sabato 26 febbraio 2011

Gli splendori di Leptis Magna


Nel giugno del 193 d.C. il nuovo imperatore di Roma, Settimio Severo, entrò in città alla testa delle legioni che lo avevano proclamato capo supremo in Pannonia. Per i Romani fu una vera novità, perchè Settimio Severo proveniva dall'Africa. Era, infatti, originario di Leptis Magna, situata in Tripolitania, regione occidentale dell'attuale Libia.
Quando Settimio Severo divenne imperatore di Roma, Leptis Magna aveva alle spalle già un ricco capitolo di storia. Le sue origini, infatti, si fanno risalire al II millennio a.C., quando nacque come emporio dei Fenici, attratti dalla ferilità del suo suolo e dalla possibilità di commerciare in oro, avorio, spezie e schiavi. Lbq era il suo nome fenicio, più tardi latinizzato in Leptis. La città venne fondata contemporaneamente ad altri insediamenti della zona, come Sabratha e Oea (attuale Tripoli). I Fenici, più tardi, finirono per chiamare quest'ampia zona dell'Africa "regione degli empori".
Il territorio dell'antica Leptis possedeva molti dei requisiti fondamentali ricercati dai Fenici: era un luogo centrale per instaurare un proficuo scambio di merci con il continente africano ed era un luogo facilmente difendibile. I Fenici trovarono un promontorio non eccessivamente elevato nei pressi del fiume Wadi Lebda, in prossimità di una spiaggia ben riparata che permetteva il varo delle navi.
Cinque secoli più tardi Leptis entrò nella sfera d'influenza di Cartagine, pur mantenendo la sua autonomia politica ed economica. Nel VI secolo a.C. la città fu assalita da un esercito spartano, efficacemente respinto dai Cartaginesi, ai quali Leptis rimase sempre fedele, anche durante le guerre puniche. Quando Cartagine venne definitivamente rasa al suolo dai Romani, nel 146 a.C., Leptis si alleò con Roma. L'occasione fu quella delle campagne militari contro Giugurta, re di Numidia (l'attuale Algeria nord-occidentale), che aveva perpetrato un eccidio ai danni dei commercianti italici di Cirta, oggi Costantina. In quest'occasione, gli abitanti di Leptis fornirono ai Romani navi da trasporto e furono ricompensati con la concessione del titolo di città federata di Roma. In questo modo Leptis poté conservare magistrature tipicamente puniche e poté continuare ad adorare le proprie divinità protettrici, soprattutto Melqart, che corrispondeva all'Ercole dei Romani. A Leptis si continuò ad utilizzare la lingua punica al fianco del latino.
Durante la seconda metà del I secolo a.C. Leptis godette di un periodo di prosperità che le derivava dal commercio dei prodotti agricoli coltivati in vasti latifondi. Durante il conflitto tra Cesare e Pompeo si schierò con quest'ultimo e questo le costò un tributo annuale in olio di oliva e la riduzione a "città stipendiaria".
Con Ottaviano Augusto si assistette alla metamorfosi urbanistica della città che, con il tempo, diventerà una delle più importanti del Mediterraneo. Augusto riunì l'Africa in un'unica provincia e concesse a Leptis il privilegio di autogovernarsi e l'esenzione dai tributi. Leptis, quindi, dal punto di vista urbanistico fu trasformata in una vera e propria città romana. Venne tracciata una pianta a scacchiera delle vie cittadine, avente al suo centro l'incrocio tra il cardo e il decumano. Nella parte più antica, dove sorgeva ancora la città punica, si progetto quello che è attualmente chiamato il Foro Vecchio. Qui sorgeva il tempio dedicato a Melquart, che divenne un santuario dedicato a Roma e Augusto. Accanto ad esso sorsero altri due edifici religiosi dedicati alle divinità protettrici della città: Bacco-Liber Pater (lo Shadapra fenicio) ed Ercole. I tre santuari comunicavano tra loro per mezzo di un complesso di arcate poste al livello del foro. Successivamente, tra il I e il II secolo d.C., nella stessa area venne costruito un complesso di edifici amministrativi tipici delle città romane: la basilica e la curia.
Un benefattore del luogo di nome Iddibal patrocinò la costruzione di un tempio dedicato a Cibele che si andò a collocare proprio accanto all'area civile romana. Un altro cittadino di Leptis, Annibale Tapapio Rufo, nel desiderio di emulare Augusto ed essendo uno dei più ricchi cittadini di Leptis, fece costruire, nel 9 d.C. il macellum, mercato di carne e di pesce. Questo mercato fu realizzato in pietra calcarea ricoperta di marmo, era di forma rettangolare ed aveva un cortile porticato sul quale vennero eretti due padiglioni. Dieci anni dopo, sfruttando un dislivello del terreno, Annibale Tapapio Rufo fece costruire un teatro che, nella parte inferiore, era completamente scavato nella roccia e aveva un palcoscenico spettacolare, restaurato e coperto di marmi nel II secolo d.C.. Nel 35 d.C. Suphunibal, figlia di Annibale, fece edificare, nella parte superiore della gradinata, un tempio dedicato a Cerere.
Altro benefattore cittadino fu Iddibal Cafada Emilio, che eresse il Calcidico, un edificio di cui non si conosce bene la destinazione d'uso e che, probabilmente, finì per essere adibito a mercato di stoffe.
L'epoca aurea di Leptis coincise con il regno di Settimio Severo (193-211 d.C.) che la trasformò in capitale della provincia di Numidia e le concesse lo ius italicum, praticamente l'esenzione dalle imposte sulle proprietà terriere e privilegi fiscali. Proprio grazie a questi privilegi poté aver luogo un grandioso progetto edilizio, che monumentalizzò Leptis. Innanzitutto venne ampliato il porto della città. Il progetto prevedeva la costruzione di un porto a pianta pentagonale, riparato dai venti, dai temporali e dai nemici. A protezione del porto dovevano esser costruiti una diga e un faro a tre piani. Architetti e ingegneri, però, non compresero che senza la corrente del fiume, la sabbia avrebbe finito per depositarsi nel bacino portuale.
Per mettere in comunicazione il porto con la parte meridionale di Leptis venne costruita una grandiosa via colonnata, lunga 400 metri e larga 44. Essa collegava il porto alle terme e terminava in una piazza ottagonale decorata con un ninfeo. Ciascun lato di questa imponente via era dotato di 125 colonne di marmo verde con venature bianche, sulle quali poggiavano delle arcate.
Il Foro Nuovo è, però, l'elemento architettonico più rappresentativo di Leptis. Esso era anche detto Foro Severiano, da Settimio Severo, appunto, e comprendeva anche la basilica, per la quale non si badò a spese. Il Foro era, praticamente, una piazza chiusa di 100 per 60 metri, con pavimento in marmo, che richiamava i classici fori della romanità. Il tempio principale che si ergeva nel foro era ottastilo, le sue colonne erano in marmo rosso su basi bianche e decorate con una gigantomachia in rilievo che rappresentavano gli dei del pantheon romano e quelli orientali che combattevano contro giganti dal corpo serpentiforme. Il portico che correva tutt'intorno al foro si reggeva su un centinaio di colonne di marmo verde venato, poggiate su basi in marmo bianco, quest'ultimo impiegato anche per i capitelli. Gli archi sostenuti dai capitelli recavano scolpiti mostri della mitologia. Sotto le arcate della piazza sorgevano diversi edifici commemorativi.
La basilica, vicina al foro, era sicuramente l'edificio di spicco, il più lussuoso, di tutta Leptis. Fu iniziata da Settimio Severo e terminata dal figlio Caracalla nel 216 d.C.. Era lunga 92 metri e larga 40 e divisa in tre navate. Il secondo piano era sostenuto da 40 colonne in granito rosso di provenienza egiziana.
Il culmine dello splendore di Leptis si ebbe nel 203 d.C., quando la famiglia dell'Imperatore e lo stesso Settimio Severo visitarono la città. In quest'occasione fu innalzato un arco in onore dell'illustre cittadino, decorato da vittorie alate e rilievi. Le pareti interne dell'arco erano dotate di pannelli che ricordavano la vittoria sui Parti dell'imperatore.
Nel III secolo d.C. Leptis Magna attraversò un periodo di pace, anche se cominciarono a comparire i primi segni di decadenza. Ad aggravare la crisi intervenne il definitivo insabbiamento del porto che influì negativamente sulle capacità commerciali della città. Leptis finì per cadere nelle mani di un'oligarchia che mirava più ad arricchirsi che a curare e garantire il bene comune.
Intorno al 300 d.C. la riforma territoriale voluta da Diocleziano divise l'impero in province, prefetture e diocesi e Leptis, con l'area confinante, venne inserita nella provincia di Tripolitania. Il IV secolo d.C. fu inaugurato in modo funesto da due forti scosse di terremoto che causarono alla città gravi danni. Malgrado ciò, Leptis parve riprendersi sotto Costantino: furono nuovamente innalzate le mura cittadine che il terremoto aveva sbriciolate. Nel 365 d.C., però, un nuovo terremoto distrusse numerosi monumenti che non vennero più ricostruiti per mancanza di fondi. Intervennero, poi, diverse sommosse a carattere religioso, quando la Tripolitania venne coinvolta nella lotta contro l'eresia donatista, nata tra coloro che rifiutavano di riconoscere quei vescovi che non avevano resistito alle persecuzioni di Diocleziano e avevano consegnato ai magistrati i libri sacri.
Intorno al 430 d.C. i Vandali diedero a Leptis il colpo di grazia, saccheggiando una città oramai ridotta in miseria. Nel V secolo, poi, si verificarono delle rovinose inondazioni dovute al cattivo drenaggio del Wadi Lebda e tempeste di sabbia seppellirono interi isolati e monumenti. Quando i Bizantini occuparono Leptis lo fecero solo a scopo militare. Costruirono delle mura difensive per il porto, mentre il resto della città rimase in uno stato di completo abbandono, tranne una piccola basilica situata in un angolo del Foro Severiano e il tempio di Roma e Augusto che era stato trasformato in chiesa.
Nel 634 le truppe arabe si impadronirono di quel che rimaneva di una splendida città. Sopravvisse solo un piccolo villaggio, sorto nel luogo in cui i Fenici si erano stabiliti ben 1700 anni prima. Un'invasione di nomadi, però, spazzò via il villaggio, che scomparve nell'XI secolo. Le sabbie del deserto finirono per ricoprire Leptis fino a cancellarne ogni traccia.
Nel 1686 e nel 1708 Claude Lemaire, console di Francia a Tripoli, con il consenso delle autorità ottomane, spoliò di colonne e marmi quel che restava visibile di Leptis ed inviò tutto in Francia, dove il prezioso materiale venne utilizzato per edificare la reggia di Versailles. Altri marmi, in seguito, finirono a Londra e nel castello dei Windsor.
Il primo intervento scientifico in loco fu quello dell'epigrafista italiano Federico Halbherr, nel 1910, condotto con lo storico Gaetano De Sanctis. Quando l'Italia occupò la Libia, nel 1911, ebbe inizio lo scavo sistematico della città. Il soprintendente per l'archeologia della Tripolitania, Salvatore Aurigemma, raccolse moltissimo materiale. Il primo, però, a scavare sistematicamente l'antica Leptis fu Pietro Romanelli che, tra il 1919 e il 1928, scoprì le terme e la basilica di Severo.

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