Fino al 21 febbraio scorso è stato possibile visitare, a Castelfranco Emilia (Modena), una mostra dedicata allo studio archeologico ed antropologico di particolari tipi di sepolture: quelle che presentano dei rituali funerari non convenzionali. Tra i casi più significativi, vi sono 4 scheletri ritrovati durante i lavori per la realizzazione della nuova stazione dell'Alta Velocità a Bologna. Durante gli scavi sono stati anche posti in evidenza tre assi viari fiancheggiati da tombe, una fitta rete di canali e strutture insediative solo parzialmente scavate.
L'area più complessa della nuova stazione è costituita da 142 sepolture, delle quali 116 cremazioni e 26 inumazioni. Il periodo è il I-III secolo d.C.. Le sepolture erano poste in recinti funerari ed avevano stele con la fronte iscritta rivolta verso la strada. Una delle tombe era piuttosto isolata ed è stata datata al II secolo d.C.. L'inumato era un giovane del quale, però, non è stato possibile stabilire il sesso. Giaceva in posizione supina, con gli arti inferiori piuttosto ravvicinati, congiunti all'altezza delle ginocchia e delle caviglie, il che, probabilmente, è indizio di una qualche legatura. Gli arti superiori, poi, erano piegati sul petto e l'avambraccio destro era stato fissato al torace con dei chiodi. Altri tre chiodi erano stati conficcati nel cranio, all'altezza della cavità orbitaria destra. Probabilmente queste ed altre infissioni che il cadavere presenta nelle parti alte del corpo, sono state fatte post-mortem.
La tomba n. 109 conteneva i resti di una donna adulta, deposta supina, con il braccio destro disteso lungo il corpo e l'avambraccio sinistro posto sull'addome. Il cranio recava un grosso chiodo conficcato ed era reclinato in modo che il viso fosse rivolto in alto e la nuca arrivasse a toccare l'omero destro. La sepoltura conteneva molti chiodi in ferro e diversi oggetti di corredo: uno spillone di bronzo e frammenti di aghi e manufatti in osso, spezzati e riposti in un fascio accanto al cranio. Vicino alla tomba della donna sono state intercettate le sepolture di un neonato e di un infante.
Torture ed esecuzioni che richiedevano l'utilizzo di chiodi sono piuttosto frequenti nel mondo greco. Nell'isola di Delo sono stati ritrovati due scheletri femminili del II-I secolo a.C. accanto a diversi chiodi posti a livello degli arti inferiori e delle mani. Dallo studio delle ossa si è potuto accertare che i chiodi sono stati infitti nel corpo ancora vivo e che le defunte sopravvissero alle ferite riportate.
Ovviamente l'esempio più noto di infissione di chiodi è la crocifissione. Nè, però, la tortura nè tantomento la crocifissione possono applicarsi al ritrovamento di chiodi nelle sepolture bolognesi. La ritualità dei chiodi, che rappresentavano anche oggetti di corredo nelle necropoli dell'Emilia Romagna, era dettata da una necessità di protezione contro il ritorno dei defunti dall'aldilà.
Altre due tombe bolognesi presentano elementi rituali piuttosto particolari. La tomba n. 244, piuttosto isolata rispetto alle altre, contiene la metà inferiore del corpo di una giovane donna, morta presumibilmente all'età di 20 anni e deposta prona. Il corpo giaceva obliquo rispetto al fondo in cui era stato deposto. Il terreno di riempimento della tomba conteneva, sparsi, frammenti di ulne, coste, clavicole e mandibola. Il corredo era composto da una bottiglia fittile, una brocca in ceramica, un astragalo, una moneta in bronzo e tre balsamari, uno dei quali inserito in un foro circolare praticato nel bacino della giovane.
La sepoltura n. 161, invece, conteneva il corpo completto di un giovane, inumato con la testa rivolta ad est, gli omeri disposti lungo il corpo e gli avambracci ripiegati, il sinistro sotto il petto, il destro sotto il bacino. Forse il corpo era stato avvolto in un sudario o legato. Nel bacino è stato notato un foro circolare. Tra le ossa del bacino e quelle della cassa toracica si è recuperato un chiodo. Presso il cranio vi erano ben 45 ribattini in ferro, probabilmente chiodi per calzature. Forse si voleva impedire, ponendo le calzature accanto alla testa del defunto, che questi potesse deambulare.
Il mondo antico aveva una vera e propria enciclopedia di ritualità funerarie, da eseguirsi per impedire, soprattutto, che i morti potessero disturbare l'esistenza di coloro che erano rimasti in vita. Si riteneva, addirittura, che lo stesso cattivo odore emanato dai cadaveri fosse veicolo di morte, per cui, nei casi in cui era necessario esumare un corpo per "ucciderlo" definitivamente, veniva consigliato l'utilizzo di materiali o sostanze molto profumate che neutralizzassero il cattivo odore del cadavere. Quindi anche alcune delle tombe rinvenute a Bologna potrebbero essere state riaperte per effettuare dei rituali post-mortem sugli inumati, per assicurarsi che fossero definitivamente passati a miglior vita e non potessero tornare a minacciare i viventi.
L'area più complessa della nuova stazione è costituita da 142 sepolture, delle quali 116 cremazioni e 26 inumazioni. Il periodo è il I-III secolo d.C.. Le sepolture erano poste in recinti funerari ed avevano stele con la fronte iscritta rivolta verso la strada. Una delle tombe era piuttosto isolata ed è stata datata al II secolo d.C.. L'inumato era un giovane del quale, però, non è stato possibile stabilire il sesso. Giaceva in posizione supina, con gli arti inferiori piuttosto ravvicinati, congiunti all'altezza delle ginocchia e delle caviglie, il che, probabilmente, è indizio di una qualche legatura. Gli arti superiori, poi, erano piegati sul petto e l'avambraccio destro era stato fissato al torace con dei chiodi. Altri tre chiodi erano stati conficcati nel cranio, all'altezza della cavità orbitaria destra. Probabilmente queste ed altre infissioni che il cadavere presenta nelle parti alte del corpo, sono state fatte post-mortem.
La tomba n. 109 conteneva i resti di una donna adulta, deposta supina, con il braccio destro disteso lungo il corpo e l'avambraccio sinistro posto sull'addome. Il cranio recava un grosso chiodo conficcato ed era reclinato in modo che il viso fosse rivolto in alto e la nuca arrivasse a toccare l'omero destro. La sepoltura conteneva molti chiodi in ferro e diversi oggetti di corredo: uno spillone di bronzo e frammenti di aghi e manufatti in osso, spezzati e riposti in un fascio accanto al cranio. Vicino alla tomba della donna sono state intercettate le sepolture di un neonato e di un infante.
Torture ed esecuzioni che richiedevano l'utilizzo di chiodi sono piuttosto frequenti nel mondo greco. Nell'isola di Delo sono stati ritrovati due scheletri femminili del II-I secolo a.C. accanto a diversi chiodi posti a livello degli arti inferiori e delle mani. Dallo studio delle ossa si è potuto accertare che i chiodi sono stati infitti nel corpo ancora vivo e che le defunte sopravvissero alle ferite riportate.
Ovviamente l'esempio più noto di infissione di chiodi è la crocifissione. Nè, però, la tortura nè tantomento la crocifissione possono applicarsi al ritrovamento di chiodi nelle sepolture bolognesi. La ritualità dei chiodi, che rappresentavano anche oggetti di corredo nelle necropoli dell'Emilia Romagna, era dettata da una necessità di protezione contro il ritorno dei defunti dall'aldilà.
Altre due tombe bolognesi presentano elementi rituali piuttosto particolari. La tomba n. 244, piuttosto isolata rispetto alle altre, contiene la metà inferiore del corpo di una giovane donna, morta presumibilmente all'età di 20 anni e deposta prona. Il corpo giaceva obliquo rispetto al fondo in cui era stato deposto. Il terreno di riempimento della tomba conteneva, sparsi, frammenti di ulne, coste, clavicole e mandibola. Il corredo era composto da una bottiglia fittile, una brocca in ceramica, un astragalo, una moneta in bronzo e tre balsamari, uno dei quali inserito in un foro circolare praticato nel bacino della giovane.
La sepoltura n. 161, invece, conteneva il corpo completto di un giovane, inumato con la testa rivolta ad est, gli omeri disposti lungo il corpo e gli avambracci ripiegati, il sinistro sotto il petto, il destro sotto il bacino. Forse il corpo era stato avvolto in un sudario o legato. Nel bacino è stato notato un foro circolare. Tra le ossa del bacino e quelle della cassa toracica si è recuperato un chiodo. Presso il cranio vi erano ben 45 ribattini in ferro, probabilmente chiodi per calzature. Forse si voleva impedire, ponendo le calzature accanto alla testa del defunto, che questi potesse deambulare.
Il mondo antico aveva una vera e propria enciclopedia di ritualità funerarie, da eseguirsi per impedire, soprattutto, che i morti potessero disturbare l'esistenza di coloro che erano rimasti in vita. Si riteneva, addirittura, che lo stesso cattivo odore emanato dai cadaveri fosse veicolo di morte, per cui, nei casi in cui era necessario esumare un corpo per "ucciderlo" definitivamente, veniva consigliato l'utilizzo di materiali o sostanze molto profumate che neutralizzassero il cattivo odore del cadavere. Quindi anche alcune delle tombe rinvenute a Bologna potrebbero essere state riaperte per effettuare dei rituali post-mortem sugli inumati, per assicurarsi che fossero definitivamente passati a miglior vita e non potessero tornare a minacciare i viventi.
Nessun commento:
Posta un commento