Uno dei personaggi più controversi della storia romana fu, senz'altro, Lucio Sergio Catilina, celebre per aver tentato di sovvertire, negli ultimi anni della Repubblica, l'ordine costituito. All'epoca, siamo nel 63 d.C., la Roma repubblicana era dilaniata dalla lotta tra due fazioni distinte: gli optimates, vale a dire l'aristocrazia che voleva conservare l'antico mos maiorum e il potere, e i populares, giovani ambiziosi che erano favorevoli ad una redistribuzione delle ricchezze e del potere, anche se, segretamente, miravano al potere personale.
La dittatura di Silla dell'82 a.C. mise fine temporaneamente alle diatribe, anche se tracciò una linea netta di demarcazione tra chi era stato beneficiato in qualche modo dal dittatore e chi, invece, era stato emarginato e privato di ogni speranza di carriera politica. Proprio in questo particolare momento storico, si concentrano più figure di uomini particolarmente interessanti. Tra loro Marco Tullio Cicerone (106-48 a.C.) e Gaio Giulio Cesare (101-44 a.C.). Cicerone era un homo novus, poichè veniva da fuori Roma e non era di origini nobili. Cesare, invece, discendeva da una delle più nobili, se non la più nobile in assoluto, famiglia romana.
Catilina ben incarnava questo periodo storico così convulso, confuso, agitato. Era un nobile di antico lignaggio che, dapprincipio, militò negli optimates e fu particolarmente prezioso nel rendere operative le famigerate proscrizioni di Silla. Fu questore nel 78 a.C., edile nel 70 e pretore nel 68. Nel 66 a.C. cercò di candidarsi al consolato, ma la sua candidatura fu respinta ed egli fu accusato di aver abusato del suo potere mentre era governatore della provincia d'Africa.
Nel 64 a.C. Catilina si ripresentò alle elezioni da console in qualità di rappresentante dei populares. Proponeva la cancellazione dei debiti, la revisione dei sistemi giudiziari, la redistribuzione della ricchezza. Il Senato, spaventato da tale programma politico, gli oppose un formidabile avversario: Cicerone.
Sallustio e Cicerone affermano che Catilina cominciò a tramare per aizzare il popolo sia a Roma che in altri luoghi d'Italia, in particolare in Etruria, dove poteva contare sull'appoggio del suo legato Gaio Manlio. I sostenitori di Catilina erano sia uomini che donne, tra queste ultime vi era Sempronia, appartenente all'antica famiglia dei Gracchi. Molti nobili, frustrati nelle loro aspettative dal comportamento del Senato, finirono per avvicinarsi a Catilina che, oltre a loro, riuscì ad affascinare anche persone di rango più basso, plebei e popolani.
La congiura, in verità, non iniziò sotto buoni auspici: fu, infatti, scoperta e denunciata ancor prima che potesse essere messa in atto. Fulvia, confidente e amante di Quinto Curio, avvertì Cicerone, che era console in carica, dei disegni di Catilina. La congiura venne denunciata in Senato e Cicerone ebbe un inaspettato appoggio da un ricchissimo uomo politico Marco Licinio Crasso, un tempo protettore di Catilina.
Il 20 ottobre del 63 a.C. Crasso fece visita a Cicerone portando con sé alcune lettere anonime indirizzate a vari senatori, nelle quali si annunciava un'improvvisa azione sanguinaria e si invitavano i senatori complici a lasciare la città. Cicerone, allora, convocò una seduta urgente del Senato e denunciò il fatto. Il 21 ottobre il Senato conferì pieni poteri ai consoli perchè bloccassero e richiamassero gli uomini alle armi per contrastare l'esercito di Catilina.
Il 6 novembre si tenne una riunione dei congiurati a casa di uno di loro e Catilina stabilì di dare inizio al colpo di stato dal giorno seguente, uccidendo Cicerone. Sallustio vuole che, in questo frangente, i congiurati siano stati obbligati, dallo stesso Catilina, a giurare bevendo sangue umano mescolato con vino. Anche stavolta, però, Fulvia rovinò tutti i piani e Cicerone fu in grado di evitare gli assassini spediti a casa sua per ucciderlo.
L'8 novembre i senatori si riunirono nel tempio di Giove Statore sul Palatino e, presente Catilina, Cicerone demolì la reputazione dell'avversario pronunciando un'orazione rimasta celebre come Prima Catilinaria. Catilina, da parte sua, pregò i senatori di pensare bene alle accuse di Cicerone alla luce della sua appartenenza al patriziato romano, mentre l'oratore non era altro che un forestiero. I senatori non si lasciarono persuadere. Quelli che erano seduti accanto a lui si allontanarono dai loro seggi.
Catilina si recò, allora, in Etruria, dove Manlio aveva concentrato, vicino Fiesole, diverse truppe. A Roma, intanto, avrebbero agito alcuni complici di Catilina se non fosse stato per i rigidi controlli voluti dai consoli in carica, ai quali consoli il Senato aveva conferito poteri speciali. I congiurati, inoltre, piuttosto ingenuamente, cercarono di associare a loro alcuni Galli Allobrogi ospiti a Roma in qualità di ambasciatori, i quali rivelarono ben presto i piani dei congiurati. Coloro dei cospiratori che non avevano lasciato Roma, furono catturati e imprigionati. Il Senato cominciò a discutere della sorte dei prigionieri. Sallustio afferma che parlarono due brillanti oratori, Gaio Giulio Cesare, che sostenne che gli accusati dovevano essere privati dei loro beni e imprigionati a vita e Marco Porcio Catone l'Uticense che si espresse, invece, a favore della pena capitale, anche in considerazione del pericolo rappresentato dalle forze militari che i congiurati erano riusciti a radunare in Etruria. Fu il parere di Catone a prevalere, appoggiato da Cicerone. La pena di morte venne messa in atto nel Tullianum, detto anche Carcere Mamertino, ancor oggi visitabile alle pendici del Campidoglio, su uno dei lati del Foro Romano. I congiurati furono strangolati con una fune. Alcuni erano tra gli uomini più in vista della città.
Non c'era scampo, quindi, per i cospiratori che si vedevano tagliati anche i rifornimenti di truppe e che furono circondati da tre legioni fedeli al Senato. Catilina, con una infiammata arringa, esortò i suoi a combattere per la patria, la libertà e la vita. Tutti i soldati preferirono, alla fine, una morte onorevole alla resa. La battaglia fu cruenta. Alla fine dello scontro Catilina fu trovato agonizzante, dopo aver combattuto, al pari dei suoi, fino allo stremo.
La dittatura di Silla dell'82 a.C. mise fine temporaneamente alle diatribe, anche se tracciò una linea netta di demarcazione tra chi era stato beneficiato in qualche modo dal dittatore e chi, invece, era stato emarginato e privato di ogni speranza di carriera politica. Proprio in questo particolare momento storico, si concentrano più figure di uomini particolarmente interessanti. Tra loro Marco Tullio Cicerone (106-48 a.C.) e Gaio Giulio Cesare (101-44 a.C.). Cicerone era un homo novus, poichè veniva da fuori Roma e non era di origini nobili. Cesare, invece, discendeva da una delle più nobili, se non la più nobile in assoluto, famiglia romana.
Catilina ben incarnava questo periodo storico così convulso, confuso, agitato. Era un nobile di antico lignaggio che, dapprincipio, militò negli optimates e fu particolarmente prezioso nel rendere operative le famigerate proscrizioni di Silla. Fu questore nel 78 a.C., edile nel 70 e pretore nel 68. Nel 66 a.C. cercò di candidarsi al consolato, ma la sua candidatura fu respinta ed egli fu accusato di aver abusato del suo potere mentre era governatore della provincia d'Africa.
Nel 64 a.C. Catilina si ripresentò alle elezioni da console in qualità di rappresentante dei populares. Proponeva la cancellazione dei debiti, la revisione dei sistemi giudiziari, la redistribuzione della ricchezza. Il Senato, spaventato da tale programma politico, gli oppose un formidabile avversario: Cicerone.
Sallustio e Cicerone affermano che Catilina cominciò a tramare per aizzare il popolo sia a Roma che in altri luoghi d'Italia, in particolare in Etruria, dove poteva contare sull'appoggio del suo legato Gaio Manlio. I sostenitori di Catilina erano sia uomini che donne, tra queste ultime vi era Sempronia, appartenente all'antica famiglia dei Gracchi. Molti nobili, frustrati nelle loro aspettative dal comportamento del Senato, finirono per avvicinarsi a Catilina che, oltre a loro, riuscì ad affascinare anche persone di rango più basso, plebei e popolani.
La congiura, in verità, non iniziò sotto buoni auspici: fu, infatti, scoperta e denunciata ancor prima che potesse essere messa in atto. Fulvia, confidente e amante di Quinto Curio, avvertì Cicerone, che era console in carica, dei disegni di Catilina. La congiura venne denunciata in Senato e Cicerone ebbe un inaspettato appoggio da un ricchissimo uomo politico Marco Licinio Crasso, un tempo protettore di Catilina.
Il 20 ottobre del 63 a.C. Crasso fece visita a Cicerone portando con sé alcune lettere anonime indirizzate a vari senatori, nelle quali si annunciava un'improvvisa azione sanguinaria e si invitavano i senatori complici a lasciare la città. Cicerone, allora, convocò una seduta urgente del Senato e denunciò il fatto. Il 21 ottobre il Senato conferì pieni poteri ai consoli perchè bloccassero e richiamassero gli uomini alle armi per contrastare l'esercito di Catilina.
Il 6 novembre si tenne una riunione dei congiurati a casa di uno di loro e Catilina stabilì di dare inizio al colpo di stato dal giorno seguente, uccidendo Cicerone. Sallustio vuole che, in questo frangente, i congiurati siano stati obbligati, dallo stesso Catilina, a giurare bevendo sangue umano mescolato con vino. Anche stavolta, però, Fulvia rovinò tutti i piani e Cicerone fu in grado di evitare gli assassini spediti a casa sua per ucciderlo.
L'8 novembre i senatori si riunirono nel tempio di Giove Statore sul Palatino e, presente Catilina, Cicerone demolì la reputazione dell'avversario pronunciando un'orazione rimasta celebre come Prima Catilinaria. Catilina, da parte sua, pregò i senatori di pensare bene alle accuse di Cicerone alla luce della sua appartenenza al patriziato romano, mentre l'oratore non era altro che un forestiero. I senatori non si lasciarono persuadere. Quelli che erano seduti accanto a lui si allontanarono dai loro seggi.
Catilina si recò, allora, in Etruria, dove Manlio aveva concentrato, vicino Fiesole, diverse truppe. A Roma, intanto, avrebbero agito alcuni complici di Catilina se non fosse stato per i rigidi controlli voluti dai consoli in carica, ai quali consoli il Senato aveva conferito poteri speciali. I congiurati, inoltre, piuttosto ingenuamente, cercarono di associare a loro alcuni Galli Allobrogi ospiti a Roma in qualità di ambasciatori, i quali rivelarono ben presto i piani dei congiurati. Coloro dei cospiratori che non avevano lasciato Roma, furono catturati e imprigionati. Il Senato cominciò a discutere della sorte dei prigionieri. Sallustio afferma che parlarono due brillanti oratori, Gaio Giulio Cesare, che sostenne che gli accusati dovevano essere privati dei loro beni e imprigionati a vita e Marco Porcio Catone l'Uticense che si espresse, invece, a favore della pena capitale, anche in considerazione del pericolo rappresentato dalle forze militari che i congiurati erano riusciti a radunare in Etruria. Fu il parere di Catone a prevalere, appoggiato da Cicerone. La pena di morte venne messa in atto nel Tullianum, detto anche Carcere Mamertino, ancor oggi visitabile alle pendici del Campidoglio, su uno dei lati del Foro Romano. I congiurati furono strangolati con una fune. Alcuni erano tra gli uomini più in vista della città.
Non c'era scampo, quindi, per i cospiratori che si vedevano tagliati anche i rifornimenti di truppe e che furono circondati da tre legioni fedeli al Senato. Catilina, con una infiammata arringa, esortò i suoi a combattere per la patria, la libertà e la vita. Tutti i soldati preferirono, alla fine, una morte onorevole alla resa. La battaglia fu cruenta. Alla fine dello scontro Catilina fu trovato agonizzante, dopo aver combattuto, al pari dei suoi, fino allo stremo.
Nessun commento:
Posta un commento