Stanza della Rocca Malatestiana con cisterna di raccolta per l'acqua |
Le indagini archeologiche svoltesi tra il 2006 e il 2008 hanno permesso di recuperare numerosi dati e oggetti relativi alla vita nel castello di Montefiore Conca, nell'entroterra di Rimini. Gli scavi hanno interessato principalmente le antiche strutture della Rocca Malatestiana ed i nuovi ritrovamenti saranno oggetto di una mostra che aprirà i battenti l'11 giugno 2011 e che si intitolerà "Sotto le tavole dei Malatesta. Testimonianze archeologiche dalla Rocca di Montefiore Conca". La mostra sarà allestita proprio nella Rocca Malatestiana e resterà visitabile fino al 24 giugno 2012, offrendo una ricostruzione della vita quotidiana nella rocca durante i tre secoli in cui questa fu occupata dai Malatesta prima e dai Montefeltro poi (tra il '300 e il '500, quindi).
L'allestimento, curato dall'Arch. Franco Roberti, si svilupperà su due piani. Al primo saranno ospitati i reperti in vetro, metallo, le monete e gli stucchi che decoravano i saloni e le stanze della Rocca. Al secondo piano si potranno ammirare le ceramiche che servivano nei pasti quotidiani, ritrovate anch'esse durante gli scavi.
Le prime notizie su Castrum Montis Floris risalgono al 1170. All'epoca papa Alessandro III lo concesse in enfiteusi alla chiesa di Rimini. Con il termine castrum/castellum le fonti, è bene ricordarlo, indicano innumerevoli tipologie costruttive e amministrative. Gli scavi archeologici hanno restituito strutture del XIII secolo al di sotto del muro del mastio che, purtroppo, oggi non è più conservato.
La Rocca attuale fu costruita da Guastafamiglia Malatesta (1299-1364) e ampliata dai figli Pandolfo II (1325-1378) e Ongaro (1327-1372) che commissionarono anche il ciclo di affreschi che decorano la sala dell'Imperatore, eseguiti da Jacopo Avanzi da Bologna. Nel XV secolo la Rocca venne ristrutturata da Sigismondo Pandolfo (1417-1468), nipote di Pandolfo II.
La sala dell'Imperatore fu decorata per mandato di Ungaro Malatesta, così chiamato in virtù di una decorazione ricevuta dal re d'Ungheria nel 1348. Degli affreschi che, un tempo, la decoravano completamente rimangono ampi brani pittorici sui lati brevi. Vi si riconosce facilmente la maestosa figura di un uomo armato, con uno scettro nella mano destra e la spada nella sinistra. Sulla sua identità gli storici hanno fatto svariate ipotesi: Tarcone, figlio di Laomedonte re di Troia, cugino di Ettore e di Enea e, sulla base di una leggenda piuttosto diffusa nel Trecento, presunto capostipite dei Malatesta; oppure Ettore, o Enea o Scipione l'Africano.
Negli scavi del castello gli archeologi hanno riportato alla luce cucine, magazzini, stalle che vennero utilizzati tra il XIV e il XVI secolo. A questa fase appartiene, anche, la costruzione di una grande cisterna, collegata al recupero dell'acqua piovana attraverso un impianto costituito da grondaie di scolo che, dal tetto e attraverso i muri perimetrali, scendevano fino nelle cucine. Qui l'acqua veniva filtrata e quindi raccolta nel pozzo centrale. Quando la cisterna venne abbandonata, ne fu costruita una seconda più grande durante l'occupazione veneziana (1504-1505), ancora in uso all'interno della Rocca.
Sempre al 1300 si ascrivono dei "butti" collocati nelle cucine, vicino alla cisterna e nei magazzini. Sono strutture interrate formate da una camera completamente chiusa, priva di accesso, dotata di piccole caditoie o di condotti a botola per scaricarvi i rifiuti. Questi "butti" sono importantissimi per quello che vi era buttato e che è stato recuperato dagli archeologi: resti di pasti, ceramiche, attrezzi da lavoro rotti o non più utilizzati, pesi da bilancia, falcetti, forbici ed anche vetri di bottiglia e bicchieri. Una volta riempito, il "butto" veniva chiuso con una botola e saldato, in modo che non si propagassero spiacevoli effluvi.
Alcuni bicchieri e calici ritrovati nei "butti" provengono dalle vetrerie di Murano. Numerose sono, anche, le bottiglie recuperate, in parte anch'esse importate da Venezia, che si distinguono per la raffinatezza della lavorazione del vetro. Sono stati anche rinvenuti oggetti tipici della toletta femminile, quali bottigliette e fiale per profumi e olii da corpo, unguentari per medicinali. Non si sono ritrovate lastre da finestra, in compenso si potranno ammirare i colori esibiti nella produzione degli oggetti vitrei: giallo, incolore, verde e azzurro, il rarissimo viola scuro e il costoso blu cobalto.
Tra gli oggetti in metallo spiccano alcune monete coniate nelle zecche di Bologna, Lucca, Torino e Firenze, ma anche oggetti per il cucito, come spilli in bronzo e ditali. Saranno esposti anche pettini in osso, monili in bronzo e fibbie per cinture e calzature.
Il secondo piano della mostra ospiterà le ceramiche di uso comune e quelle per la mensa. E' stata ricostruita una tavola del 1300 con maioliche arcaiche, boccali in zaffera e ceramiche graffite padane prodotte a Ravenna, Forlì, Cesena, Rimini e Pesaro. Alcune di queste ceramiche recano gli stemmi delle famiglie che si sono alternate nel possesso del castello, fra questi un boccale in maiolica arcaica con lo stemma dei Malatesta. La ceramica da mensa comprende olle, pentole, tegami in ceramica invetriata e una leccarda perfettamente conservata, che veniva utilizzata in cucina come tegame di raccolta dei grassi che colavano dagli spiedi. Ma sarà possibile anche vedere bicchieri e boccali, piatti e scodelle, alcuni dei quali con il trigramma di S. Bernardino da Siena (IHS) che, con il tempo, aveva paerso il suo significato effettivo e veniva utilizzato come decorazione nei servizi da tavola del '400. Una coppetta esposta mostra il ritratto di un profilo femminile con la fronte rasata secondo la moda dell'epoca: era un omaggio alla fanciulla amata.
(Fonte: archeobologna.beniculturali.it)
L'allestimento, curato dall'Arch. Franco Roberti, si svilupperà su due piani. Al primo saranno ospitati i reperti in vetro, metallo, le monete e gli stucchi che decoravano i saloni e le stanze della Rocca. Al secondo piano si potranno ammirare le ceramiche che servivano nei pasti quotidiani, ritrovate anch'esse durante gli scavi.
Le prime notizie su Castrum Montis Floris risalgono al 1170. All'epoca papa Alessandro III lo concesse in enfiteusi alla chiesa di Rimini. Con il termine castrum/castellum le fonti, è bene ricordarlo, indicano innumerevoli tipologie costruttive e amministrative. Gli scavi archeologici hanno restituito strutture del XIII secolo al di sotto del muro del mastio che, purtroppo, oggi non è più conservato.
La Rocca attuale fu costruita da Guastafamiglia Malatesta (1299-1364) e ampliata dai figli Pandolfo II (1325-1378) e Ongaro (1327-1372) che commissionarono anche il ciclo di affreschi che decorano la sala dell'Imperatore, eseguiti da Jacopo Avanzi da Bologna. Nel XV secolo la Rocca venne ristrutturata da Sigismondo Pandolfo (1417-1468), nipote di Pandolfo II.
La sala dell'Imperatore fu decorata per mandato di Ungaro Malatesta, così chiamato in virtù di una decorazione ricevuta dal re d'Ungheria nel 1348. Degli affreschi che, un tempo, la decoravano completamente rimangono ampi brani pittorici sui lati brevi. Vi si riconosce facilmente la maestosa figura di un uomo armato, con uno scettro nella mano destra e la spada nella sinistra. Sulla sua identità gli storici hanno fatto svariate ipotesi: Tarcone, figlio di Laomedonte re di Troia, cugino di Ettore e di Enea e, sulla base di una leggenda piuttosto diffusa nel Trecento, presunto capostipite dei Malatesta; oppure Ettore, o Enea o Scipione l'Africano.
Negli scavi del castello gli archeologi hanno riportato alla luce cucine, magazzini, stalle che vennero utilizzati tra il XIV e il XVI secolo. A questa fase appartiene, anche, la costruzione di una grande cisterna, collegata al recupero dell'acqua piovana attraverso un impianto costituito da grondaie di scolo che, dal tetto e attraverso i muri perimetrali, scendevano fino nelle cucine. Qui l'acqua veniva filtrata e quindi raccolta nel pozzo centrale. Quando la cisterna venne abbandonata, ne fu costruita una seconda più grande durante l'occupazione veneziana (1504-1505), ancora in uso all'interno della Rocca.
Sempre al 1300 si ascrivono dei "butti" collocati nelle cucine, vicino alla cisterna e nei magazzini. Sono strutture interrate formate da una camera completamente chiusa, priva di accesso, dotata di piccole caditoie o di condotti a botola per scaricarvi i rifiuti. Questi "butti" sono importantissimi per quello che vi era buttato e che è stato recuperato dagli archeologi: resti di pasti, ceramiche, attrezzi da lavoro rotti o non più utilizzati, pesi da bilancia, falcetti, forbici ed anche vetri di bottiglia e bicchieri. Una volta riempito, il "butto" veniva chiuso con una botola e saldato, in modo che non si propagassero spiacevoli effluvi.
Alcuni bicchieri e calici ritrovati nei "butti" provengono dalle vetrerie di Murano. Numerose sono, anche, le bottiglie recuperate, in parte anch'esse importate da Venezia, che si distinguono per la raffinatezza della lavorazione del vetro. Sono stati anche rinvenuti oggetti tipici della toletta femminile, quali bottigliette e fiale per profumi e olii da corpo, unguentari per medicinali. Non si sono ritrovate lastre da finestra, in compenso si potranno ammirare i colori esibiti nella produzione degli oggetti vitrei: giallo, incolore, verde e azzurro, il rarissimo viola scuro e il costoso blu cobalto.
Tra gli oggetti in metallo spiccano alcune monete coniate nelle zecche di Bologna, Lucca, Torino e Firenze, ma anche oggetti per il cucito, come spilli in bronzo e ditali. Saranno esposti anche pettini in osso, monili in bronzo e fibbie per cinture e calzature.
Il secondo piano della mostra ospiterà le ceramiche di uso comune e quelle per la mensa. E' stata ricostruita una tavola del 1300 con maioliche arcaiche, boccali in zaffera e ceramiche graffite padane prodotte a Ravenna, Forlì, Cesena, Rimini e Pesaro. Alcune di queste ceramiche recano gli stemmi delle famiglie che si sono alternate nel possesso del castello, fra questi un boccale in maiolica arcaica con lo stemma dei Malatesta. La ceramica da mensa comprende olle, pentole, tegami in ceramica invetriata e una leccarda perfettamente conservata, che veniva utilizzata in cucina come tegame di raccolta dei grassi che colavano dagli spiedi. Ma sarà possibile anche vedere bicchieri e boccali, piatti e scodelle, alcuni dei quali con il trigramma di S. Bernardino da Siena (IHS) che, con il tempo, aveva paerso il suo significato effettivo e veniva utilizzato come decorazione nei servizi da tavola del '400. Una coppetta esposta mostra il ritratto di un profilo femminile con la fronte rasata secondo la moda dell'epoca: era un omaggio alla fanciulla amata.
(Fonte: archeobologna.beniculturali.it)
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