domenica 15 maggio 2022

Como, il tesoro ritrovato

Como, il tesoro di monete (Foto: romanoimpero.com)
Nel settembre 2018 aveva fatto notizia lo straordinario rinvenimento, nel corso di indagini archeologiche condotte dalla Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le provincie di Como, Lecco, Monza e Brianza, Pavia, Sondrio e Varese, di un tesoro composto da mille solidi del V secolo d.C. e da alcuni altri manufatti aurei.
Grazie alla collaborazione fra la Soprintendenza e diversi enti di ricerca è stato possibile effettuare analisi scientifiche che hanno offerto importanti tasselli per l'interpretazione del tesoro e per accrescere le nostre conoscenze sulla monetazione sulla storia del V secolo d.C.
Le monete appartengono alle emissioni degli imperatori Arcadio, Onorio, Teodosio II, Valentiniano III, Marciano, Petronio Massimo, Avito, Leone I, Maioriano, Libio Severo, Antemio e Anicio Olibrio. Sono presenti solidi anche a nome delle Auguste Aelia Pulcheria, Galla Placidia, Giusta Grata Onoria e Licinia Eudossia.
Sono presenti per lo più emissioni di zecche occidentali con prevalenza di quella di Milano, dalla quale provengono 639 solidi. Questo indica che il tesoro fu costituito in Italia settentrionale, nell'area direttamente dipendente da Milano per l'approvvigionamento monetale.
Il V secolo d.C. fu un periodo di grande incertezza politica, a causa del rapido susseguirsi di diversi imperatori e per le tensioni fra loro e i comandanti barbari dell'esercito. Il periodo di crisi culminò nell'anno 470 d.C. con la rottura tra l'imperatore Antemio e il magister militum Ricimero. Particolarmente rilevante risulta l'assedio di Roma da parte dello stesso Ricimero e da una coalizione di barbari nell'anno 472 d.C.
All'epoca Como era sede del praefectus classis Comensis. Da questo ufficiale dipendevano i marinai e i soldati della flotta imperiale, schierata a difesa del bacino lacustre e delle sue vie di transito lungo il Lario. Chi ha occultato il tesoro a Como era probabilmente legato a Ricimero e poteva temere per i beni di cui disponeva dopo la morte del magister militum e di Anicio Olibrio.
L'esame dei segni presenti sulle monete ha consentito di avanzare una proposta di ricostruzione della catena operativa di produzione, dall'affinamento del metallo, alla realizzazione dei tondelli e alla coniazione e di indicare quali dovevano essere le caratteristiche e le dotazioni degli spazi in cui avvenivano le diverse operazioni.
Se, infatti, per la verifica della temperatura dell'oro fuso erano necessari ambienti bui dotati di piccoli forni, per la coniazione era opportuno che le stanze avessero buona illuminazione e disponessero di postazioni di lavoro con incudini e martelli.
La presenza di frammenti di ferro in alcune monete è indizio del recupero dell'oro proveniente dalla limatura dei bordi per aggiustare il peso. Durante questa operazione i frammenti delle lime potevano non essere riconosciuti e finivano mischiati all'oro da rifondere.
La presenza nel tesoro di consistenti gruppi di monete che non presentano tracce d'uso e che sono stati prodotti con la stessa coppia di conii suggerisce che il tesoro contenga porzioni di pagamenti effettuati direttamente dalle casse imperiali a un ricco privato o ad un ufficio pubblico. Si tratterebbe, quindi, di una riserva costituitasi in almeno 15-20 anni e nascosta tra la fine del 472 ed i primi mesi del 473 d.C., ovvero tra la morte di Anicio Olibrio e la nomina ad imperatore di Glicerio nel marzo del 473 d.C.
Fra i gioielli nascosti con le monete, tre anelli portano segni d'uso mentre gli orecchini appaiono non finiti e devono provenire da un atelier orafo, come pure altri manufatti in oro, tra cui un frammento di lingotto che le analisi hanno rivelato essere composto da una lega di oro e argento analoga a quella utilizzata per i monili. La presenza di questi oggetti dipende dalla volontà di preservare tutto il metallo prezioso che era stato possibile raccogliere.
Il tesoro è stato ritrovato nel corso di alcuni scavi in vista della costruzione di palazzine. Gli scavi, realizzati con l'aiuto di pompe idrovore per risolvere il problema dell'acqua di falda, hanno portato alla luce un edificio di funzione ignota e di epoca tardoantica, fabbricato con pezzi di reimpiego, tra cui alcune epigrafi di epoca imperiale. In uno dei vani dell'edificio, poggiato sopra uno strato di cocciopesto (che i romani utilizzavano per impermeabilizzare pavimenti o pareti), nel livello più antico individuato nello scavo, era poggiato un boccale con coperchio in pietra ollare grigia proveniente dalle Alpi centrali, con una strana forma: un'ansa quadrangolare ed una larghezza più accentuata alla base e più stretta verso il collo.
Il più antico degli edifici identificati nel corso dello scavo era strutturato attorno ad uno spazio lastricato. Entrambi gli edifici erano posti all'angolo di un'insula, fra il cardo e il decumano.

Fonti:
stilearte.it
romanoimpero.com
archeologiacomo.com

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