Alla fine del V secolo a.C. l'idea del lusso sfrenato, per un cittadino del mondo greco, era bere vino non annacquato in conentitori di vetro e d'oro. Presso i Romani dell'epoca di Gallieno (259-268 d.C.) il vetro era bandito perchè considerato un materiale assai vile e comune.
In età classica ma anche in età ellenistica (V-II secolo a.C.), la preziosità del vetro era direttamente proporzionale alla sua difficile realizzazione. Il vetro era colato in stampi dai quali uscivano prodotti che avevano bisogno di una tecnica piuttosto laboriosa di rifinitura. Le decorazioni erano ottenute lavorando il prodotto ancora caldo mentre ruotava lentamente sul tornio, simile a quello usato dai ceramisti. Altre tecniche si affiancavano a questa, come quella detta "a nucleo friabile", che permetteva di modellare il vetro fuso su un nucleo di argilla, eliminato al termine del lavoro. Queste tecniche erano padroneggiate da una ristretta cerchia di maestranze, il che faceva notevolmente lievitare il loro prezzo sul mercato, destinandoli ad una classe sociale piuttosto elevata.
Intorno alla metà del I secolo a.C. un anonimo vetraio siriano o plaestinese, fece una scoperta casuale ma rivoluzionaria, per la lavorazione del vetro: la soffiatura. I primi vetrai che utilizzarono questa tecnica rivoluzionaria realizzarono canne con l'argilla che, in seguito, fu sostituita dal ferro. Le canne di argilla più lunghe di un metro, infatti, correvano il rischio di spezzarsi al centro, specialmente se il globo vitreo lavorato era molto pesante.
La soffiatura (che in latino era resa come flatu figurare, "modellare con il fiato") era facile da apprendere, molto economica e, soprattutto, molto veloce. Il vetro, pertanto, cominciò ad essere talmente diffuso da provocare una caduta verticale dei prezzi. Strabone, vissuto tra il 64 a.C. ed il 24 d.C., afferma che per acquistare una coppa di vetro era sufficiente una moneta di bronzo. Il vetro era così diffuso non soltanto perchè abbastanza economico, ma anche perchè aveva altre qualità. Petronio fa dire al suo personaggio Trimalchione che il vetro "non olet", non puzza. Il vetro è insapore ed inodore. Apicio, noto per le sue raccolte di ricette, consiglia la conservazione dei cibi sotto vetro. Il vetro era, inoltre, estremamente bello e malleabile e si prestava ad assumere le forme più disparate ed innovative. Inoltre possedeva la capacità di rendere meravigliosamente i colori. L'aggiunta di ossidi o dell'antimonio rendeva perfettamente trasparente il vetro oppure era capace di donargli colorazioni blu, gialle, rosse, verdi.
Nel I secolo d.C. la tecnica si evolse a tal punto che maestranze venete finirono per creare le murrine, che grazie alle manifatture bizantine, sono giunte intatte fino ai nostri giorni.
Sin dal V secolo a.C. anche i filosofi ed i medici si resero conto delle potenzialità del vetro che, nelle adeguate concentrazioni, era in grado di catturare i raggi del sole. Aristofane, nella sua commedia "Le Nuvole", mette in scena un dialogo nel quale Strepsiade consiglia a Socrate di cancellare una multa di cinque talenti facendo sciogliere la cera delle tavolette sulle quali è iscritto il testo, mediante una lente di cristallo, facilmente acquistabile al mercato. Dal punto di vista dell'ottica, purtroppo, non abbiamo alcuna testimonianza antica, anche se l'esistenza di lenti correttive è dimostrabile grazie a ritrovamenti archeologici. Già nel palazzo del re assiro Sargon II (722-705 a.C.) fu rinvenuta una lente in cristallo di rocca, convessa, che ingrandiva e consentiva un'ottima messa a fuoco.
In età classica ma anche in età ellenistica (V-II secolo a.C.), la preziosità del vetro era direttamente proporzionale alla sua difficile realizzazione. Il vetro era colato in stampi dai quali uscivano prodotti che avevano bisogno di una tecnica piuttosto laboriosa di rifinitura. Le decorazioni erano ottenute lavorando il prodotto ancora caldo mentre ruotava lentamente sul tornio, simile a quello usato dai ceramisti. Altre tecniche si affiancavano a questa, come quella detta "a nucleo friabile", che permetteva di modellare il vetro fuso su un nucleo di argilla, eliminato al termine del lavoro. Queste tecniche erano padroneggiate da una ristretta cerchia di maestranze, il che faceva notevolmente lievitare il loro prezzo sul mercato, destinandoli ad una classe sociale piuttosto elevata.
Intorno alla metà del I secolo a.C. un anonimo vetraio siriano o plaestinese, fece una scoperta casuale ma rivoluzionaria, per la lavorazione del vetro: la soffiatura. I primi vetrai che utilizzarono questa tecnica rivoluzionaria realizzarono canne con l'argilla che, in seguito, fu sostituita dal ferro. Le canne di argilla più lunghe di un metro, infatti, correvano il rischio di spezzarsi al centro, specialmente se il globo vitreo lavorato era molto pesante.
La soffiatura (che in latino era resa come flatu figurare, "modellare con il fiato") era facile da apprendere, molto economica e, soprattutto, molto veloce. Il vetro, pertanto, cominciò ad essere talmente diffuso da provocare una caduta verticale dei prezzi. Strabone, vissuto tra il 64 a.C. ed il 24 d.C., afferma che per acquistare una coppa di vetro era sufficiente una moneta di bronzo. Il vetro era così diffuso non soltanto perchè abbastanza economico, ma anche perchè aveva altre qualità. Petronio fa dire al suo personaggio Trimalchione che il vetro "non olet", non puzza. Il vetro è insapore ed inodore. Apicio, noto per le sue raccolte di ricette, consiglia la conservazione dei cibi sotto vetro. Il vetro era, inoltre, estremamente bello e malleabile e si prestava ad assumere le forme più disparate ed innovative. Inoltre possedeva la capacità di rendere meravigliosamente i colori. L'aggiunta di ossidi o dell'antimonio rendeva perfettamente trasparente il vetro oppure era capace di donargli colorazioni blu, gialle, rosse, verdi.
Nel I secolo d.C. la tecnica si evolse a tal punto che maestranze venete finirono per creare le murrine, che grazie alle manifatture bizantine, sono giunte intatte fino ai nostri giorni.
Sin dal V secolo a.C. anche i filosofi ed i medici si resero conto delle potenzialità del vetro che, nelle adeguate concentrazioni, era in grado di catturare i raggi del sole. Aristofane, nella sua commedia "Le Nuvole", mette in scena un dialogo nel quale Strepsiade consiglia a Socrate di cancellare una multa di cinque talenti facendo sciogliere la cera delle tavolette sulle quali è iscritto il testo, mediante una lente di cristallo, facilmente acquistabile al mercato. Dal punto di vista dell'ottica, purtroppo, non abbiamo alcuna testimonianza antica, anche se l'esistenza di lenti correttive è dimostrabile grazie a ritrovamenti archeologici. Già nel palazzo del re assiro Sargon II (722-705 a.C.) fu rinvenuta una lente in cristallo di rocca, convessa, che ingrandiva e consentiva un'ottima messa a fuoco.
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