Nei pressi del castello di Santa Severa, sulla costa nord di Roma, sorgeva un grande e famoso santuario etrusco, posto ai margini dell'abitato di Pyrgi, porto della potente città di Caere (Cerveteri). Fra le divinità che erano veneratte nelle due aree sacre di questo santuario, per il numero di dediche votive spicca la dea Cavatha (forma arcaica del più recente Cavtha e Cautha), che divideva la sua collocazione templare con Apollo/Suri, un dio che, in Etruria, aveva caratteri infernali ed oracolari.
I frequentatori greci del santuario invocavano Cavatha sia con il nome di Demeter sia con quello di Kore, la "figlia" per antonomasia della mitologia classica, compagna di Ade. In quest'ultima eccezione Cavatha fu particolarmente adorata anche dagli Etruschi, che le attribuirono l'epiteto di sech, "figlia". Sul piombo di Magliano, del V secolo a.C., il nome di Cautha compare in un lungo rituale con aspetti inferi e funerari, accompagnata dal nome di altre divinità, tra cui Calus, corrispondente al greco Ade. A Populonia, sempre nel V secolo a.C., un greco etruschizzato di nome Karnu firma, in etrusco, la dedica di una coppa a figure rosse decorata da una civetta, rivolgendosi a Cavatha con il diminutivo di Kavza, che, forse, allude ad un'immagine infantile o giovanile.
Un dizionario enciclopedico botanico risalente al III-IV secolo d.C., redatto da un anonimo compilatore, ha conservato il nome etrusco di alcune piante officinali accanto al corrispondente greco, latino e di altre lingue dell'area mediterranea antica. Tra le informazioni si nota il termine kautà(m), corrispondente etrusco di un fiore che in greco si chiama ànthemis ed in latino solis oculos, occhio del sole. Probabilmente è un genere di camomilla o di fiore di campo, il cui nome latino, tradotto nell'inglese medioevale degesege, "day's eye", occhio del giorno, costituisce la radice del moderno daisy, nome comune della margherita.
L'ultima attestazione del nome di Cavatha è del IV secolo a.C., quando le fu dedicata una paletta di bronzo in un santuario sulle sponde del lago Trasimeno. Dopo tale data il nome della dea non compare più in questa forma. Si fa strada il termine Catha, una variante più semplificata.
Con il nome di Catha si conosce una divinità che godeva di pubblico culto a Tarquinia, in associazione con aspetti propri dei riti dionisiaci. Un altro reperto, custodito negli Stati Uniti, accenna ad una madre di questa divinità che non è altrimenti nota. Sul Fegato di Piacenza, poi, è riportato il nome Cath, al quale corrisponde Catha in una delle caselle interne al reperto, confermando, in tal modo, la permanenza della divinità tra quelle più importanti del pantheon etrusco.
I frequentatori greci del santuario invocavano Cavatha sia con il nome di Demeter sia con quello di Kore, la "figlia" per antonomasia della mitologia classica, compagna di Ade. In quest'ultima eccezione Cavatha fu particolarmente adorata anche dagli Etruschi, che le attribuirono l'epiteto di sech, "figlia". Sul piombo di Magliano, del V secolo a.C., il nome di Cautha compare in un lungo rituale con aspetti inferi e funerari, accompagnata dal nome di altre divinità, tra cui Calus, corrispondente al greco Ade. A Populonia, sempre nel V secolo a.C., un greco etruschizzato di nome Karnu firma, in etrusco, la dedica di una coppa a figure rosse decorata da una civetta, rivolgendosi a Cavatha con il diminutivo di Kavza, che, forse, allude ad un'immagine infantile o giovanile.
Un dizionario enciclopedico botanico risalente al III-IV secolo d.C., redatto da un anonimo compilatore, ha conservato il nome etrusco di alcune piante officinali accanto al corrispondente greco, latino e di altre lingue dell'area mediterranea antica. Tra le informazioni si nota il termine kautà(m), corrispondente etrusco di un fiore che in greco si chiama ànthemis ed in latino solis oculos, occhio del sole. Probabilmente è un genere di camomilla o di fiore di campo, il cui nome latino, tradotto nell'inglese medioevale degesege, "day's eye", occhio del giorno, costituisce la radice del moderno daisy, nome comune della margherita.
L'ultima attestazione del nome di Cavatha è del IV secolo a.C., quando le fu dedicata una paletta di bronzo in un santuario sulle sponde del lago Trasimeno. Dopo tale data il nome della dea non compare più in questa forma. Si fa strada il termine Catha, una variante più semplificata.
Con il nome di Catha si conosce una divinità che godeva di pubblico culto a Tarquinia, in associazione con aspetti propri dei riti dionisiaci. Un altro reperto, custodito negli Stati Uniti, accenna ad una madre di questa divinità che non è altrimenti nota. Sul Fegato di Piacenza, poi, è riportato il nome Cath, al quale corrisponde Catha in una delle caselle interne al reperto, confermando, in tal modo, la permanenza della divinità tra quelle più importanti del pantheon etrusco.
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