| Verona Castelvecchio, la chiesa di San Martino in Aquaro |
Gli archeologi dell'Università di Verona, grazie al progetto promosso dai Musei Civici di Verona - Museo di Castelvecchio, che vede la collaborazione dell'Ateneo veronese, del Polo territoriale di Mantova, del Politecnico di Milano e della Soprintendenza veronese, stanno riportando alla luce i resti della chiesa di San Martino Aquaro, edificio oggi scomparso ma per secoli punto di riferimento per un'area cittadina in riva all'Adige. Un contesto stratificato che attraversa l'età romana, l'alto medioevo e le trasformazioni urbane e che custodiva anche una memoria di grande suggestione: quella della reliquia della spada di San Martino, qui venerata secondo fonti tarde.
Le indagini archeologiche, coordinate dal Professor Saggioro (dell'Univerona) e da Luca Fabbri (Curatore delle collezioni d'arte medioevale e moderna del museo) hanno rivelato una complessa sequenza stratigrafica. Le fasi più antiche sono costituite resti di edifici residenziali di età romana, molto probabilmente riferibili ad un'aera suburbana gravitante attorno all'antica via Postumia. Di queste strutture restano tracce di murature, pavimenti rasati e materiali di demolizione, su cui si imposta una fase successiva di riporti e sepolture tardoantiche e altomedioevali.
La fondazione della chiesa è attestata tra il IX ed il X secolo, con successive trasformazioni che portano alla costruzione, tra pieno e tardo medioevo, di un edificio romanico a tre navate. Di quest'ultimo restano visibili alcuni elementi architettonici, tra cui un pilastro polilobato in laterizi, che divideva navata maggiore e minore e due fasi pavimentali: una in ciottoli legati con malta, l'altra in mattoni e lastre.
La chiesa sorgeva al di fuori della cinta muraria tardoantica di Verona, in un'area periferica, diventata progressivamente parte integrante dell'espansione urbana. In età comunale, infatti, le nuove mura inglobano la zona, rendendola strategica per l'accesso alla città. La vicinanza con due porte urbiche documentate e con l'Adige conferisce al sito un'importanza anche logistica.
La costruzione del Castelvecchio nel Trecento segna un cambiamento radicale. La chiesa viene progressivamente demolita o inglobata nella nuova fortezza voluta da Cangrande II della Scala, un castello che nel periodo è conosciuto proprio con il nome di San Martino Aquaro. Gli Scaligeri probabilmente scelsero l'area per il suo posizionamento liminare, tra città e campagna, ideale per stare fuori dal cuore dei tumulti cittadini e per controllare i collegamenti esterni.
Lo scavo ha messo in luce anche sepolture in diverse fasi, alcune anteriori, altre posteriori alle varie trasformazioni edilizie. Alcune tombe intaccano strati più antichi o precedenti pavimentazioni, altre sono in cassa laterizia e lastra di pietra. E' proprio lo studio della sovrapposizione delle sepolture aiuta a identificare la successione delle fasi di occupazioni e con queste l'evoluzione della comunità che gravitava attorno a questo luogo di culto.
Il reimpiego di materiali romani è abbondante: si trovano mattoni, elementi lapidei scolpiti, soglie e persino una base elegantemente decorata a rosette, probabilmente appartenente alla base di una colonna. Alcuni materiali potrebbero provenire da strutture produttive poste lungo il vicino canale artificiale, attivo già in età romana, visto elementi che richiamano macine e simili.
Un elemento particolarmente evocativo è la tradizione scaligera, riportata da fonti del Cinquecento, secondo cui la spada di San Martino - reliquia unica in Europa - fosse conservata proprio in questa chiesa. Secondo il racconto, la spada sarebbe stata donata da Cangrande II della Scala a un membro della famiglia Bevilacqua, importanti sostenitori della costruzione del castello. La reliquia è oggi dispersa.
Le indagini archeologiche, coordinate dal Professor Saggioro (dell'Univerona) e da Luca Fabbri (Curatore delle collezioni d'arte medioevale e moderna del museo) hanno rivelato una complessa sequenza stratigrafica. Le fasi più antiche sono costituite resti di edifici residenziali di età romana, molto probabilmente riferibili ad un'aera suburbana gravitante attorno all'antica via Postumia. Di queste strutture restano tracce di murature, pavimenti rasati e materiali di demolizione, su cui si imposta una fase successiva di riporti e sepolture tardoantiche e altomedioevali.
La fondazione della chiesa è attestata tra il IX ed il X secolo, con successive trasformazioni che portano alla costruzione, tra pieno e tardo medioevo, di un edificio romanico a tre navate. Di quest'ultimo restano visibili alcuni elementi architettonici, tra cui un pilastro polilobato in laterizi, che divideva navata maggiore e minore e due fasi pavimentali: una in ciottoli legati con malta, l'altra in mattoni e lastre.
La chiesa sorgeva al di fuori della cinta muraria tardoantica di Verona, in un'area periferica, diventata progressivamente parte integrante dell'espansione urbana. In età comunale, infatti, le nuove mura inglobano la zona, rendendola strategica per l'accesso alla città. La vicinanza con due porte urbiche documentate e con l'Adige conferisce al sito un'importanza anche logistica.
La costruzione del Castelvecchio nel Trecento segna un cambiamento radicale. La chiesa viene progressivamente demolita o inglobata nella nuova fortezza voluta da Cangrande II della Scala, un castello che nel periodo è conosciuto proprio con il nome di San Martino Aquaro. Gli Scaligeri probabilmente scelsero l'area per il suo posizionamento liminare, tra città e campagna, ideale per stare fuori dal cuore dei tumulti cittadini e per controllare i collegamenti esterni.
Lo scavo ha messo in luce anche sepolture in diverse fasi, alcune anteriori, altre posteriori alle varie trasformazioni edilizie. Alcune tombe intaccano strati più antichi o precedenti pavimentazioni, altre sono in cassa laterizia e lastra di pietra. E' proprio lo studio della sovrapposizione delle sepolture aiuta a identificare la successione delle fasi di occupazioni e con queste l'evoluzione della comunità che gravitava attorno a questo luogo di culto.
Il reimpiego di materiali romani è abbondante: si trovano mattoni, elementi lapidei scolpiti, soglie e persino una base elegantemente decorata a rosette, probabilmente appartenente alla base di una colonna. Alcuni materiali potrebbero provenire da strutture produttive poste lungo il vicino canale artificiale, attivo già in età romana, visto elementi che richiamano macine e simili.
Un elemento particolarmente evocativo è la tradizione scaligera, riportata da fonti del Cinquecento, secondo cui la spada di San Martino - reliquia unica in Europa - fosse conservata proprio in questa chiesa. Secondo il racconto, la spada sarebbe stata donata da Cangrande II della Scala a un membro della famiglia Bevilacqua, importanti sostenitori della costruzione del castello. La reliquia è oggi dispersa.
Fonte:
archaeoreporter
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