domenica 31 luglio 2011

Frammenti di antico splendore: la Domus Aurea

La cosiddetta sala ottagonale nella Domus Aurea
La Domus Aurea è l'espressione tangibile del potere raggiunto dalla Roma imperiale. Un'imponente costruzione edilizia, il vero e proprio palazzo imperiale dell'Urbe. Così era stato concepito.
Ottaviano Augusto aveva abitato in una semplice dimora sul Palatino, accanto alla casa di Livia e la prima casa di rappresentanza degna di questo nome fu la domus Tiberiana, in cui abitavano i Giulio Claudi. Fu sotto Nerone, però, che il concetto di dimora imperiale andò sviluppandosi in immagini e realizzazioni grandiose.
Dopo l'ennesimo incendio che funestò Roma nel 64 d.C., Nerone diede disposizioni affinchè fosse edificato un nuovo, grandioso, palazzo, una vera e propria residenza imperiale nel cuore di Roma. Tacito sostiene che il progetto sia stato affidato agli architetti Celere e Severo, che trassero ispirazione dalle grandi ville marittime sul golfo di Napoli e gettarono le fondamenta della nuova casa imperiale tra la Velia e il Palatino, su una parte del Colle Oppio, degli horti dell'Esquilino e del Celio, dove era un tempio dedicato a Claudio trasformanto in un ninfeo.
Nella parte più bassa della valle, al suo centro, era stato scavato un lago artificiale circondato da boschi e giardini. Oggi non si riesce nemmeno ad intuire cosa relamente fosse questo grandioso e monumentale progetto. Del resto già a 34 anni dalla sua costruzione rimaneva ben poco del sogno imperiale, devastato parzialmente da un altro incendio. Poi, nel 104 d.C., l'imperatore Traiano si fece costruire le sue terme proprio sul padiglione del Colle Oppio, sfruttando le strutture neroniane. Questo contribuì a preservare il grande padiglione, il solo testimone della grandiosità della Domus Aurea che sia pervenuto sino ad oggi.
Il padiglione era composto da circa 150 stanze che si affacciavano sui giardini, prive di porte, di riscaldamenti e di servizi. Probabilmente si trattava di stanze con funzione di rappresentanza. Le terme di Traiano, impiantatesi sui resti del padiglione, hanno interferito con la costruzione originaria con muri e divisioni, alterandone le proporzioni, togliendogli la luce e facendo inevitabilmente scomparire gli affreschi che dovevano ornare le pareti, originariamente rivestite in marmo e stucchi.
Nelle stanze della Domus Aurea sono stati ritrovati veri e propri capolavori quali il Galata suicida, il Galata morente e il Lacoonte, che fanno pensare ad una ricchissima decorazione scultorea che doveva comprendere i capolavori più alti della statuaria antica.
Tacito racconta: "Non tanto erano da ammirare gemme e ori, quanto terreni coltivati e laghi, di qua parchi come selvagge foreste, di là liberi spazi e prospettive: opera dei fantasiosi architetti Severo e Celere, la cui geniale arditezza si sbizzarriva nel creare con l'arte ciò che natura non offriva" (Annali, XV, 42).
La planimetria del padiglione suggerisce la presenza di due grandi ali: quella orientale che si incentra sulla sala ottagonale, nucleo di un corpo di fabbrica rettangolare racchiuso tra due cortili pentagonali; quella occidentale, i cui ambienti circondavano un grande cortile a peristilio (nascosto dalle sostruzioni traianee). Nella zona posteriore vi erano due criptoportici che fungevano da disimpegno e come passaggio veloce tra le due ali della struttura.
Nel cosiddetto Corridoio delle Aquile si può ammirare la raffinata decorazione della volta, solo parzialmente conservata: aquile ad ali spiegate su clipei con cariatidi, pavoni, grifoni, candelabre. Nel riquadro centrale era raffigurato l'abbandono di Arianna addormentata da parte di Teseo.
Il Ninfeo di Ulisse e Polifemo è raggiungibile dal Corridoio delle Aquile. Qui vi erano giochi d'acqua e cascatelle. Il ninfeo era illuminato dalle tre finestre sui lati. I colori delle pareti, le vasche di marmo, le rifrangenze dell'acqua e il mosaico delle volte in tessere di pasta vitrea rendevano l'ambiente luminoso come una grotta marina o un acquario. Le pareti erano rivestite da un mosaico e la volta del ninfeo ospitava la raffigurazione di Ulisse nell'atto di porgere a Polifemo una coppa di vino.
La decorazione delle diverse sale richiamava molti degli episodi cantati da Omero: il riconoscimento di Achille a Sciro, l'addio di Ettore ad Andromaca.
In un secondo tempo il ninfeo venne trasformato: i colonnati della sala antistante vennero sostituiti con un muro a tre porte e le finestre vennero chiuse e trasformate in nicchie. Qui, probabilmente, vennero poste delle statue.
Nell'ala orientale una prima stanza si affaccia su un piccolo cortile su cui si aprivano le finestre del ninfeo. Una seconda stanza è decorata con architetture a più piani e finte finestre dalle quali si affacciavano alcuni personaggi. Ogni sala è decorata diversamente: talvolta con il rosso porpora, colore molto apprezzato nell'antichità e piuttosto costoso poichè ottenuto da una murice che ne produceva in scarsa quantità.
Un corridoio che si diparte nella zona orientale ospita alcune stanze sulla sinistra, mentre sulla destra si apriva all'esterno. Qui è visibile solo il terrapieno di riempimento di età traianea. La più grande delle stanze qui presente è chiamata della "volta dorata" e si trova al centro di un cortile.
In un riquadro centrale era affrescato il rapimento di Ganimede da parte di Zeus, oggi, purtroppo, perduto. Vi erano, poi, soggetti tratti dai miti più conosciuti. Forse autore di queste scene fu un certo Fabullus, pittore di corte di Nerone ricordato da Plinio. La volta della stanza era coperta di dorature e le pareti erano decorate con marmi pregiati, che Traiano fece recuperare da pavimenti e muri prima di dar l'ordine di interrare e chiudere il padiglione di Nerone.
L'ambiente sicuramente più impressionante e che meglio rimanda i bagliori del passato è il lungo e spettacolare corridoio che collega tutto il settore orientale al padiglione. Corridoio illuminato da finestre a bocche di lupo e finestre strombate sulle pareti ricoperte da affreschi fino a terra. In antico gli ambienti maggiori erano rivestiti di marmo fino alle volte, mentre quelli meno importanti recavano il mrmo fino ad una certa altezza o ne erano completamente privi.
Certamente la stanza più famosa del complesso del padiglione è la cosiddetta sala ottagonale, per la sua forma. Essa è circondata da cinque stanze a raggiera, delle quali la centrale è un grande ninfeo con cascata d'acqua sul fondo, acqua che proveniva dal colle del Celio e arrivava attraverso un archetto del criptoportico. La sala ottagonale si apriva sul panorama del lago artificiale e della vallata. La sua volta è in calcestruzzo e si inserisce sull'ottagono, conservando l'emisfericità nella parte superiore. Si tratta di uno dei primissimi esempi di volta gettata che diventerà, nel tempo, la caratteristica più innovativa e audace della tecnica costruttiva romana (come nelle coperture delle stanze di Villa Adriana o nella cupola del Pantheon). Sia le pareti della stanza centrale che quelle delle stanze laterali erano rivestite di marmi. Le volte erano coperte di stucchi e mosaici e tuttora sono visibili i segni delle tavole di legno utilizzate per creare la gettata di calcestruzzo. Gli studiosi pensano che si sia trattato di un rivestimento temporaneo in legno o altro materiale facile da asportare, per questo, forse, si è portati a credere che la stanza non sia stata mai ultimata.

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