La cripta dell'Abbazia di Breme |
La storia del monastero benedettino di Breme, dal 726 all'anno Mille, legato all'abbazia piemontese di Novalesa, è narrata nel Chronicon novaliciense, una fonte documentale di notevole valore, redatta intorno al 1050 da un monaco di Breme.
La minaccia saracena costrinse la comunità religiosa della Val di Susa, tra il 912 e il 920, ad abbandonare la sede tra i monti per rifugiarsi a Torino. I monaci ricevettero dal marchese Adalberto, loro protettore che esercitava il potere sulla marca di Ivrea, le corti di Breme e Pollicino, confermate con un diploma del 24 luglio 929 dal re Ugo di Provenza. Questi territori si trovavano in un'area pianeggiante, attraversato dalla via Francigena e dalla Strada Regia, che collegavano Pavia, sede del palazzo regio, e Lomello, sede della contea, ai passi alpini del nord-ovest.
Fiumi pescosi e l'abbondanza di acqua contribuirono a fare di queste terre un locus amoenus. Uno dei dossi presenti nella regione venne occupato dai frati che vi eressero un cenobio, ben difeso dalle aggressioni esterne e dalle improvvise esondazioni dei fiumi Sesia e Po. L'erezione del nuovo monastero intitolato a San Pietro fu iniziata da Donniverto, ultimo abate di Novalesa e primo di Breme.
Il cenobio si presentava fortificato da un fossato, a sua volta rinforzato da una palizzata. L'abbazia rispondeva, in generale, alle esigenze politiche, economiche e militari dei fondatori e fu, per questo, coinvolta spesso nelle complesse vicdende storiche per la lotta alla corona del Regno d'Italia.
Nel 950 l'ente religioso fu ceduto, con beni e pertinenze, da Lotario ad Arduino il Glabro, negli anni settanta del X secolo, quando visse un periodo di grande rinascita, coinciso con l'abbaziato di Gezone, eletto nel 976. Costui si impegnò nella ricostruzione di Novalesa, che, alla metà del Mille, tornò in piena attività e diede ampio risalto al cenobio di Breme.
Il cenobio aveva ricevuto ulteriore consolidamento economico dai diplomi imperiali di Ottone III, datati 19 luglio 992 e 26 aprile 998, di Enrico III (1048) e con la bolla di Benedetto VIII.
Il declino avvenne a distanza di tre secoli, quando, nel 1306, Breme fu assediata, conquistata e trasformata in un presidio militare dalle milizie di Galeazzo Visconti. La comunità benedettina si trasferì, nel 1542 nell'abbazia di S. Alberto di Butrio, sulle colline dell'Oltrepò pavese, lasciando posto agli olivetani.
Durante la guerra dei trent'anni la località fu occupata e fortificata dalle truppe della coalizione di Francia, ducato di Savoia e ducato di Modena. La nuova struttura difensiva incorporò nelle mura pure l'abbazia di S. Pietro e la chiesa abbaziale fu trasformata in deposito munizioni. Il cenobio venne radicalmente restaurato nel 1650, ma il declino era, oramai, inarrestabile. Nel 1784 il re di Sardegna Vittorio Amedeo III ne decretò la soppressione.
Qualche decennio dopo la chiesa, piuttosto diroccata e pericolante, fu abbattuta durante il regno italico di Napoleone I. L'attuale complesso architettonico è quello costruito dai monaci olivetani alla metà del '500 e completamente ristrutturato un secolo dopo.
Dell'abbazia del X secolo oggi rimane ancora la bellissima cripta che, orientata verso est, si presume sia stata eretta nella prima metà del 900 e ampliata verso la fine del secolo. La cripta è costruita in laterizio frammisto a ciottoli di fiume ed è lunga più di 11 metri e larga 6 ed è divisa in tre navatelle. Le volte a crociera sono impostate su otto colonne terminanti con capitelli piuttosto rozzi. Degli otto pilastri, quattro sono in pietra, uno in marmo bianco venato, probabilmente recuperato da qualche edificio di epoca romana. Altri quattro sono in laterizio e risalgono al '700.
La minaccia saracena costrinse la comunità religiosa della Val di Susa, tra il 912 e il 920, ad abbandonare la sede tra i monti per rifugiarsi a Torino. I monaci ricevettero dal marchese Adalberto, loro protettore che esercitava il potere sulla marca di Ivrea, le corti di Breme e Pollicino, confermate con un diploma del 24 luglio 929 dal re Ugo di Provenza. Questi territori si trovavano in un'area pianeggiante, attraversato dalla via Francigena e dalla Strada Regia, che collegavano Pavia, sede del palazzo regio, e Lomello, sede della contea, ai passi alpini del nord-ovest.
Fiumi pescosi e l'abbondanza di acqua contribuirono a fare di queste terre un locus amoenus. Uno dei dossi presenti nella regione venne occupato dai frati che vi eressero un cenobio, ben difeso dalle aggressioni esterne e dalle improvvise esondazioni dei fiumi Sesia e Po. L'erezione del nuovo monastero intitolato a San Pietro fu iniziata da Donniverto, ultimo abate di Novalesa e primo di Breme.
Il cenobio si presentava fortificato da un fossato, a sua volta rinforzato da una palizzata. L'abbazia rispondeva, in generale, alle esigenze politiche, economiche e militari dei fondatori e fu, per questo, coinvolta spesso nelle complesse vicdende storiche per la lotta alla corona del Regno d'Italia.
Nel 950 l'ente religioso fu ceduto, con beni e pertinenze, da Lotario ad Arduino il Glabro, negli anni settanta del X secolo, quando visse un periodo di grande rinascita, coinciso con l'abbaziato di Gezone, eletto nel 976. Costui si impegnò nella ricostruzione di Novalesa, che, alla metà del Mille, tornò in piena attività e diede ampio risalto al cenobio di Breme.
Il cenobio aveva ricevuto ulteriore consolidamento economico dai diplomi imperiali di Ottone III, datati 19 luglio 992 e 26 aprile 998, di Enrico III (1048) e con la bolla di Benedetto VIII.
Il declino avvenne a distanza di tre secoli, quando, nel 1306, Breme fu assediata, conquistata e trasformata in un presidio militare dalle milizie di Galeazzo Visconti. La comunità benedettina si trasferì, nel 1542 nell'abbazia di S. Alberto di Butrio, sulle colline dell'Oltrepò pavese, lasciando posto agli olivetani.
Durante la guerra dei trent'anni la località fu occupata e fortificata dalle truppe della coalizione di Francia, ducato di Savoia e ducato di Modena. La nuova struttura difensiva incorporò nelle mura pure l'abbazia di S. Pietro e la chiesa abbaziale fu trasformata in deposito munizioni. Il cenobio venne radicalmente restaurato nel 1650, ma il declino era, oramai, inarrestabile. Nel 1784 il re di Sardegna Vittorio Amedeo III ne decretò la soppressione.
Qualche decennio dopo la chiesa, piuttosto diroccata e pericolante, fu abbattuta durante il regno italico di Napoleone I. L'attuale complesso architettonico è quello costruito dai monaci olivetani alla metà del '500 e completamente ristrutturato un secolo dopo.
Dell'abbazia del X secolo oggi rimane ancora la bellissima cripta che, orientata verso est, si presume sia stata eretta nella prima metà del 900 e ampliata verso la fine del secolo. La cripta è costruita in laterizio frammisto a ciottoli di fiume ed è lunga più di 11 metri e larga 6 ed è divisa in tre navatelle. Le volte a crociera sono impostate su otto colonne terminanti con capitelli piuttosto rozzi. Degli otto pilastri, quattro sono in pietra, uno in marmo bianco venato, probabilmente recuperato da qualche edificio di epoca romana. Altri quattro sono in laterizio e risalgono al '700.
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