Iza-Leanyvar, in Slovacchia.
Sono ancora visibili le mura del sito, noto come Odes Schloss, individuate già nel 1850. Sulla base dei bolli rinvenuti sui mattoni, le strutture edilizie vennero all'epoca interpretate come i resti di una testa di ponte fortificata romana. La testa di ponte era solitamente costruita sulla sponda opposta di un fiume di confine ed aveva il compito di monitorare gli attraversamenti fluviali considerati strategicamente importanti. Da queste basi, le truppe romane potevano osservare sia il passaggio attraverso il Danubio che la campagna circostante. In particolare lungo il limes del Danubio, tali installazioni erano importanti per la difesa del confine romano e il controllo delle rotte commerciali.
Gli scavi nell'Hainburger Au hanno portato alla luce strutture murarie straordinariamente ben conservate. Particolarmente impressionante è il fatto che parti delle mura del forte si sono conservate fino a 2,65 metri di altezza. Le indagini scientifiche dimostrano che il forte ebbe due fasi costruttive. La prima fase risale al 170-180 d.C. circa, quando l'imperatore Marco Aurelio fece rinforzare il confine romano contro le tribù germaniche durante le guerre marcomanniche. La seconda fase costruttiva, intorno al 260 d.C., vide la ristrutturazione del complesso sotto l'imperatore Gallieno.
I reperti archeologici rinvenuti comprendono mattoni bollati delle Legioni XIV e XV, monete, ceramiche e piccoli oggetti in bronzo a dimostrazione, secondo i ricercatori, della grande importanza strategica di Carnuntum.
Lo scavo fornisce anche preziose informazioni sulla dinamica del Danubio. Poiché i corsi d'acqua storici anteriori al XVI secolo sono scarsamente documentati, sono stati prelevati campioni di sedimenti in collaborazione con l'Università di Boku e l'Università di Vienna pe analizzarne l'evoluzione geologica.

Fonte:
oeaw.ac.at


Israele, rinvenuto un impianto dell'Età del Ferro per la colorazione dei tessuti

Israele, conchiglia di Hexaplex trunculus raccolta vicino
Tel Shiqmona (Foto:phys.org)

Un team di antropologi, archeologi e specialisti storici affiliati a diverse istituzioni negli Stati Uniti ed in Israele, ha scoperto che un tempo esisteva un insediamento costiero in quello che oggi è lo stato di Israele, nel villaggio di pescatori noto come Tel Shiqmona, sede di un impianto per la produzione su scala industriale di una tintura viola un tempo apprezzata da molte società mediterranee dell'Età del Ferro
Il team di ricercatori ha scoperto grandi vasche macchiate di viola, insieme ad altri 176 manufatti relativi al processo di produzione del colorante. La materia prima utilizzata era il muco estratto dalle lumache di mare, che lo utilizzano per difendersi.
Questo muco, hanno osservato i ricercatori, è originariamente verde, ma diventa viola se esposto all'aria. Trasformare la sostanza in colorante avrebbe richiesto l'esecuzione di diversi passaggi chimici per consentirle di legarsi al tessuto. Le vasche in cui venivano immersi i tessuti erano abbastanza grandi da contenere 350 litri di questo materiale, il che suggerisce che il sito fosse un impianto di produzione su larga scala.
Si ritiene che la produzione del colorante, nel sito di Tel Shiqmona, sia iniziata circa 3000 anni fa, su piccola scala. In seguito, con l'espansione del Regno d'Israele, la produzione aumentò per poi diminuire nuovamente dopo la caduta del Regno e risalire dopo la conquista della regione da parte degli Assiri.

Fonte:
phys.org

domenica 13 aprile 2025

Una divinità...pulita: Venere Cloacina

Monete dedicate a Venere Cloacina
(Foto: storiachepassione.it)

Gli antichi romani avevano una divinità anche per le fogne. Si chiamava Venere Cloacina, la quale unì due aspetti apparentemente distinti: da una parte l'amore, l'armonia e la bellezza, dall'altra il concetto di purificazione legato all'acqua e, nello specifico, alla Cloaca Maxima, la principale nonché la più antica fognatura dell'antica Roma.
La Cloaca Maxima era il primo condotto fognario di cui Roma si dotò già durante il periodo della monarchia. La sua costruzione si colloca durante il regno di Tarquinio Prisco (616-578 a.C.), anche se fu probabilmente completata sotto l'ultimo re di Roma, il figlio di Tarquinio Prisco, Tarquinio il Superbo (535-509 a.C. circa). Inizialmente si trattava di un canale scoperto al quale si ricollegavano tutti i corsi d'acqua naturali e che sfociava nel Tevere. I Romani attribuirono subito all'opera ingegneristica una certa aura sacrale, al punto che si sviluppò un vero e proprio culto, quello di Cloacina, divinità di origine etrusca, protettrice delle fogne. Del resto furono gli Etruschi ad insegnare ai Romani la bonifica delle paludi e le fognature. Tito Livio è uno degli autori che riporta notizie sulla Cloaca Maxima e sul culto della Venere Cloacina.
Roma, com'è noto, sorse in un punto geografico strategico, su un terreno basso e paludoso, in prossimità di un guado che facilitava le rotte commerciali sia con l'Etruria sia con chi proveniva dal Tevere. Questa particolare topografia fece sorgere sin dagli inizi la necessità di un buon sistema fognario, grazie al quale si sarebbe sanificata la principale area economia della città.
L'epiteto "Cloacina" deriva dal verbo latino "cluo/cluere", ossia "purificare, pulire". L'associazione con Venere fu, probabilmente, posteriore, anche se è difficile stabilire di quanto, ed anche se si ipotizza intorno al VI-V secolo a.C., quando si realizzò un santuario dedicato alla dea, il sacello della Venere Cloacina. Di questo santuario oggi resta solo la base, situata nel Foro Romano, di fronte la Basilica Emilia, in corrispondenza del punto in cui la Cloaca Maxima entra nel Foro.
La tradizione romana narra che fu Tito Tazio, re sabino e co-regnante con Romolo, ad introdurre il culto di Venere Cloacina. Tito Tazio fu l'ottavo re di Roma. Secondo la leggenda, dopo la guerra Romani e Sabini sugellarono la pace nell'esatto punto in cui sorse, in seguito, il santuario di Venere Cloacina. L'accordo venne sugellato purificando l'acqua che di lì affluiva nel Tevere. Quell'acqua, forse, apparteneva al corso naturale poi sfruttato per realizzare la Cloaca Maxima.
La prima raffigurazione della divinità, però, risale al I secolo a.C. Ottaviano Augusto collegò l'essenza purificatrice della Venere Cloacina alle guerre - altrettanto purificatrici - che stava conducendo per sconfiggere definitivamente gli uccisori di Cesare. Il culto di Venere Cloacina andò, comunque, affievolendosi con l'espandersi della Repubblica prima e dell'Impero dopo.
Il sacello si trovava sopra una costruzione di tufo, che scende tre metri sotto l'attuale piano, nel punto in cui la Cloaca entra nel Foro. E' costituito da un basamento circolare di marmo sul quale poggiava, originariamente, l'alzato di un piccolo edificio. Come risulta da alcune rappresentazioni monetali, si trattava di un sacello a cielo aperto, costituito da un basso recinto circolare entro il quale vi erano due simulacri di culto: Cloacina e Venere, la prima rappresentante la più antica divinità e la seconda aggiunta solo in secondo tempo, quando venne identificata con la prima. Si trovava sulla Via Sacra, nei pressi dell'area della Tabernae Novae, che venne successivamente demolita per far spazio alla Basilica Emilia.
Accanto a questo piccolo ma importante santuario, connesso con la Cloaca Maxima, che in questo punto entrava nel Foro, si sarebbero svolti due importanti episodi della mitica storia delle origini: la purificazione con rami di mirto degli eserciti romano e sabino dopo la guerra successiva la ratto delle Sabine e l'uccisione di Virginia da parte del padre Lucio Virginio per salvarne le virtù dalle mire di uno dei decemviri, Appio Claudio.

Fonti:
storiachepassione.it
romasegreta.it
romanoimpero.com


sabato 12 aprile 2025

Egitto, sorprese dagli scavi del Ramesseum

Egitto, oggetti scoperti nel Ramesseum
(Foto: Ministero del Turismo e delle Antichità)

La recente campagna di scavo attorno al Ramesseum ha portato alla luce nuove, sorprendenti testimonianze dell'intensa vita religiosa, economica e amministrativa dell'antico Egitto. A condurre gli scavi è stata una missione archeologica congiunta franco-egiziana. L'area interessata si trova sulla riva occidentale del Nilo, dove si erge il celebre tempio funerario dedicato al faraone Ramses II (1303-1213 a.C. circa) noto anche come il Tempio dei milioni di anni.
Tra le scoperte più rilevanti, l'identificazione della Casa della Vita, una scuola scientifica annessa ai grandi templi dell'antico Egitto. Gli scavi all'interno del tempio hanno rivelato la struttura architettonica dell'istituzione e una collezione di reperti legati all'educazione, come disegni e giochi scolastici. Si tratta della prima prova tangibile dell'esistenza di una scuola all'interno del Ramesseum, testimoniando il ruolo centrale del tempio anche nell'istruzione.
Le scoperte non si limitano all'ambito educativo. Sul lato orientale del tempio è emerso un nuovo gruppo di edifici che si presume fossero adibiti a uffici amministrativi. Le indagini proseguono per chiarire la funzione specifica di queste strutture, ma la loro disposizione suggerisce una gestione centralizzata delle attività religiose ed economiche del complesso.
Ancora più eloquenti sono i risultati ottenuti sul lato settentrionale, dove sono stati rinvenuti magazzini destinati alla conservazione di olio di oliva, miele e grassi, insieme a cantine per il vino. Numerose etichette di giare rinvenute sul posto testimoniano un'intensa attività di stoccaggio e distribuzione di beni alimentari. Nell'area sono stati individuati anche laboratori per la tessitura, la lavorazione della pietra, cucine e panetterie, che completano il quadro di un insediamento pienamente operativo. La presenza di queste strutture rafforza l'ipotesi che il Ramesseum fosse un vero e proprio centro nevralgico per la vita sociale ed economica della regione.
Nella regione nordorientale del sito è emerso un vasto complesso funerario risalente al Terzo Periodo Intermedio. Le tombe contenevano camere funerarie, pozzi, vasi canopi in ottimo stato di conservazione, utensili, bare ad incastro, 401 statuette ushabti in ceramica e una collezione di ossa umane. Questi elementi arricchiscono la conoscenza delle pratiche funerarie e dell'organizzazione sociale del tempo.
In un'area adiacente, sul lato nordoccidentale del tempio, è stata riscoperta la tomba di Sahhotep Ib Ra, già individuata nel 1896 dall'archeologo inglese James Quibell e risalente al Medio Regno. Sulle pareti interne sono rappresentate scene del funerale del defunto che confermano il valore storico e rituale del monumento.
Studi scientifici hanno dimostrato come il sito fosse già occupato prima della costruzione del tempio da parte di Ramses II. In epoche successive, dopo essere stato saccheggiato, fu trasformato in un cimitero per sacerdoti e poi riutilizzato come base operativa dai lavoratori delle cave nel periodo tolemaico e romano.
Il tempio di Ramesseum non era, quindi, solo un luogo di culto. Il suo ruolo includeva funzioni amministrative, economiche e politiche. Il sito era un punto di redistribuzione dei beni prodotti o immagazzinati nei magazzini e nei laboratori interni, beni che venivano poi destinati alla popolazione, compresi gli artigiani di Deir el-Medina.
Tra le scoperte effettuate figura una parte dell'architrave in granito della seconda porta del pilone, su cui è raffigurato Ramses II come divinità al cospetto di Amon-Ra. Nei pressi sono emersi i resti di una cornice decorata da un fregio raffigurante scimmie, probabilmente parte di un racconto mitologico. Si è scoperto che una delle strade era ornata da statue di Anubi raffigurato sdraiato su piccoli santuari.

Fonte:
finestresullarte.into




Grecia, torna alla luce l'importante teatro di Lefkad

Grecia, palcoscenico, rampe, navate laterali, orchestra
e parte inferiore della cavea del teatro di Lefkada
(Foto: N. Htzidakis)

Nel cuore dell'isola di Lefkada, un'importante scoperta archeologica ha riportato alla luce uno tra i monumenti più importanti dell'antica Grecia: il teatro di Lefkada. Questo teatro, il primo delle Isole Ionie, è stato nascosto per secoli sotto uliveti e costruzioni moderne, ma finalmente ha trovato la sua collocazione precisa grazie ad una serie di scavi che hanno rivelato la magnificenza di un sito che, un tempo, dominava la città. La scoperta non solo ha gettato nuova luce sulla storia di Lefkada, ma ha anche contribuito a riscoprire la sua importanza culturale e politica nell'antichità.
Fondata dai Corinzi prima della fine del VII secolo a.C., l'antica Lefkada era una potente città-stato che, grazie alla sua posizione strategica sulle principali rotte marittime, si affermò come una delle potenze economiche e culturali della regione. Situata all'estremità nordorientale dell'isola, la città godeva di un accesso privilegiato al mare, che favoriva il commercio e le comunicazioni con il resto del mondo greco. La posizione della città, con il suo porto ben protetto, permise una prosperità che fu riflessa anche nei suoi monumenti, tra i quali, ovviamente, il teatro.
La riscoperta del teatro di Lefkada non è stata affatto semplice. Fino al 2015, le informazioni sul sito erano scarse e frammentarie, risalenti a ricerche del passato. Ai primi del '900 furono realizzate alcune sezioni di prova che furono, in seguito, coperte e dimenticate. Fu solo nel 1997 che, grazie ad un'accurata analisi della geomorfologia della zona e ai resti superficiali, si riuscì a localizzare nuovamente il sito. A partire dal 2015 gli scavi sistematici hanno preso piede, supportati dal comune di Lefkada.
Gli scavi veri e propri sono iniziati nel 2017 a cura della Soprintendenza per le Antichità di Etoloakarnania e Lefkada, grazie ai finanziamenti della Regione delle Isole Ionie e del Comune di Lefkada, con l'obiettivo di recuperare la grande struttura teatrale che dominava la città antica. Dopo cinque stagioni di scavo, sono emersi i resti di una cavea imponente, una vasta orchestra ed una serie di altri elementi architettonici, tra i quali i parodoi (corridoi laterali), il muro di contenimento e parte del palcoscenico. 
Le ricerche hanno permesso di riportare alla luce gran parte della cavea, che è stata identificata in 12 tribune disposte su 13 gradini ciascuna. La capienza del teatro, che inizialmente si pensava fosse di circa 3.500 spettatori, potrebbe arrivare fino a 10.000-11.000 persone con l'ampliamento della struttura, compreso l'epiteatro.
Il teatro di Lefkada è orientato a nord-est/sud-ovest, con una cavea che si sviluppa su 24 file di posti a sedere. La parte inferiore della cavea, che ha subito minori danni nel tempo, ha conservato meglio le panche in pietra e i gradini, permettendo agli archeologi di ricostruire dettagliatamente la struttura del teatro. L'orchestra, scavata parzialmente nella roccia, è di forma circolare con un diametro di circa 16,65 metri, ed è circondata da una cornice di pietre che presenta ornamenti in stile ondulato. Un altro elemento affascinante è il ritrovamento di tre troni in pietra, decorati con motivi di leoni, delfini, uccelli e sirene, che suggeriscono l'importanza del teatro e dei suoi spettatori, probabilmente rappresentanti della classe dirigente della città.
Il teatro di Lefkada, purtroppo, non è esente da danni dovuti all'usura del tempo e agli interventi umani. Le attività agricole, come la coltivazione degli ulivi, hanno avuto un impatto negativo sullo stato di conservazione della struttura, specialmente nella parte alta della cavea.

Fonte:
finestresullarate.info


Venezia, i segreti del fondo marino...

Venezia, i gusci delle ostriche rinvenuti in laguna
(Foto: quotidianoarte.com)

Per la prima volta è stato scoperto in Italia, nelle acque della laguna di Venezia, in località Lio Piccolo, Cavallino Treporti, un antico ostriarium, un allevamento di ostriche, in legno, poggiato sui marmi di una villa sommersa di epoca imperiale romana.
Si tratta di 300 gusci di ostrica comune, specie gradualmente scomparsa dalla laguna nella seconda metà dell'Ottocento, ed alcuni gusci di altri bivalvi, come i canestrelli, che le analisi dendrocronologiche e la datazione al carbonio 14 delle parti in legno datano alla metà del I secolo d.C.
Dall'analisi del fondo lagunare sono emerse centinaia di frammenti di affreschi, tessere di mosaico e lastre di marmi pregiati e una gemma che doveva ornare la montatura di un anello appartenente ad una persona molto agiata.
Il sito di Lio Piccolo, segnalato nel 1988, si trova lungo la riva meridionale di Canale Rigà. Le paratie, spiegano i ricercatori, come avveniva nelle peschiere a mare di età romana, permettevano probabilmente l'isolamento tra le diverse specie. A contatto con il vivarium si trovano delle fondazioni di mattoni sorrette da una selva di pali in quercia che dovevano appartenere ad un edificio piuttosto importante costruito nello stesso periodo. I frammenti di affreschi, le tessere di mosaico ed alcune lastrine di marmi pregiati fanno interpretare l'edificio come una possibile villa di lusso, forse proprio una di quelle ville marittime che Marziale, alla fine del I secolo d.C., colloca nei lidi di Altino. 

Fonte:
quotidianoarte.com


Francia, libri avvolti in pelle di foca

Francia, il libro medioevale avvolto in pelle di foca
(Foto: E. Lévèque)

Decine di rari volumi ricoperti di pelle, provenienti dai monasteri francesi del XII e XIII secolo, sono avvolti in pelli di foca che potrebbero provenire dalla Groenlandia.
I ricercatori pensano che venissero utilizzati non solo materiali di provenienza locale, ma che si attingesse ad una vasta rete commerciale.
I libri provengono dall'Abbazia di Clairvaux, fondata nel 115 d.C. dai monaci cistercensi nel nord della Francia e dai monasteri ad essa collegati. Alcuni tomi hanno quasi 900 anni. Dapprincipio si pensava che i libri fossero avvolti in pelle di cinghiale.
L'esame di specialisti ha permesso di accertare che le coperture primarie erano fatte di pelle di pecora, ma, confrontando le proteine dei campioni del rivestimento con proteine animali, si è scoperto che le pelli che avvolgevano i libri appartenevano a foche. Quattro delle copertine esaminate erano geneticamente simili alle foche comuni di Scandinavia, Danimarca e Scozia, mentre la quinta copertina è geneticamente simile alla pelle delle foche della Groenlandia o dell'Islanda.
I cacciatori norreni di quelle regioni potrebbero aver catturato le foche ed aver portato le loro pelli nel nord della Francia attraverso le rotte commerciali.
L'uso della pelle di foca sulle copertine dei manoscritti non era del tutto sconosciuto in Scandinavia ed Irlanda. Tuttavia, la sua diffusa presenza nei monasteri francesi dell'entroterra ha colto di sorpresa i ricercatori. Si riteneva che le copertine, tradizionalmente considerate di materiali locali come cinghiale o cervo, riflettessero la disponibilità regionale, ma questa scoperta ha rivoluzionato la storia del commercio medioevale. Tutti i libri rilegati in pelle di foca, affermano i ricercatori, provenivano da abbazie situate lungo corridoi commerciali medioevali.
Lo studio, in definitiva, mette in discussione ipotesi consolidate sulla produzione di manoscritti medioevali, evidenziando il legame dei monasteri con una rete economica di vasta portata che si estendeva dall'Artico all'Europa centrale.

Fonti:
sciencenews.or
iltempionews.com

lunedì 7 aprile 2025

Germania, rinvenuto un insediamento agricolo romano

Germania, gli scavi e gli oggetti scoperti in Vestfalia
(Foto: stilearte.it)

A circa 400 chilometri ad ovest di Berlino, nella cittadina di Delbruck-Bentfeld, situata nel cuore del distretto di Paderborn, in Germania, si sta aprendo una finestra su un passato rurale sorprendentemente articolato.
A partire da novembre 2024, una campagna promossa dall'Associazione regionale Vestfalia-Lippe e guidata dall'archeologo Sven Knippschild ha restituito alla luce un insediamento agrario databile tra il II e il III secolo d.C., le cui caratteristiche testimoniano una dinamica interazione tra il mondo romano e le popolazioni locali, anche dopo il ritiro delle legioni imperiali dal vicino accampamento di Anreppen.
Fin dalle prime esplorazioni archeologiche dell'area residenziale di Schafbreite, avviate otto anni fa, si pensava che il sito fosse occupato da una singola fattoria. Ma i recenti scavi, condotti in parallelo all'espansione urbanistica, hanno completamente ribaltato questa visione. Oggi si delinea un complesso ben più vasto, articolato su almeno tre corti agricole, le cui strutture principali sono state identificate grazie all'attenta lettura delle buche per pali, ancora visibili nel sottosuolo come ombre scure e scolorite.
L'interesse dei ricercatori è particolarmente accesso perché la scoperta rappresenta uno dei rari esempi in cui è possibile studiare in modo coerente i resti di un insediamento rurale sviluppatosi ai margini del Limes, dopo la ritirata romana.
Al centro della prima corte identificata, gli archeologi hanno rinvenuto i resti di un edificio residenziale in legno, circondato da piccole dipendenze seminterrate. Questi ambienti secondari erano probabilmente destinati alla tessitura, attività attestata in tutta l'area germanica come prerogativa femminile e strettamente collegata alla sfera domestica.
Un pozzo, profondo meno di due metri, completava l'infrastruttura idrica della fattoria. Le tracce di rivestimento ligneo, rilevabili grazie alla decolorazione del terreno, rivelano l'attenzione dei coloni alla conservazione della qualità dell'acqua, elemento prezioso in un contesto produttivo.
Nell'area sudoccidentale è emersa una seconda corte, ancora più intrigante. Oltre ai consueti resti edilizi, è venuto alla luce un laboratorio artigianale per la lavorazione del bronzo: frammenti di pareti in argilla cotta e scorie metalliche indicano che qui si producevano oggetti di ornamento e forse anche amuleti. Una scoperta che getta nuova luce sull'economia dell'insediamento e sul ruolo delle corti non solo come centri di produzione alimentare, ma anche come officine artigiane.
I frammenti di ceramica finemente decorati e numerose monete romane rinvenute nei livelli di riempimento, permetteranno di stabilire con maggiore precisione le fasi di utilizzo delle diverse corti. I dati contribuiranno a chiarire se le fattorie fossero contemporanee o se ci troviamo di fronte a una sequenza di ricostruzioni successive, causate dal degrado strutturale delle abitazioni in legno.
Una terza fattoria, individuata solo parzialmente sul margine occidentale dell'are di scavo, lascia intuire che l'insediamento potesse estendersi ben oltre i confini dell'attuale zona edificabile. Questo suggerisce una comunità agricola ben strutturata, attiva ancora due secoli dopo la ritirata romana dalla regione.
Uno dei ritrovamenti più affascinanti della campagna è una gemma incisa, grande appena 1,5 centimetri, raffigurante il dio romano Mercurio. L'opera, finemente lavorata, mostra la divinità con la tipica borsa, il bastone caduceo e l'elmo. Probabilmente era incastonata in un anello appartenente a un colono romanizzato, forse un mercante o un artigiano legato alle reti commerciali imperiali.
Altro oggetto enigmatico è un coltello in ferro con decorazioni in ottone, ritrovato sotto il pavimento di una piccola struttura simile ad una cantina. La lama, intatta e rivolta verso l'alto, si trovava troppo in profondità per costituire un pericolo. Questo dettaglio ha portato ad ipotizzare che il coltello potesse avere un funzione apotropaica: un sacrificio edilizio, inteso a proteggere l'edificio o i suoi abitanti da influssi maligni. L'origine del manufatto, con ogni probabilità romano, rafforza l'idea di un legame culturale ancora vivo tra queste terre e l'impero.

Fonte:
stilearte.it


Eccezionali conferme sulla guerra di Troia

Illustrazione della tavoletta ittita - finestresullarte.info

Nel 2024, una scoperta archeologica ha suscitato l'interesse della comunità scientifica: la tavoletta ittita conosciuta come Keilfischurkunden aus Boghazkoi offre nuove informazioni sul conflitto che ha ispirato la leggenda della guerra di Troia. La tavoletta, appartenente ad un periodo precedente rispetto alle fonti più conosciute, mostra una corrispondenza tra un sovrano ittita non identificato e un personaggio chiamato Pariyamuwa, probabilmente re della città di Taruisa, tradizionalmente identificata con Troia. La scoperta è stata presentata da Michele Bianconi, dell'Università di Oxford, che ha analizzato il testo della tavoletta mettendo in evidenza i suoi aspetti più rilevanti. In particolare, Bianconi ha sottolineato come il testo faccia riferimento a un attacco da parte dei figli di Attarsiya, il sovrano di Ahhiyawa, contro la città di Taruisa/Troia. Questo dettaglio potrebbe confermare anche l'esistenza di una connessione tra le civiltà ittita e greca durante il periodo della guerra di Troia, una relazione che era stata finora solo ipotizzata sulla base di testi leggendari e mitologici.
Nel testo si fa esplicitamente alla partecipazione delle truppe licie (Luqqa/Lukka), che, come attesta l'Iliade, combatterono al fianco dei troiani durante l'assalto finale. La presenza dei soldati non è na novità per gli studiosi della mitologia greca, ma è la prima volta che appare in una fonte storica e diretta di tale rilevanza. La connessione tra i Licii e i Troiani sembra dunque confermare l'influenza delle culture orientali sulla guerra e sulle sue dinamiche.
Il passaggio più sorprendente, però, arriva alla fine della tavoletta, dove si fa un riferimento diretto a canti popolari che narrano la caduta di Wilusa/Ilion, il nome che i popoli ittiti e luwiani attribuivano a Troia. I canti, come descritto nel frammento, inneggiano la distruzione della città e la fine di un'epoca, un tema che ricorre in molte leggende antiche e che ha avuto una grande influenza sulla letteratura e sulla cultura mediterranea. In particolare, la tavoletta menziona il fatto che questi canti siano in Luwiano, una lingua strettamente legata all'ittita, ma che sembra avere una musicalità ed una struttura metrica simile a quella della poesia epica greca.
La scoperta dei canti presenta una prospettiva inedita sulla memoria storica di Troia e sostiene che il mito della città perduta e della sua rovina fosse ben radicato nella tradizione greca e in quella delle popolazioni anatoliche e del Levante, per le quali Troia costituiva un simbolo di grande importanza.
La città di Boghazkoy, in Turchia, dove è stata rinvenuta la tavoletta, è stata una delle capitali dell'Impero ittita e continua a rivelare frammenti storici che gettano luce sulle complesse relazioni tra le diverse potenze dell'Asia Minore e del Mediterraneo orientale. La lingua utilizzata, l'ittita, appartenente al ramo delle lingue anatoliche delle lingue indoeuropee, offre una visione unica delle interazioni politiche e culturali di un periodo cruciale per la storia antica. La corrispondenza tra il sovrano ittita e Pariyamuwa, re di Taruisa, evidenza l'importanza di Troia come entità geopolitica nell'antichità sostenendo che la città fosse un nodo centrale nelle alleanze e nei conflitti tra i popoli dell'Asia Minore.

Fonte:
finestresullarte.info

domenica 6 aprile 2025

Israele, una bambina trova un sigillo di 3800 anni fa

Israele, il retro del sigillo di Tel Azeka, a forma di
scarabeo (Foto: Foto Emil Aladjem)

All'inizio di marzo, in Israele, Ziv Nitzan, una bambina di tre anni e mezzo del villaggio di Ramot Meir, ha trovato un antico amuleto a forma di scarabeo durante una gita di famiglia a Tel Azeka, nei pressi di Beit Shemesh. 
L'oggetto, risalente a circa 3800 anni fa, è un sigillo cananeo dell'Età del Bronzo medio. Il ritrovamento ha subito attirato l'attenzione degli esperti dell'Autorità Israeliana per le Antichità (IAA).
"Stiamo effettuando scavi qui da quasi 15 anni e i risultati degli scavi dimostrano che durante l'Età del Bronzo medio e tardo, qui a Tel Azeka, prosperava una delle città più importanti delle pianure della Giudea. - Ha affermato Oded Lipschits, direttore degli scavi archeologici dell'Università di Tel Aviv. - Lo scarabeo trovato da Ziv si aggiunge alla lunga lista di reperti egizi e cananei scoperti qui, che attestano gli stretti legami e le influenze culturali tra Canaan e l'Egitto durante quel periodo".
Lo scarabeo rinvenuto a Tel Azeka sarà esposto in una mostra speciale organizzata dall'Autorità israeliana per le antichità presso il Jay and Jeanie Schottenstein National Campus per l'archeologia di Israele. Secondo Daphna Ben-Tor, esperta di amuleti e sigilli antichi, l'oggetto ritrovato da Ziv è un tipico scarabeo cananeo. Questi sigilli ornamentali hanno origine in Egitto e la loro forma si ispira allo scarabeo stercorario, un coleottero che nell'antichità veniva considerato sacro. Gli Egizi lo associavano al concetto di creazione e rinascita, perché l'insetto deponeva le proprie uova all'interno di una sfera di sterco, da cui poi emergevano le larve. In lingua egiziana, il nome dello scarabeo derivava infatti dal verbo "venire all'essere" o "essere creato", un significato che lo rendeva simbolo dell'incarnazione del dio creatore. Questo legame tra Canaan e la cultura egizia testimonia i profondi rapporti commerciali e culturali tra le due civiltà durante l'Età del Bronzo.
Il punto esatto in cui Ziv ha trovato l'antico sigillo si trova ai piedi di Tel Azeka, un sito archeologico di notevole importanza storica. Nel corso degli anni, gli scavi condotti dall'Università di Tel Aviv hanno rivelato diverse testimonianze di cambiamenti culturali e politici avvenuti nel corso dei secoli. Tra i reperti figurano le mura cittadine, strutture agricole e altre tracce dell'antico regno di Giuda.
Tel Azeka è anche citata nella Bibbia come il luogo in cui avvenne la celebre battaglia tra Davide e Golia, narrata nel primo Libro di Samuele. 

Fonte:
finestresullarte.com

sabato 5 aprile 2025

Pompei, scoperte due statue sepolcrali nella necropoli di Porta Sarno

Pompei, il rilievo funebre presso la necropoli di
Porta Sarno (Foto: Alfio Giannotti)

Un rilievo funebre di una coppia, uomo e donna - a dimensioni quasi reali, pertinente ad una tomba monumentale presso la necropoli di Porta Sarno, è affiorato nel corso di uno scavo archeologico condotto dall'Universitat de València, in collaborazione con il Parco Archeologico di Pompei.
Le due sculture ad alto rilievo sono state trasferite presso la Palestra Grande degli scavi per avviarne il restauro.
L'area indagata a partire dal 2024 corrisponde ad una zona scavata negli anni '90 per la costruzione del doppio binario della Circumvesuviana.
Gli scavi del 1998 avevano già registrato la presenza di oltre 50 sepolture a cremazione, segnate da stele e da un monumento funerario ad arco. Le indagini recenti hanno portato alla luce una tomba monumentale costituita da un ampio muro con diverse nicchie sormontate da un rilievo di un una figura femminile ed una maschile, forse una coppia di sposi.
Il simbolismo degli accessori scolpiti della donna potrebbe identificarla come una sacerdotessa di Cerere. La donna reca in mano dei vegetali a forma di spiga, al collo ha una collana con una lunula ed una pergamena in mano, forse un documento importante, equivalente ad un'investitura. La qualità dell'intaglio nelle sculture e le loro caratteristiche arcaiche suggeriscono una datazione tardo repubblicana.

Fonti:
P.A. Pompei - Ufficio Stampa
stilearte.it


Campania, incredibili scoperte ad Atena Lucana

Somma Vesuviana, la tomba scoperta ad Atena
Lucana (Foto: archeomedia.net)

Importante e straordinaria scoperta nel piccolo comune di Atena Lucana, in provincia di Salerno, che torna, in questo modo, al centro dell'attenzione grazie al recente ritrovamento di due tombe di epoca tardo-romana, avvenuto durante i lavori di scavo per la realizzazione di un elettrodotto, col coordinamento e sotto la supervisione della funzionaria della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio, Giovanna Baldo, la quale ha evidenziato l'importanza del sito, per comprendere meglio la presenza romana nella zona.
La prima delle due sepolture, parzialmente rimaneggiata, caratterizzata da una copertura in tegole, si presentava in condizioni relativamente buone, con lo scheletro ancora in posizione e solo pochi oggetti di corredo funerario.
La seconda, invece, ha mostrato manomissioni, subite in epoche successive, risultando appunto danneggiata, con all'interno di resti ossei parzialmente dispersi e la struttura tombale ridotta a pochi frammenti, che è stato comunque possibile recuperare. Gli studiosi ipotizzano che i tumuli di cui trattasi, facciano parte di un'area cimiteriale più ampia, ancora in gran parte indagare, a testimonianza di un insediamento umano ben strutturato in epoca romana. La scoperta, pertanto, aggiunge un nuovo tassello alla storia del territorio di Atena Lucana, confermandone l'importanza come crocevia di culture e popolazioni nei secoli passati.
Secondo il parere degli esperti, è plausibile che le due sepolture appartengano ad un nucleo sepolcrale più ampio rispetto al contesto indagato finora. Tale ipotesi sottolineerebbe lo stretto legame del sito con la frequentazione del territorio in epoca romana, aprendo ulteriori prospettive per la ricerca archeologica nel comprensorio del Vallo di Diano ed in tutta la Campania.

Fonte:
archeomedia.net


Francia, forse scoperto il canale fatto costruire da Caio Mario

Busto di Gaio Mario
(Foto: wikipedia.it)

Gli archeologi francesi hanno dichiarato di essere sulle tracce di una delle più importanti opere architettoniche-militari della storia antica, realizzata dal console romano Gaio Mario durante la guerra contro i Cimbri e i Teutoni.
Mario è stato sicuramente uno dei comandanti più importanti e influenti della storia antica, oltre ad essere stato uno dei due principali contendenti della prima guerra civile romana (l'altro contendente era Lucio Cornelio Silla) e zio del più famoso comandante romano della storia, Giulio Cesare.
Mario oggi è ricordato principalmente per aver riformato completamente l'esercito romano, consentendo a tutti i cittadini romani di entrare a far parte delle truppe al di là del loro censo e della loro condizione economica. Egli fu però anche colui che difese la Repubblica dall'invasione dei popoli germanici, nel 104 a.C., scegliendo di affrontare l'esercito nemico nell'allora Gallia transalpina.
Per fare questo fece costruire alcune opere idrauliche, tra le quali un famoso canale a lui dedicato nel delta del Rodano, che aveva lo scopo di supportare gli sforzi bellici e rifornire il fronte di truppe fresche.
Questo è lo stesso canale a cui stanno dando la caccia gli archeologi francesi coordinati da Joé Juncker, docente dell'Università di Strasburgo. Secondo le testimonianze romane, questo canale venne usato almeno fino alla seconda metà del I secolo d.C. Gli archeologi avrebbero trovato tracce del canale nei pressi delle paludi di Vigueirat, a sud di Arles, dove un decennio fa sono state trovate delle ceramiche antiche, alcuni ciottoli e un paio di pali di legno.

Fonte:
tech.everyeye.it

martedì 1 aprile 2025

Somma Vesuviana un ambiente della
villa di Augusto (Foto: archeomedia.net)

La villa di Augusto a Somma Vesuviana non cessa di stupire. La domus è riconducibile proprio alla famiglia dell'imperatore ed è stata già scavata per una superficie di 2.000 metri quadrati.
Anche se l'attribuzione ancora non è del tutto certo, resta il fatto che sia probabile che si tratti di una proprietà della famiglia di Ottaviano, originario della zona e morto nei dintorni di Nola, a pochi chilometri in linea d'aria.
Il sito archeologico si trova in località Starza, alle pendici nordorientali di Somma Vesuviana, nel cuore delle campagne attorno al Vesuvio. Si tratta di quel che resta di un complesso imponente di strutture romane del II secolo, che si sviluppa tra terrazze, in un contesto paesaggistico notevole, al punto di essere ricostruito dopo l'eruzione del Vesuvio del 79 d.C.
La villa è soggetta a scavi dal 2002, su progetto dell'archeologo Antonio De Simone, docente per diverso tempo all'Università Federico II di Napoli. 


Tarquinia, uno scandinavo tra gli etruschi

Cerveteri, tomba dei rilievi, fine IV sec. a. C. (Foto: wikimedia.com) Sensazionale scoperta quella dell' Università degli Studi di Mila...