Pavimentazione musiva di una villa romana di epoca tardo imperiale a Tusa |
Alesa Arconidea è un'antica città siculo-greca in provincia di Messina. Con il nome di Alaisia, secondo Diodoro Siculo, fu fondata nel 403 a.C. su di una collina poco lontana dal mare, oggi Santa Maria delle Palate, nel territorio di Tusa. Il nome della città deriva dal greco "alè", che vuol dire "incerto vagare", riferito alle popolazioni sicule cacciate dalla città conquistata dai greci.
Dopo la pace con la potente città di Siracusa, il tiranno Arconide II di Herbita concesse parte del territorio a nord della città a quelli tra i siculi che lo avevano aiutato durante la guerra. Per questo la città ebbe nome Halaesa Arconidea. Il territorio confinava con quello posto sotto l'influenza cartaginese e nei pressi si conosceva un insediamento di mercenari campani che vi si erano installati dopo la pace del 405 a.C. con Siracusa. Il nuovo insediamento siculo aveva, appunto, il compito di garantire ai greci la difesa del loro territorio dalle incursioni cartaginesi. Proprio per questo vennero costruite mura di fortificazione di circa 3 chilometri di lunghezza, che seguono il rilievo orografico. Le mura, in opera quadrata con filari di blocchi in arenaria, possedevano torri collegate da un camminamento e almeno quattro porte.
L'agorà della città si apriva sulla valle del Tusa e quella attualmente visibile risale al II secolo a.C., con rifacimenti di epoca imperiale, che chiusero la piazza con un monumentale doppio portico sopraelevato di 50 centimetri rispetto alla quota originale della piazza. Quest'ultima era lastricata con mattoni e dotata di un efficiente sistema di drenaggio delle acque piovane. Si possono vedere ancora le basi delle statue che l'adornavano.
Sull'acropoli sono tuttora presenti due basamenti templari. Fuori dalle mura si trova un colombario privo della originale copertura a volta, con nicchie per la deposizione delle urne: è questa la necropoli di epoca romana.
Le monete coniate ad Halaesa recano una colonna sormontata da un cane, simbolo della città che si ripete tutt'oggi nello stemma comunale di Tusa. La presenza di un tempio dedicato al dio Adrano, adorato nella zona etnea, potrebbe indicare l'origine degli abitanti dell'antica Halaesa. La città aderì all'alleanza siculo-greca del 339 a.C. facente capo a Timoleonte che, da Corinto, guidava una spedizione contro il tiranno Trasibulo di Siracusa in nome di ordinamenti politici più democratici. Le fonti rimandano anche di una partecipazione di Halaesa ad un gruppo composto da sedici città che dovevano, a turno, fornire una guarnigione per la protezione del santuario di Venere Ericina (Erice). Tutte le città del gruppo vantavano origini troiane. Un sacello con una statuetta frammentaria raffigurante una donna nell'atto di ravviarsi i capelli ha indotto gli studiosi a pensare che ad Halaesa vi era un luogo di culto dedicato a Venere.
Nel 263 a.C. i romani sbarcarono in Sicilia ed ottennero l'appoggio, tra le altre città, di Halaesa. Nel 241 a.C. la città ottenne lo status di civitas libera ac immunis che la liberava dall'obbligo di versare tributi a Roma, cosa che ne incentivò lo sviluppo economico e demografico. Fu questo il periodo in cui si stabilirono, ad Halaesa, alcuni elementi delle famiglie patrizie romane, come i Marcelli, i Clodii, gli Scipione e i Filone. Per un certo periodo di tempo, inoltre, Halaesa continuò a battere moneta anche in argento. Cicerone ci informa che la città contribuiva con navi ed equipaggio alla flotta siciliana. In epoca augustea Halaesa divenne municipio ed acquistò la cittadinanza romana.
La città esisteva ancora alla fine del IV secolo d.C. e compare nella Tabula Peutingeriana. Alla metà del V secolo era sede vescovile (si conosce un vescovo di nome Tobia da un'iscrizione greca contemporanea). Un documento del 522 costituisce la donazione, da parte del patrizio Tertullo, di alcuni territori in suo possesso all'abbazia di Montecassino. Nel VII secolo Halaesa viene citata tra le città più importanti della Sicilia da Gregorio di Cipro. Nell'VIII secolo i vescovi siciliani furono sottoposti all'autorità del Patriarcato di Costantinopoli.
Nell'835-836 fonti arabe riferiscono del saccheggio delle campagne in località Lyàsah, probabilmente coincidente con il territorio dell'antica Halaesa, ma gli arabi furono cacciati dalle forze intervenute in difesa della città. In seguito sembra che un devastante terremoto costrinse gli abitanti ad abbandonare Halaesa e le notizie di una successiva conquista araba sono alquanto contraddittorie e poco attendibili fino all'878, quando cadde in mano araba la città di Siracusa e, in seguito, venne installata una fortezza araba nella città deserta di Halaesa. I musulmani tengono questa parte della Sicilia fino al 1061, anno in cui Roberto il Guiscardo (vale a dire l'astuto), occupa la costa dei Nebrodi. Occorreranno, però, trent'anni per liberare la Sicilia dalla conquista araba. Nel 1090, sulle rovine di Halaesa, viene edificato il monastero benedettino di S. Maria de' Palati. Al Idrisi, che visitò la Sicilia normanna nel XII secolo, parla della fortezza di Tuz'ah ("la nuova", ora Tusa) e di quella di Qal'at 'al qawàrib (la rocca delle piccole barche), definento quest'ultima come di antica fondazione.
Nel 1558, tra le rovine dell'antica Halaesa, furono ritrovate due lastre di marmo sulle quali, in greco, era dettagliatamente descritto l'agro cittadino. Queste lastre, che pare siano state portate in Spagna nel XVIII secolo, sono purtroppo andate perdute. Il testo, incompleto, fu pubblicato dal principe di Torremuzza nel 1753. Vi risulta una suddivisione del territorio in dodici lotti dal lato del torrente Tusa (fiume Alesa) e in altri dodici dal lato del torrente Cicero (fiume Opicano). Altri tre lotti si trovavano, probabilmente, sulla cresta del costone che divide le due vallate. Vi è anche menzione di un doppio lotto sacro inaccessibile a macellai e conciapelli e quella di quattro templi, due dentro le mura (uno dedicato ad Apollo) e due extraurbani (dedicati ad Adrano e a Giove Meilichio). Sono nominati anche bagni, un acquedotto, la "fonte Ipurra", il "tapanon" e il "tematetis".
Dopo la pace con la potente città di Siracusa, il tiranno Arconide II di Herbita concesse parte del territorio a nord della città a quelli tra i siculi che lo avevano aiutato durante la guerra. Per questo la città ebbe nome Halaesa Arconidea. Il territorio confinava con quello posto sotto l'influenza cartaginese e nei pressi si conosceva un insediamento di mercenari campani che vi si erano installati dopo la pace del 405 a.C. con Siracusa. Il nuovo insediamento siculo aveva, appunto, il compito di garantire ai greci la difesa del loro territorio dalle incursioni cartaginesi. Proprio per questo vennero costruite mura di fortificazione di circa 3 chilometri di lunghezza, che seguono il rilievo orografico. Le mura, in opera quadrata con filari di blocchi in arenaria, possedevano torri collegate da un camminamento e almeno quattro porte.
L'agorà della città si apriva sulla valle del Tusa e quella attualmente visibile risale al II secolo a.C., con rifacimenti di epoca imperiale, che chiusero la piazza con un monumentale doppio portico sopraelevato di 50 centimetri rispetto alla quota originale della piazza. Quest'ultima era lastricata con mattoni e dotata di un efficiente sistema di drenaggio delle acque piovane. Si possono vedere ancora le basi delle statue che l'adornavano.
Sull'acropoli sono tuttora presenti due basamenti templari. Fuori dalle mura si trova un colombario privo della originale copertura a volta, con nicchie per la deposizione delle urne: è questa la necropoli di epoca romana.
Le monete coniate ad Halaesa recano una colonna sormontata da un cane, simbolo della città che si ripete tutt'oggi nello stemma comunale di Tusa. La presenza di un tempio dedicato al dio Adrano, adorato nella zona etnea, potrebbe indicare l'origine degli abitanti dell'antica Halaesa. La città aderì all'alleanza siculo-greca del 339 a.C. facente capo a Timoleonte che, da Corinto, guidava una spedizione contro il tiranno Trasibulo di Siracusa in nome di ordinamenti politici più democratici. Le fonti rimandano anche di una partecipazione di Halaesa ad un gruppo composto da sedici città che dovevano, a turno, fornire una guarnigione per la protezione del santuario di Venere Ericina (Erice). Tutte le città del gruppo vantavano origini troiane. Un sacello con una statuetta frammentaria raffigurante una donna nell'atto di ravviarsi i capelli ha indotto gli studiosi a pensare che ad Halaesa vi era un luogo di culto dedicato a Venere.
Nel 263 a.C. i romani sbarcarono in Sicilia ed ottennero l'appoggio, tra le altre città, di Halaesa. Nel 241 a.C. la città ottenne lo status di civitas libera ac immunis che la liberava dall'obbligo di versare tributi a Roma, cosa che ne incentivò lo sviluppo economico e demografico. Fu questo il periodo in cui si stabilirono, ad Halaesa, alcuni elementi delle famiglie patrizie romane, come i Marcelli, i Clodii, gli Scipione e i Filone. Per un certo periodo di tempo, inoltre, Halaesa continuò a battere moneta anche in argento. Cicerone ci informa che la città contribuiva con navi ed equipaggio alla flotta siciliana. In epoca augustea Halaesa divenne municipio ed acquistò la cittadinanza romana.
La città esisteva ancora alla fine del IV secolo d.C. e compare nella Tabula Peutingeriana. Alla metà del V secolo era sede vescovile (si conosce un vescovo di nome Tobia da un'iscrizione greca contemporanea). Un documento del 522 costituisce la donazione, da parte del patrizio Tertullo, di alcuni territori in suo possesso all'abbazia di Montecassino. Nel VII secolo Halaesa viene citata tra le città più importanti della Sicilia da Gregorio di Cipro. Nell'VIII secolo i vescovi siciliani furono sottoposti all'autorità del Patriarcato di Costantinopoli.
Nell'835-836 fonti arabe riferiscono del saccheggio delle campagne in località Lyàsah, probabilmente coincidente con il territorio dell'antica Halaesa, ma gli arabi furono cacciati dalle forze intervenute in difesa della città. In seguito sembra che un devastante terremoto costrinse gli abitanti ad abbandonare Halaesa e le notizie di una successiva conquista araba sono alquanto contraddittorie e poco attendibili fino all'878, quando cadde in mano araba la città di Siracusa e, in seguito, venne installata una fortezza araba nella città deserta di Halaesa. I musulmani tengono questa parte della Sicilia fino al 1061, anno in cui Roberto il Guiscardo (vale a dire l'astuto), occupa la costa dei Nebrodi. Occorreranno, però, trent'anni per liberare la Sicilia dalla conquista araba. Nel 1090, sulle rovine di Halaesa, viene edificato il monastero benedettino di S. Maria de' Palati. Al Idrisi, che visitò la Sicilia normanna nel XII secolo, parla della fortezza di Tuz'ah ("la nuova", ora Tusa) e di quella di Qal'at 'al qawàrib (la rocca delle piccole barche), definento quest'ultima come di antica fondazione.
Nel 1558, tra le rovine dell'antica Halaesa, furono ritrovate due lastre di marmo sulle quali, in greco, era dettagliatamente descritto l'agro cittadino. Queste lastre, che pare siano state portate in Spagna nel XVIII secolo, sono purtroppo andate perdute. Il testo, incompleto, fu pubblicato dal principe di Torremuzza nel 1753. Vi risulta una suddivisione del territorio in dodici lotti dal lato del torrente Tusa (fiume Alesa) e in altri dodici dal lato del torrente Cicero (fiume Opicano). Altri tre lotti si trovavano, probabilmente, sulla cresta del costone che divide le due vallate. Vi è anche menzione di un doppio lotto sacro inaccessibile a macellai e conciapelli e quella di quattro templi, due dentro le mura (uno dedicato ad Apollo) e due extraurbani (dedicati ad Adrano e a Giove Meilichio). Sono nominati anche bagni, un acquedotto, la "fonte Ipurra", il "tapanon" e il "tematetis".
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