La colonizzazione greca interessò la penisola italica intorno all'VIII secolo a.C., in particolare le regioni del sud Italia, Campania, Calabria e Sicilia.
Sibari è la prima colonia fondata da Achei, greci provenienti dall'Acaia, una regione del Peloponneso. Il fondatore della città, in greco ecista, fu Is di Elice e Sibari nacque ufficialmente nel 720 a.C. a sud del golfo di Taranto, sulla fertile vallata alla foce degli odierni Crati e Coscile, che in antico ebbero il nome di Krathis e Sybaris. Proprio da quest'ultimo fiume prese nome la città.
I fiumi ed il massiccio del Pollino favorirono lo svilupparsi della colonia che, in breve tempo, divenne la più importante e potente città della Magna Grecia. Nel VI secolo a.C. Sibari si estendeva per 50 stadi (500 ettari circa) e contava una popolazione di 100.000 abitanti. Era molto vicina al mare ed aveva anche un porto fluviale, comodo riparo per il ricovero delle navi. Questo favorì, ovviamente, il proliferare dei commerci e degli scambi, al punto che Sibari divenne una tappa importante per i naviganti che approdavano sulle coste ioniche della Calabria.
I coloni sibariti seppero sfruttare sia le risorse agricole che le altre risorse naturali di cui la regione era ricca, come il legname dell'altopiano della Sila. Non secondario al florido sviluppo della colonia furono le miniere di argento e di altri metalli, collocate nell'entroterra.
Il sempre maggiore bisogno di terra portò i sibariti a scontrarsi con gli Enotri, antichi abitatori della zona e delle colline circostanti, che furono rapidamente sconfitti e costretti a rifugiarsi nell'entroterra. Sibari, dunque, cominciò a tessere una proficua tela di alleanze con i centri ed i popoli a lei vicini. Strabone ricorda che la città impose la sua sovranità a quattro ethnè (popoli) e ben 25 città. Un'importante testimonianza epigrafica, il trattato sui Serdaioi (forse i Sardi), inciso su una lamina deposta ad Olimpia, conferma quanto scritto nelle fonti.
Verso la fine del VI secolo Sibari fonda, sulla costa tirrenica, le colonie di Poseidonia (Paestum), Laos (Marcellina) e Scidro. Sulla costa ionica, invece, innalzò Metaponto. La città, quindi, si alleò con Crotone e Metaponto per distruggere la colonia di Siris ed annettersene il fertile territorio. Questo periodo coincise con l'apice della potenza di Sibari, che si estendeva sullo Ionio a sud fino alla foce del fiume Traente e verso nord fino alla piana del fiume Sinni, nell'ex territorio di Siris. Sul Tirreno Sibari stendeva il suo predominio su Temesa e Terina (fondata da Crotone) e su Laos e Scidro ed arrivava fino a Poseidonia.
Alla fine del VI secolo a.C. Sibari fu sconfitta e distrutta dall'antagonista Crotone, il cui governo oligarchico era fortemente contrario al regime tirannico di Telis che governava Sibari dopo aver conquistato il potere verso il 520 a.C. ed aver cacciato dalla città 500 tra i cittadini più ricchi che avevano trovato rifugio proprio a Crotone.
Nel 510 a.C. si ebbe lo scontro fatale tra le due città, presso il fiume Traente (oggi Trionto), confine naturale tra le due poleis. La battaglia si volse a favore dei crotoniati. Erodoto racconta che l'esercito vittorioso marciò su Sibari, la assediò e la costrinse alla resa. La città venne, poi, rasa al suolo e fu deviato, addirittura, il corso del fiume Crati perchè le sue rovine fossero sommerse dalle acque e della potente Sibari non restasse alcuna traccia.
In tal modo Crotone ereditò il territorio di Sibari ma dovette fronteggiare i gravi problemi politici e gli squilibri che derivarono dalla gestione ed amministrazione del vasto territorio della sconfitta rivale. I sibariti, da parte loro, non si erano dispersi ed avevano ripetutamente richiesto l'aiuto dei più importanti centri della Grecia per rifondare la loro città. Nel 444 a.C. Pericle, in un momento di espansione della politica ateniese, accolse queste richieste ed organizzò una spedizione coloniale con lo scopo di dar vita ad una colonia panellenica sul sito della distrutta Sibari.
Nel 443 gli ecisti Lampone e Xenocrito, ascoltato il vaticinio dell'oracolo di Delfi, guidarono la spedizione che doveva fondare la nuova colonia alla foce del fiume Crati. Tra i coloni vi furono molti illustri personaggi, quali il filosofo Protagora e lo storico Erodoto. Il principale artefice della nuova città fu, però, l'architetto Ippodamo di Mileto, che pianificò con cura lo schema urbano del nuovo centro, facendo pianare e livellare ciò che rimaneva dell'antica Sibari. La città, come racconta Diodoro Siculo, venne chiamata Thurii dal nome di una sorgente, ma non nacque sotto i migliori auspici. Già prima della sua fondazione gli esuli sibariti avevano iniziato ad accampare delle pretese per via della loro ascendenza: pretendevano i terreni migliori e più vicini alla città. Questo portò i nuovi coloni ad allontanare i vecchi dal nuovo centro e gli esuli sibariti decisero di fondare una loro colonia, che fu chiamata Sibari sul Traente, anch'essa dimenticata dalla fortuna, della quale si conosce solo il nome ma non si è ancora riusciti ad individuare l'ubicazione.
Thurii non raggiunse mai nè la grandezza nè la ricchezza di Sibari. Oltretutto il suo impianto urbano era più piccolo di quello dell'antica colonia. La sfera d'influenza di Thurii si estendeva fino al fiume Traente e fino a Metaponto. Nel V secolo a.C., poi, Thurii si trovò a fronteggiare la colonia spartana di Taranto nella contesa sui territori un tempo di Siris e, fino ad allora, controllati da Metaponto. La guerra durò circa dieci anni ed assorbì risorse, uomini ed energie, risolvendosi a favore di Taranto che, sui territori della siritide, fondò Heraclea (433 a.C.).
Dopo questa cocente sconfitta, il governo di Thurii, inizialmente democratico, si trasformò in aristocratico che non diede il suo appoggio ad Atene durante la sua guerra contro Siracusa. Verso la fine del V secolo a.C., Thurii difese la sua autonomia dalla minaccia dei tiranni di Siracusa Dioniso I e di suo figlio Dioniso II. Quest'ultimo, in particolare, cercò di estendere il dominio di Siracusa fino in Calabria, allacciando alleanze con Locri e minacciando, oltre a Thurii, anche Crotone e Reggio.
In piena decadenza, sul territorio di Thurii fu dedotta, nel 194 a.C., la colonia latina di Copia. Il nome scelto (che vuol dire "abbondanza") ed il simbolo della cornucopia impresso sul recto delle monete coniate dalla città, doveva portare fortuna e prosperità al nuovo centro. Nelle fonti letterarie, Copia continuò ad essere chiamata Thurii, malgrado le monete riportino la dicitura Copiae, il che dimostra una prevalenza dei cittadini italioti sui coloni mandati da Roma (circa 3300 capifamiglia). La città, progressivamente romanizzata si sviluppò progressivamente, divenendo, nell'84 a.C., municipio romano. Il culmine della prosperità Copia lo raggiunse in età augustea e grazie alle grandi riforme volute da Ottaviano a partire dal 31 a.C.. Scomparve la Magna Grecia e la Calabria venne inquadrata nella Regio III Lucania e Bruttiorum. Copia-Thurii divenne una tranquilla città romana che Cicerone ricorda come un luogo appartato, con una campagna ben coltivata ed uno dei pochi porti praticabili della costa ionica.
La città decadde lentamente in epoca imperiale fino alla decadenza definitiva che coincise con il tramonto dell'Impero Romano. Durante la prima metà del VI secolo d.C., un nuovo assetto territoriale sancì la divisione tra il regno longobardo a nord e quello bizantino a sud del Crati. Sugli antichi territori un tempo appartenuti alla potente Sibari sorsero i centri di Cassano, Corigliano e Rossano. La città continuò ad essere indicata come Thurii fino ad epoca tarda, quando venne gradualmente abbandonata per l'innalzamento della falda acquifera e l'impaludamento del terreno che rese malsana e malarica la zona e che portò al definitivo abbandono, nel VII secolo d.C.. Le vestigia dell'antica Copia-Thurii diverranno, allora, una sorta di cava per l'asporto di elementi lapidei e marmi da calcina.
Sibari è la prima colonia fondata da Achei, greci provenienti dall'Acaia, una regione del Peloponneso. Il fondatore della città, in greco ecista, fu Is di Elice e Sibari nacque ufficialmente nel 720 a.C. a sud del golfo di Taranto, sulla fertile vallata alla foce degli odierni Crati e Coscile, che in antico ebbero il nome di Krathis e Sybaris. Proprio da quest'ultimo fiume prese nome la città.
I fiumi ed il massiccio del Pollino favorirono lo svilupparsi della colonia che, in breve tempo, divenne la più importante e potente città della Magna Grecia. Nel VI secolo a.C. Sibari si estendeva per 50 stadi (500 ettari circa) e contava una popolazione di 100.000 abitanti. Era molto vicina al mare ed aveva anche un porto fluviale, comodo riparo per il ricovero delle navi. Questo favorì, ovviamente, il proliferare dei commerci e degli scambi, al punto che Sibari divenne una tappa importante per i naviganti che approdavano sulle coste ioniche della Calabria.
I coloni sibariti seppero sfruttare sia le risorse agricole che le altre risorse naturali di cui la regione era ricca, come il legname dell'altopiano della Sila. Non secondario al florido sviluppo della colonia furono le miniere di argento e di altri metalli, collocate nell'entroterra.
Il sempre maggiore bisogno di terra portò i sibariti a scontrarsi con gli Enotri, antichi abitatori della zona e delle colline circostanti, che furono rapidamente sconfitti e costretti a rifugiarsi nell'entroterra. Sibari, dunque, cominciò a tessere una proficua tela di alleanze con i centri ed i popoli a lei vicini. Strabone ricorda che la città impose la sua sovranità a quattro ethnè (popoli) e ben 25 città. Un'importante testimonianza epigrafica, il trattato sui Serdaioi (forse i Sardi), inciso su una lamina deposta ad Olimpia, conferma quanto scritto nelle fonti.
Verso la fine del VI secolo Sibari fonda, sulla costa tirrenica, le colonie di Poseidonia (Paestum), Laos (Marcellina) e Scidro. Sulla costa ionica, invece, innalzò Metaponto. La città, quindi, si alleò con Crotone e Metaponto per distruggere la colonia di Siris ed annettersene il fertile territorio. Questo periodo coincise con l'apice della potenza di Sibari, che si estendeva sullo Ionio a sud fino alla foce del fiume Traente e verso nord fino alla piana del fiume Sinni, nell'ex territorio di Siris. Sul Tirreno Sibari stendeva il suo predominio su Temesa e Terina (fondata da Crotone) e su Laos e Scidro ed arrivava fino a Poseidonia.
Alla fine del VI secolo a.C. Sibari fu sconfitta e distrutta dall'antagonista Crotone, il cui governo oligarchico era fortemente contrario al regime tirannico di Telis che governava Sibari dopo aver conquistato il potere verso il 520 a.C. ed aver cacciato dalla città 500 tra i cittadini più ricchi che avevano trovato rifugio proprio a Crotone.
Nel 510 a.C. si ebbe lo scontro fatale tra le due città, presso il fiume Traente (oggi Trionto), confine naturale tra le due poleis. La battaglia si volse a favore dei crotoniati. Erodoto racconta che l'esercito vittorioso marciò su Sibari, la assediò e la costrinse alla resa. La città venne, poi, rasa al suolo e fu deviato, addirittura, il corso del fiume Crati perchè le sue rovine fossero sommerse dalle acque e della potente Sibari non restasse alcuna traccia.
In tal modo Crotone ereditò il territorio di Sibari ma dovette fronteggiare i gravi problemi politici e gli squilibri che derivarono dalla gestione ed amministrazione del vasto territorio della sconfitta rivale. I sibariti, da parte loro, non si erano dispersi ed avevano ripetutamente richiesto l'aiuto dei più importanti centri della Grecia per rifondare la loro città. Nel 444 a.C. Pericle, in un momento di espansione della politica ateniese, accolse queste richieste ed organizzò una spedizione coloniale con lo scopo di dar vita ad una colonia panellenica sul sito della distrutta Sibari.
Nel 443 gli ecisti Lampone e Xenocrito, ascoltato il vaticinio dell'oracolo di Delfi, guidarono la spedizione che doveva fondare la nuova colonia alla foce del fiume Crati. Tra i coloni vi furono molti illustri personaggi, quali il filosofo Protagora e lo storico Erodoto. Il principale artefice della nuova città fu, però, l'architetto Ippodamo di Mileto, che pianificò con cura lo schema urbano del nuovo centro, facendo pianare e livellare ciò che rimaneva dell'antica Sibari. La città, come racconta Diodoro Siculo, venne chiamata Thurii dal nome di una sorgente, ma non nacque sotto i migliori auspici. Già prima della sua fondazione gli esuli sibariti avevano iniziato ad accampare delle pretese per via della loro ascendenza: pretendevano i terreni migliori e più vicini alla città. Questo portò i nuovi coloni ad allontanare i vecchi dal nuovo centro e gli esuli sibariti decisero di fondare una loro colonia, che fu chiamata Sibari sul Traente, anch'essa dimenticata dalla fortuna, della quale si conosce solo il nome ma non si è ancora riusciti ad individuare l'ubicazione.
Thurii non raggiunse mai nè la grandezza nè la ricchezza di Sibari. Oltretutto il suo impianto urbano era più piccolo di quello dell'antica colonia. La sfera d'influenza di Thurii si estendeva fino al fiume Traente e fino a Metaponto. Nel V secolo a.C., poi, Thurii si trovò a fronteggiare la colonia spartana di Taranto nella contesa sui territori un tempo di Siris e, fino ad allora, controllati da Metaponto. La guerra durò circa dieci anni ed assorbì risorse, uomini ed energie, risolvendosi a favore di Taranto che, sui territori della siritide, fondò Heraclea (433 a.C.).
Dopo questa cocente sconfitta, il governo di Thurii, inizialmente democratico, si trasformò in aristocratico che non diede il suo appoggio ad Atene durante la sua guerra contro Siracusa. Verso la fine del V secolo a.C., Thurii difese la sua autonomia dalla minaccia dei tiranni di Siracusa Dioniso I e di suo figlio Dioniso II. Quest'ultimo, in particolare, cercò di estendere il dominio di Siracusa fino in Calabria, allacciando alleanze con Locri e minacciando, oltre a Thurii, anche Crotone e Reggio.
In piena decadenza, sul territorio di Thurii fu dedotta, nel 194 a.C., la colonia latina di Copia. Il nome scelto (che vuol dire "abbondanza") ed il simbolo della cornucopia impresso sul recto delle monete coniate dalla città, doveva portare fortuna e prosperità al nuovo centro. Nelle fonti letterarie, Copia continuò ad essere chiamata Thurii, malgrado le monete riportino la dicitura Copiae, il che dimostra una prevalenza dei cittadini italioti sui coloni mandati da Roma (circa 3300 capifamiglia). La città, progressivamente romanizzata si sviluppò progressivamente, divenendo, nell'84 a.C., municipio romano. Il culmine della prosperità Copia lo raggiunse in età augustea e grazie alle grandi riforme volute da Ottaviano a partire dal 31 a.C.. Scomparve la Magna Grecia e la Calabria venne inquadrata nella Regio III Lucania e Bruttiorum. Copia-Thurii divenne una tranquilla città romana che Cicerone ricorda come un luogo appartato, con una campagna ben coltivata ed uno dei pochi porti praticabili della costa ionica.
La città decadde lentamente in epoca imperiale fino alla decadenza definitiva che coincise con il tramonto dell'Impero Romano. Durante la prima metà del VI secolo d.C., un nuovo assetto territoriale sancì la divisione tra il regno longobardo a nord e quello bizantino a sud del Crati. Sugli antichi territori un tempo appartenuti alla potente Sibari sorsero i centri di Cassano, Corigliano e Rossano. La città continuò ad essere indicata come Thurii fino ad epoca tarda, quando venne gradualmente abbandonata per l'innalzamento della falda acquifera e l'impaludamento del terreno che rese malsana e malarica la zona e che portò al definitivo abbandono, nel VII secolo d.C.. Le vestigia dell'antica Copia-Thurii diverranno, allora, una sorta di cava per l'asporto di elementi lapidei e marmi da calcina.
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