I filosofi o apostoli dell'Ipogeo degli Aureli |
Nel 1919 a Roma, nel corso di alcuni scavi per la costruzione di una grande autorimessa poco lontano da Porta Maggiore, alcuni operai riportarono alla luce un Ipogeo del III secolo d.C. che venne battezzato "degli Aureli", dal nome della famiglia che lo aveva commissionato.
La Soprintendenza, al tempo, eseguì scavi sistematici e da quel momento tutti gli studiosi di storia delle religioni si cimentarono nella scoperta delle ragioni e della committenza del famoso ipogeo. Alcuni pensarono ad una committenza pagana, altri ad una committenza, viceversa, cristiana o gnostica.
L'Ipogeo aveva due piani: il piano superiore, composto da una sala originariamente semi-ipogea, della quale resta solo la parte inferiore; cinque metri sotto, il piano inferiore, composto da due ambienti speculari completamente ipogei, affrescati da pitture risalenti al 230 d.C.. Le decorazioni presenti nelle tre stanze sepolcrali non sembrano riferirsi ad una sola corrente iconografica ma sembrano ispirarsi all'ecletticità e alla commistione stilistica tipica del periodo dei Severi, tra il II e il III secolo d.C., fino a giungere al periodo di Gallieno. L'Ipogeo degli Aureli riassume il sincretismo religioso che si respirava a Roma in quel periodo e la complessità dei culti e delle relazioni tra questi ultimi, soprattutto riflette lo status sociale piuttosto elevato di chi aveva fatto costruire per sé quest'ultima dimora. Sicuramente dei liberti imperiali, comunque una famiglia di classe sociale piuttosto elevata, in cui il denaro certo non mancava.
Due sembrano essere i temi portanti degli affreschi: da una parte la filosofia, con decine di intellettuali disposti in teorie e muniti di virgae e rotoli della sapienza (interpretati, da alcuni, come gli apostoli); dall'altra la campagna con pastori criofori e una figura di pastore intellettuale, congiunzione dei due temi principali degli affreschi. Nell'iscrizione musiva dedicata da un Aurelius Felicissimus, si ricorda la sepoltura di tre fratelli: Aurelius Onesimus, Aurelius Papirius e Aurelia Prima, rappresentati in un lungo ciclo affrescato nelle vesti di saggio pastore, di cavaliere che entra in una città favolosa, di retore, di commensale.
Recentemente il restauro, portato avanti dalla Pontificia Commissione di Archeologia Sacra con la tecnica piuttosto innovativa del laser, ha permesso di meglio leggere questa storia. Nella parte superiore di un affresco, dove i primi scopritori avevano individuato il palazzo e le greggi di Laerte, è stata scoperta Aurelia Prima che, in segno di lutto, si scioglie i capelli per piangere i fratelli defunti, sistemati sul letto funerario all'interno di un recinto. Nel settore inferiore, appare Ulisse mentre ottiene che la maga Circe ritorni a dare forma umana ai suoi compagni trasformati in porci. Altre due scene presentano Prometeo che crea l'uomo ed Eracle nel giardino delle Esperidi, interpretate - a seconda della "scuola di pensiero" - anche come la creazione di Adamo e la cacciata dall'Eden.
In uno degli ambienti, ad una parete, è visibile un'epigrafe marmorea in cui Aurelius Martinus e la moglie Iulia Lydia ricordano la figlia defunta, Aurelia Myrsina.
La Soprintendenza, al tempo, eseguì scavi sistematici e da quel momento tutti gli studiosi di storia delle religioni si cimentarono nella scoperta delle ragioni e della committenza del famoso ipogeo. Alcuni pensarono ad una committenza pagana, altri ad una committenza, viceversa, cristiana o gnostica.
L'Ipogeo aveva due piani: il piano superiore, composto da una sala originariamente semi-ipogea, della quale resta solo la parte inferiore; cinque metri sotto, il piano inferiore, composto da due ambienti speculari completamente ipogei, affrescati da pitture risalenti al 230 d.C.. Le decorazioni presenti nelle tre stanze sepolcrali non sembrano riferirsi ad una sola corrente iconografica ma sembrano ispirarsi all'ecletticità e alla commistione stilistica tipica del periodo dei Severi, tra il II e il III secolo d.C., fino a giungere al periodo di Gallieno. L'Ipogeo degli Aureli riassume il sincretismo religioso che si respirava a Roma in quel periodo e la complessità dei culti e delle relazioni tra questi ultimi, soprattutto riflette lo status sociale piuttosto elevato di chi aveva fatto costruire per sé quest'ultima dimora. Sicuramente dei liberti imperiali, comunque una famiglia di classe sociale piuttosto elevata, in cui il denaro certo non mancava.
Due sembrano essere i temi portanti degli affreschi: da una parte la filosofia, con decine di intellettuali disposti in teorie e muniti di virgae e rotoli della sapienza (interpretati, da alcuni, come gli apostoli); dall'altra la campagna con pastori criofori e una figura di pastore intellettuale, congiunzione dei due temi principali degli affreschi. Nell'iscrizione musiva dedicata da un Aurelius Felicissimus, si ricorda la sepoltura di tre fratelli: Aurelius Onesimus, Aurelius Papirius e Aurelia Prima, rappresentati in un lungo ciclo affrescato nelle vesti di saggio pastore, di cavaliere che entra in una città favolosa, di retore, di commensale.
Recentemente il restauro, portato avanti dalla Pontificia Commissione di Archeologia Sacra con la tecnica piuttosto innovativa del laser, ha permesso di meglio leggere questa storia. Nella parte superiore di un affresco, dove i primi scopritori avevano individuato il palazzo e le greggi di Laerte, è stata scoperta Aurelia Prima che, in segno di lutto, si scioglie i capelli per piangere i fratelli defunti, sistemati sul letto funerario all'interno di un recinto. Nel settore inferiore, appare Ulisse mentre ottiene che la maga Circe ritorni a dare forma umana ai suoi compagni trasformati in porci. Altre due scene presentano Prometeo che crea l'uomo ed Eracle nel giardino delle Esperidi, interpretate - a seconda della "scuola di pensiero" - anche come la creazione di Adamo e la cacciata dall'Eden.
In uno degli ambienti, ad una parete, è visibile un'epigrafe marmorea in cui Aurelius Martinus e la moglie Iulia Lydia ricordano la figlia defunta, Aurelia Myrsina.
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