Una stele romana, scoperta nel 1903, torna nella sua collocazione naturale a Cosenza, grazie alla collaborazione tra la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria e il Museo dei Bretti e degli Enotri di Cosenza.
Non appena scoperta la stele era stata rubata dagli operai che si occupavano dei lavori di fondazione dell'attuale Biblioteca Nazionale, per poi essere venduta sul mercato nero ed infine recuperata in Sicilia nel 1927, da dove fu trasferita al Museo Nazionale di Reggio Calabria.
La stele è una stele sepolcrale alta 75 centimetri, larga 68 e spesa 15,5. Purtroppo sono andate perdute sia la parte superiore che quella inferiore, ma il reperto è in buono stato di conservazione. Sul listello superiore è incisa, in caratteri greci regolari ed eleganti, l'iscrizione "Ia, figlia di Demetrios, salve". Ia era il nome della defunta. Frontalmente, in rilievo, è rappresentata, a sinistra, la defunta seduta, ammantata e con il capo velato. A destra una figura maschile in piedi, con tunica e braccio destro ripiegato. Entrambi assistono al commiato. Al centro della scena, in dimensioni ridotte, un servo e un'ancella.
La stele è stata recentemente datata all'età tardo imperiale (fine II-inizi III secolo d.C.). Probabilmente proviene dalle coste dell'Asia Minore, di Delo o di Rodi. Rimane un mistero su come sia pervenuta a Cosenza. Tra le ipotesi avanzate vi è quella di uno spostamento di monumenti e sculture avvenuti nel corso dei secoli dall'Oriente in Europa; oppure un reimpiego per fini diversi della stele, considerata di pregio e pertanto posta a decorazione del giardino dell'Episcopio, a due passi dal Duomo, dove, tra l'altro, è stato già identificato un altro caso di riutilizzo di un monumento sepolcrale antico: il sarcofago di marmo greco, raffigurante la caccia al cinghiale calidonio datato III secolo d.C., ritrovato negli anni Trenta del 1900 sotto il pavimento del Duomo e conservato all'interno dell'edificio sacro.
Non appena scoperta la stele era stata rubata dagli operai che si occupavano dei lavori di fondazione dell'attuale Biblioteca Nazionale, per poi essere venduta sul mercato nero ed infine recuperata in Sicilia nel 1927, da dove fu trasferita al Museo Nazionale di Reggio Calabria.
La stele è una stele sepolcrale alta 75 centimetri, larga 68 e spesa 15,5. Purtroppo sono andate perdute sia la parte superiore che quella inferiore, ma il reperto è in buono stato di conservazione. Sul listello superiore è incisa, in caratteri greci regolari ed eleganti, l'iscrizione "Ia, figlia di Demetrios, salve". Ia era il nome della defunta. Frontalmente, in rilievo, è rappresentata, a sinistra, la defunta seduta, ammantata e con il capo velato. A destra una figura maschile in piedi, con tunica e braccio destro ripiegato. Entrambi assistono al commiato. Al centro della scena, in dimensioni ridotte, un servo e un'ancella.
La stele è stata recentemente datata all'età tardo imperiale (fine II-inizi III secolo d.C.). Probabilmente proviene dalle coste dell'Asia Minore, di Delo o di Rodi. Rimane un mistero su come sia pervenuta a Cosenza. Tra le ipotesi avanzate vi è quella di uno spostamento di monumenti e sculture avvenuti nel corso dei secoli dall'Oriente in Europa; oppure un reimpiego per fini diversi della stele, considerata di pregio e pertanto posta a decorazione del giardino dell'Episcopio, a due passi dal Duomo, dove, tra l'altro, è stato già identificato un altro caso di riutilizzo di un monumento sepolcrale antico: il sarcofago di marmo greco, raffigurante la caccia al cinghiale calidonio datato III secolo d.C., ritrovato negli anni Trenta del 1900 sotto il pavimento del Duomo e conservato all'interno dell'edificio sacro.
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