La Venere di Morgantina è uno dei migliori esempi della statuaria greca classica, soprattutto per la qualità della fattura e lo stato di conservazione. La statua, di notevole altezza (2,40 metri), è stata eseguita con due materiali differenti: il marmo di Paro per la testa, le braccia e i piedi, e il calcare della zona di Ragusa per il resto del corpo. L'abito indossato dalla dea è un sottile chitone (veste di lana, lino o altro tessuto, indifferentemente indossato da uomini e donne. Era un ampio rettangolo di stoffa, lungo fino ai piedi o corto alle ginocchia, che avvolgeva il corpo, al quale era stretto con una cintura) ed un ampio himation (ampio mantello in lana o lino da avvolgersi attorno al corpo con fitte plissettature. Si indossava sopra il chitone o il peplo), che copriva, originariamente, anche le spalle e parte della testa. In origine la statua doveva essere dotata di una vivace policromia.
La datazione della Venere è stata proposta al 410 a.C. ed è stata identificata con la dea dell'amore ma anche con Demetra, Persefone ed Hera. Il corpo sensuale, l'abito e la posa fanno pensare a Venere, purtroppo non si è in possesso di attributi che consentano l'identificazione definitiva. Il problema dell'identificazione della grande statua fu posto dall'archeologo e storico dell'arte Antonio Giuliano, che riconobbe la statua all'epoca esposta al Getty Museum come Demetra, la divinità in assoluto più venerata nella Sicilia dell'epoca, soprattutto nel territorio di Enna. Il dibattito in merito, però, è ancora aperto. Se di Demetra si tratta, essa è rappresentata nel momento in cui si mette alla ricerca di Persefone, rapita da Ade.
Ma oltre all'Afrodite, sono rientrati a Morgantina anche diversi altri antichi tesori razziati da predatori e trafficanti senza scrupolo. Tra questi gli acroliti detti di Morgantina, pertinenti una coppia di statue realizzate introno al 530-520 a.C., in marmo pario, con tre mani ed altrettanti piedi, che gli studiosi hanno riconosciuto come le più antiche testimonianze di questa tecnica nel mondo greco.
Gli acroliti erano parte di rappresentazioni, a grandezza naturale, delle principali divinità di Morgantina, Demetra e Persefone, trafugati alla fine degli anni '70 dalla più monumentale tra le aree di culto dell'antica città, il santuario extra-urbano in località San Francesco Bisconti. E', quest'ultima, una delle aree più suggestive dell'intera Sicilia, tra la collina della Cittadella, sede di Morgantina arcaica, e l'altopiano di Serra Orlando, che ospita le strutture e le architetture della polis ellenistica.
L'area sacra del santuario è venuta alla luce tra il 1977 e il 1978, dopo un intervento devastante degli scavatori di frodo. Gli archeologi hanno potuto studiare la complessa planimetria del luogo, un sistema di ambienti di diverse dimensioni, allineati tra loro e dislocati su terrazzamenti artificiali a diverse quote di altezza. L'area è attribuita ad un ampio arco cronologico che va dal VI al III secolo a.C.. Le indagini più recenti hanno permesso di scoprire un ampio terrazzamento dove, forse, si svolgevano i riti all'aperto, comprendenti essenzialmente offerte e sacrifici.
Un altro dei tesori di Morgantina, da poco restituiti alla città, è il più importante insieme di oggetti di oreficeria pervenuti dalla Sicilia ellenistica, detto il tesoro di Eupolemo. Polibio, Livio e Cicerone parlano diffusamente delle importanti opere di argenteria della Siracusa di Ierone II (275-215 a.C.), tutte purtroppo perdute. Il tesoro di Eupolemo cominciò ad essere noto nel 1981, quando si fece cenno a due corni d'argento esposti, con un altro gruppo di oggetti, al Metropolitan Museum of Art di New York, che li aveva acquistati in diversi anni.
Verso la fine degli anni '90 gli archeologi americani condussero uno scavo là dove si presumeva che il tesoro fosse stato trovato, riportando alla luce una casa greca del IV secolo a.C., quasi del tutto scavato clandestinamente. Il tesoro di Eupolemo era, forse, stato riposto in un posto sicuro in un momento di grande crisi. Le incisioni riportate su alcuni oggetti, in particolare su un'arula e su una pisside con figura femminile, fanno riferimento a un personaggio che potrebbe essere stato, forse, l'ultimo proprietario, Eupolemo, appunto, di cui si conosce ed è documentata l'esistenza a Morgantina nel III secolo a.C. e che aveva una casa nelle vicinanze del luogo dove fu trovato il tesoro.
Gli oggetti del tesoro di Eupolemo sono, in tutto, sedici e sono fatti in argento dorato. Nove di essi sembrano essere destinati al simposio: due grandi coppe (mastoi), con i piedi a forma di maschere teatrali, dove si mescolava il vino con l'acqua e con aromi vari; la brocchetta (olpe) e l'attingitoio (kyathos) per servirlo nonchè le quattro coppe, di cui tre con il medaglione fondo. Quattro degli oggetti hanno sicuramente una funzione sacra, poichè recano dediche votive: il piatto ombelicato (phiale mesomphalos) che, con tutta probabilità, serviva per versare liquidi durante i sacrifici; il piccolo altare (bomiskos), decorato con ghirlande e bucrani che si utilizzavano per bruciare i profumi; le pissidi di cui una con coperchio decorato con un Amorino (Erote) e l'altra con una figura femminile che regge una cornucopia che venivano utilizzati per contenere essenze e unguenti.
La datazione della Venere è stata proposta al 410 a.C. ed è stata identificata con la dea dell'amore ma anche con Demetra, Persefone ed Hera. Il corpo sensuale, l'abito e la posa fanno pensare a Venere, purtroppo non si è in possesso di attributi che consentano l'identificazione definitiva. Il problema dell'identificazione della grande statua fu posto dall'archeologo e storico dell'arte Antonio Giuliano, che riconobbe la statua all'epoca esposta al Getty Museum come Demetra, la divinità in assoluto più venerata nella Sicilia dell'epoca, soprattutto nel territorio di Enna. Il dibattito in merito, però, è ancora aperto. Se di Demetra si tratta, essa è rappresentata nel momento in cui si mette alla ricerca di Persefone, rapita da Ade.
Ma oltre all'Afrodite, sono rientrati a Morgantina anche diversi altri antichi tesori razziati da predatori e trafficanti senza scrupolo. Tra questi gli acroliti detti di Morgantina, pertinenti una coppia di statue realizzate introno al 530-520 a.C., in marmo pario, con tre mani ed altrettanti piedi, che gli studiosi hanno riconosciuto come le più antiche testimonianze di questa tecnica nel mondo greco.
Gli acroliti erano parte di rappresentazioni, a grandezza naturale, delle principali divinità di Morgantina, Demetra e Persefone, trafugati alla fine degli anni '70 dalla più monumentale tra le aree di culto dell'antica città, il santuario extra-urbano in località San Francesco Bisconti. E', quest'ultima, una delle aree più suggestive dell'intera Sicilia, tra la collina della Cittadella, sede di Morgantina arcaica, e l'altopiano di Serra Orlando, che ospita le strutture e le architetture della polis ellenistica.
L'area sacra del santuario è venuta alla luce tra il 1977 e il 1978, dopo un intervento devastante degli scavatori di frodo. Gli archeologi hanno potuto studiare la complessa planimetria del luogo, un sistema di ambienti di diverse dimensioni, allineati tra loro e dislocati su terrazzamenti artificiali a diverse quote di altezza. L'area è attribuita ad un ampio arco cronologico che va dal VI al III secolo a.C.. Le indagini più recenti hanno permesso di scoprire un ampio terrazzamento dove, forse, si svolgevano i riti all'aperto, comprendenti essenzialmente offerte e sacrifici.
Un altro dei tesori di Morgantina, da poco restituiti alla città, è il più importante insieme di oggetti di oreficeria pervenuti dalla Sicilia ellenistica, detto il tesoro di Eupolemo. Polibio, Livio e Cicerone parlano diffusamente delle importanti opere di argenteria della Siracusa di Ierone II (275-215 a.C.), tutte purtroppo perdute. Il tesoro di Eupolemo cominciò ad essere noto nel 1981, quando si fece cenno a due corni d'argento esposti, con un altro gruppo di oggetti, al Metropolitan Museum of Art di New York, che li aveva acquistati in diversi anni.
Verso la fine degli anni '90 gli archeologi americani condussero uno scavo là dove si presumeva che il tesoro fosse stato trovato, riportando alla luce una casa greca del IV secolo a.C., quasi del tutto scavato clandestinamente. Il tesoro di Eupolemo era, forse, stato riposto in un posto sicuro in un momento di grande crisi. Le incisioni riportate su alcuni oggetti, in particolare su un'arula e su una pisside con figura femminile, fanno riferimento a un personaggio che potrebbe essere stato, forse, l'ultimo proprietario, Eupolemo, appunto, di cui si conosce ed è documentata l'esistenza a Morgantina nel III secolo a.C. e che aveva una casa nelle vicinanze del luogo dove fu trovato il tesoro.
Gli oggetti del tesoro di Eupolemo sono, in tutto, sedici e sono fatti in argento dorato. Nove di essi sembrano essere destinati al simposio: due grandi coppe (mastoi), con i piedi a forma di maschere teatrali, dove si mescolava il vino con l'acqua e con aromi vari; la brocchetta (olpe) e l'attingitoio (kyathos) per servirlo nonchè le quattro coppe, di cui tre con il medaglione fondo. Quattro degli oggetti hanno sicuramente una funzione sacra, poichè recano dediche votive: il piatto ombelicato (phiale mesomphalos) che, con tutta probabilità, serviva per versare liquidi durante i sacrifici; il piccolo altare (bomiskos), decorato con ghirlande e bucrani che si utilizzavano per bruciare i profumi; le pissidi di cui una con coperchio decorato con un Amorino (Erote) e l'altra con una figura femminile che regge una cornucopia che venivano utilizzati per contenere essenze e unguenti.
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