Pompei, granai del tempio di Venere con evidenti tracce di insediamento post 79 d.C. (Foto: Pompei, parco archeologico) |
Dopo la catastrofica eruzione del Vesuvio del 79 d.C., che seppellì Pompei sotto metri di cenere e lapilli, la narrazione storica ha spesso considerato la città come definitivamente morta. Tuttavia, recenti scavi nell'Insula Meridionalis, parte meridionale dell'area archeologica, stanno cambiando radicalmente questa visione: Pompei fu rioccupata e la vita continuò, anche se in forme nuove e profondamente trasformate.
Subito dopo l'eruzione, alcuni sopravvissuti ritornarono tra le rovine della città. A loro si aggiunsero, con ogni probabilità, persone provenienti da altre zone, senza fissa dimora o in cerca di fortuna. Pompei, pur devastata, rappresentava un'occasione: offriva rifugi tra gli edifici semisepolti, oggetti di valore ancora nascosti sotto le macerie e nel tempo tornò ad essere un luogo vivibile, grazie al graduale ripristino della vegetazione e dell'ambiente naturale.
Le nuove indagini archeologiche hanno fatto emergere testimonianze materiali di questa fase dimenticata della storia pompeiana. Si tratta di focolari, forni, piccoli mulini: elementi che indicano una vita quotidiana semplice e disorganizzata, sviluppatasi tra i piani superiori degli edifici sopravvissuti all'eruzione. Ciò che un tempo era il pianterreno divenne ora seminterrato o cantina, mentre i livelli superiori furono adattati come nuovi spazi abitativi. Quella che un tempo era una città fiorente divenne così una sorta di insediamento spontaneo, fragile e privo delle infrastrutture proprie di una vera città romana.
Il quadro che emerge è quello di un accampamento permanente, un agglomerato umano che resistette per secoli, fino al V secolo d.C., quando una nuova e forse definitiva crisi - forse l'eruzione di Pollena - portò all'abbandono totale dell'area.
L'imperatore Tito inviò due ex consoli, i curatores Campaniae restituendae, con il compito di amministrare i beni degli scomparsi senza eredi e promuovere una rifondazione di Pompei ed Ercolano. Tuttavia il progetto non ebbe successo. Pompei non tornò mai più ad essere un centro vitale, ma restò un luogo di sopravvivenza ai margini del sistema romano.
Il dato più significativo che emerge dagli scavi è anche di tipo storiografico e culturale: per secoli gli scavi archeologici hanno trascurato o addirittura cancellato intenzionalmente le tracce di questa fase post-eruttiva. L'entusiasmo degli archeologi e del pubblico era tutto concentrato sulla "Pompei del 79", con i suoi affreschi, arredi e strade perfettamente conservati. In questo contesto, le testimonianze della rioccupazione post-disastro venivano considerate scomode, disturbanti o semplicemente poco rilevanti e, quindi, ignorate.
Come ha osservato Gabriel Zuchtriegel, direttore del Parco Archeologico di Pompei e co-autore della pubblicazione sui nuovi ritrovamenti, la Pompei post-79 è stata letteralmente rimossa dalla memoria storica. Eppure questa "seconda vita" della città racconta molto delle capacità di resilienza umana, della precarietà dell'esistenza e delle dinamiche sociali che seguono una grande tragedia.
Quella che oggi riemerge è un'immagine diversa da quella iconica e cristallizzata di Pompei: non più la città elegante e fiorente fermata nel tempo, ma un luogo di sopravvivenza, trasformazione e marginalità. Un insediamento che, pur nelle difficoltà, rappresenta la continuazione della vita.
Subito dopo l'eruzione, alcuni sopravvissuti ritornarono tra le rovine della città. A loro si aggiunsero, con ogni probabilità, persone provenienti da altre zone, senza fissa dimora o in cerca di fortuna. Pompei, pur devastata, rappresentava un'occasione: offriva rifugi tra gli edifici semisepolti, oggetti di valore ancora nascosti sotto le macerie e nel tempo tornò ad essere un luogo vivibile, grazie al graduale ripristino della vegetazione e dell'ambiente naturale.
Le nuove indagini archeologiche hanno fatto emergere testimonianze materiali di questa fase dimenticata della storia pompeiana. Si tratta di focolari, forni, piccoli mulini: elementi che indicano una vita quotidiana semplice e disorganizzata, sviluppatasi tra i piani superiori degli edifici sopravvissuti all'eruzione. Ciò che un tempo era il pianterreno divenne ora seminterrato o cantina, mentre i livelli superiori furono adattati come nuovi spazi abitativi. Quella che un tempo era una città fiorente divenne così una sorta di insediamento spontaneo, fragile e privo delle infrastrutture proprie di una vera città romana.
Il quadro che emerge è quello di un accampamento permanente, un agglomerato umano che resistette per secoli, fino al V secolo d.C., quando una nuova e forse definitiva crisi - forse l'eruzione di Pollena - portò all'abbandono totale dell'area.
L'imperatore Tito inviò due ex consoli, i curatores Campaniae restituendae, con il compito di amministrare i beni degli scomparsi senza eredi e promuovere una rifondazione di Pompei ed Ercolano. Tuttavia il progetto non ebbe successo. Pompei non tornò mai più ad essere un centro vitale, ma restò un luogo di sopravvivenza ai margini del sistema romano.
Il dato più significativo che emerge dagli scavi è anche di tipo storiografico e culturale: per secoli gli scavi archeologici hanno trascurato o addirittura cancellato intenzionalmente le tracce di questa fase post-eruttiva. L'entusiasmo degli archeologi e del pubblico era tutto concentrato sulla "Pompei del 79", con i suoi affreschi, arredi e strade perfettamente conservati. In questo contesto, le testimonianze della rioccupazione post-disastro venivano considerate scomode, disturbanti o semplicemente poco rilevanti e, quindi, ignorate.
Come ha osservato Gabriel Zuchtriegel, direttore del Parco Archeologico di Pompei e co-autore della pubblicazione sui nuovi ritrovamenti, la Pompei post-79 è stata letteralmente rimossa dalla memoria storica. Eppure questa "seconda vita" della città racconta molto delle capacità di resilienza umana, della precarietà dell'esistenza e delle dinamiche sociali che seguono una grande tragedia.
Quella che oggi riemerge è un'immagine diversa da quella iconica e cristallizzata di Pompei: non più la città elegante e fiorente fermata nel tempo, ma un luogo di sopravvivenza, trasformazione e marginalità. Un insediamento che, pur nelle difficoltà, rappresenta la continuazione della vita.
Fonte:
mediterraneoantico.it
mediterraneoantico.it
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