lunedì 7 novembre 2011

Gli dèi secondo i Romani...

Gli dèi, Giulio Romano
La religione romana, coime quella degli antichi popoli italici, era molto diversa dalla religione greca. Per i Greci gli dèi avevano solo grandi poteri, per il resto erano in tutto e per tutto simili agli uomini: mangiavano, bevevano, dormivano, provavano invidia, gelosia e collera. La religione romana, invece, era più legata all'animismo caratteristico delle religioni italiche, legato ai fenomeni della natura che, interpretati, rivelavano la volontà delle divinità.
I Romani erano convinti che l'universo e i suoi componenti erano vivi come loro. L'acqua della sorgente, il fiume, le onde del mare erano vivi dal momento che si muovevano. Non solo: potevano compiere atti volontari. Come loro anche i fulmini, il vento, gli alberi, i sassi, l'erba. Per questo erano degni di culto i monti, le bale rocciose, le grotte, i ruscelli, gli animali, specie se liberi.
Il termine numen, "nume", significava una forza libera che compie un movimento (il termine deriva dal verbo nuere, "fare un cenno con il capo"), che agisce con volontà. Gli atti di culto erano destinati a propiziare e costringere la divinità. Religio, infatti, ha la stessa radice di relegare, che vuol dire vincolare. L'uomo esponeva con chiarezza i suoi desideri e diceva quale sarebbe stata la "ricompensa" per la divinità. Praticamente si trattava di una sorta di contratto.
In età imperiale, quando si violava un elemento naturale, si risarciva la divinità del male che le si voleva fare, affinchè accettasse l'atto.

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