La leucocarpa o oliva bianca (Foto: improntaunika.it) |
Il ritrovamento per la prima volta in Basilicata di due piante di Leucocarpa, un'antica varietà quasi perduta di oliva bianca, che si trova oggi solo in sporadiche coltivazioni soprattutto in Calabria, è segnalato da Agia-Cia in agro di Nova Siri (Mt), nelle contrade di Pizzarello e Pietrosa.
La segnalazione arriva attraverso due giovani "custodi della biodiversità" Antonio Manolio e Carlo Stigliano. Portata dagli antichi Greci nell'VIII secolo a.C., la particolarità dei suoi delicati frutti è quella di essere privi di pigmenti e non riuscendo a effettuare la sintesi antocianina, assumono un colore simile all'avorio.
Da ricerche condotte in Calabria, riferisce il presidente dell'Agia-Cia Rudy Marranchelli, apprendiamo che, diffusi particolarmente tra il VII e il X secolo d.C., gli ulivi sono stati ritrovati nei pressi di poderi che appartenevano un tempo a monasteri basiliani e sono stati salvati e riprodotti attraverso innesti, riportando in vita questa bellissima specie, anche se le ricerche scientifiche non sono ancora concluse. Le fonti storiche narrano che all'epoca i monaci basiliani diedero un forte impulso ad alcune coltivazioni e probabilmente curavano questi ulivi per utilizzarli nelle loro attività. L'olio che si produceva, infatti, era chiarissimo e veniva chiamato anche "olio del crisma" perché veniva utilizzato nelle funzioni religiose per ungere i sacerdoti, come olio sacro per i sacramenti come il battesimo, la cresima o l'unzione degli infermi, nelle cerimonie di incoronazione per ungere le alte cariche imperiali bizantine.
Il prezioso olio di leucolea serviva, inoltre, per alimentare le lampade nei luoghi di culto, poiché se bruciato produceva pochissimo fumo. Le drupe, nome scientifico del frutto dell'ulivo, possono rimanere sulla pianta più a lungo di altre varietà, fino anche a primavera, si ottiene così un effetto cromatico molto particolare: il verde scuro delle foglie e il bianco delle olive.
La segnalazione arriva attraverso due giovani "custodi della biodiversità" Antonio Manolio e Carlo Stigliano. Portata dagli antichi Greci nell'VIII secolo a.C., la particolarità dei suoi delicati frutti è quella di essere privi di pigmenti e non riuscendo a effettuare la sintesi antocianina, assumono un colore simile all'avorio.
Da ricerche condotte in Calabria, riferisce il presidente dell'Agia-Cia Rudy Marranchelli, apprendiamo che, diffusi particolarmente tra il VII e il X secolo d.C., gli ulivi sono stati ritrovati nei pressi di poderi che appartenevano un tempo a monasteri basiliani e sono stati salvati e riprodotti attraverso innesti, riportando in vita questa bellissima specie, anche se le ricerche scientifiche non sono ancora concluse. Le fonti storiche narrano che all'epoca i monaci basiliani diedero un forte impulso ad alcune coltivazioni e probabilmente curavano questi ulivi per utilizzarli nelle loro attività. L'olio che si produceva, infatti, era chiarissimo e veniva chiamato anche "olio del crisma" perché veniva utilizzato nelle funzioni religiose per ungere i sacerdoti, come olio sacro per i sacramenti come il battesimo, la cresima o l'unzione degli infermi, nelle cerimonie di incoronazione per ungere le alte cariche imperiali bizantine.
Il prezioso olio di leucolea serviva, inoltre, per alimentare le lampade nei luoghi di culto, poiché se bruciato produceva pochissimo fumo. Le drupe, nome scientifico del frutto dell'ulivo, possono rimanere sulla pianta più a lungo di altre varietà, fino anche a primavera, si ottiene così un effetto cromatico molto particolare: il verde scuro delle foglie e il bianco delle olive.
Fonte:
improntaunika.it
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