domenica 12 ottobre 2025

Turchia, l'antichissima e leggendaria città di Troia svela nuovi gioielli

Turchia, il fermaglio d'oro di 4500 anni rinvenuto a Troia
(Foto: Ministero della Cultura e del Turismo della 
Repubblica della Turchia)

Le campagne di scavo condotte nel sito archeologico di Troia (l'antica Ilio, in Turchia) hanno portato alla luce una scoperta che promette di entrare a pieno titolo nella letteratura archeologica mondiale. Nel corso delle ricerche del 2025 promosse dal Ministero della Cultura e del Turismo turco, è stato rinvenuto un prezioso broche (fermaglio) d'oro risalente all'Età del Bronzo Antico, databile intorno al 2500 a.C. Il reperto, ritrovato all'interno degli strati associati a Troia II, rappresenta una testimonianza materiale di straordinaria rilevanza per la ricostruzione delle origini della civiltà troiana.
Utilizzato come simbolo di potere e status sociale, il broche presenta un anello dorato la cui tipologia, secondo gli studiosi, lo colloca tra i più importanti ritrovamenti archeologici degli ultimi cento anni. La sua eccezionalità è ulteriormente accresciuta dal fatto che nel mondo siano noti soltanto tre esemplari di questo tipo, e quello emerso a Troia risulta essere il meglio conservato tra quelli documentati finora. Il ritrovamento ha permesso, inoltre, di chiarire uno dei nodi cronologici più dibattuti della ricerca su Troia. La presenza del broche nei livelli stratigrafici attribuiti a Troia II ha, infatti, fornito elementi determinanti per definire la datazione di questa fase insediativa.
Se fino ad oggi gli studiosi oscillavano tra un'inquadratura cronologica compresa tra il 2300 ed il 2200 a.C. e l'ipotesi di un'origine più antica, la scoperte consente di fissare con maggiore precisione l'inizio di Troia II intorno al 2500 a.C. Si tratta di un avanzamento importante nella comprensione della sequenza storica del sito e delle trasformazioni che interessarono la comunità troiana nel corso dell'Età del Bronzo Antico.
Il broche non è stato l'unico reperto ad emergere durante le indagini. Nello stesso contesto stratigrafico gli archeologi hanno individuato anche una spilla in bronzo ed un raro frammento di giada. Quest'ultimo, in particolare, si distingue per la sua rarità all'interno dei corredi di lusso dell'epoca. Secondo le prime ipotesi, la pietra, lavorata con estrema cura, potrebbe essere stata impiegata come elemento decorativo, forse incastonata in un anello od utilizzata come ornamento personale.

Fonte:
finestresullarte.info

Atri (Teramo), torna alla luce una sconosciuta necropoli della prima Età del Ferro

Atri, Teramo, la necropoli della prima Età del Ferro
(Foto: finestresullarte.info)

Durante i lavori per la realizzazione del nuovo metanodotto "Cellino Attanasio-Pineto", nel territorio di Atri (Teramo), in località Casoli-contrada Casabianca, è stata fatta un'importante scoperta archeologica: una necropoli risalente alla prima Età del Ferro, finora sconosciuta in quest'area.
Le indagini sono condotte sotto la supervisione scientifica della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di L'Aquila e Teramo ed hanno restituito finora dieci sepolture ad inumazione. In base agli oggetti di corredo rinvenuti, le sepolture sono databili tra l'850 e il 750 a.C. In alcuni casi sono state conservate le tracce dei tumuli di copertura, costituiti da ciottoli fluviali e di dimensioni comprese tra i 7 ed i 15 metri: una pratica funeraria tipica dell'Abruzzo protostorico. Le tombe appartengono sia ad adulti che a bambini molto piccoli, testimonianza significativa di un riconoscimento sociali esteso a tutta la comunità, indipendentemente dall'età.

Fonte:
finestresullarte.info
 


Iraq, i guardiani delle porte di Ninive

Iraq, i resti dei lamassu nel palazzo assiro di
Tell Nabi Yunus (Foto: Ministero della Cultura,
del Turismo e dell'Archeologia dell'Iraq)

Nel sito archeologico di Tell Nabi Yunus, a Ninive, in Iraq, la missione tedesca dell'Università di Heidelberg ha riportato alla luce importanti resti del palazzo militare assiro risalente ai regni di Sennacherib, Esarhaddon e Assurbanipal, tra cui rilievi della sala del trono e quindici lamassu monumentali.
Si tratta di elementi architettonici e scultorei legati al palazzo militare assiro costruito durante i regni di Sennacherib (in carica tra il 704 ed il 681 a.C.), Esarhaddon (680-669 a.C.) e Assurbanipal (669-626 a.C.).
Tra le scoperte più importanti figura la facciata della sala del trono, decorata con rilievi a bassorilievo che testimoniano l'alto livello tecnico e artistico raggiunto dagli artigiani assiri. A questi si aggiungono numerosi esemplari di lamassu, tori alati con volto umano posti a protezione delle porte monumentali dei palazzi reali. Gli archeologi hanno individuato i resti di quindici lamassu, di cui dodici ancora in situ. Alcuni di essi risultano scolpiti da un unico blocco di pietra, mentre altri sono stati realizzati assemblando più elementi lapidei, una soluzione costruttiva rara nell'architettura assira della fase tarda.
La presenza di un così alto numero di lamassu nello stesso complesso e la loro varietà tecnica forniscono, dunque, nuovi elementi per comprendere le modalità costruttive e simboliche dei palazzi reali assiri. I monumentali guardiani di pietra, raffigurati con il corpo di toro, le ali d'aquila e il volto umano, avevano un ruolo tanto funzionale quanto rituale, segnando i punti di accesso principali e allontanando le forze maligne dal centro politico dell'impero.
L'accuratezza delle operazioni di conservazione e catalogazione sarà determinante per la tutela e la valorizzazione del sito, la cui importanza storica e simbolica resta centrale per la comprensione delle radici della Mesopotamia antica.
Situato in un'area strategica della città di Ninive, il complesso era parte integrante del sistema politico e militare assiro. La ricchezza decorativa, la monumentalità delle strutture e la qualità delle sculture rinvenute dimostrano la volontà dei sovrani assiri di rappresentare il proprio potere attraverso un linguaggio visivo imponente e fortemente simbolico.

Fonte:
finestresullarte.info
 


Tivoli, pavimento musivo e sepolture medioevali riemergono dagli scavi per la fibra ottica

Tivoli, pavimento musivo e sepolture medioevali
(Foto: quotidianoarte.com)

Durante i lavori per la fibra ottica a Tivoli, vicino alla chiesa di Sant'Andrea, nel centro storico, gli archeologi hanno scoperto un pavimento con mosaico bianco e nero geometrico della prima età imperiale ed almeno due sepolture medioevali che vanno ad arricchire la conoscenza della storia della città.
Si è rivelata, così, un'area dell'antica Tibur rioccupata in età medioevale con almeno due tombe. La cronologia precisa di queste ultime sarà determinata con analisi stratigrafiche e di laboratorio.
Il pavimento musivo rinvenuto rappresenta una testimonianza di un periodo in cui la città di Tibur, oggi Tivoli, era già un centro urbano importante nell'are laziale. La geometria delle tessere e la tecnica di realizzazione confermano dunque l'appartenenza ad un contesto di alta qualità artistica ed architettonica, coerente con altre evidenze monumentali romane presenti nel centro storico.
L'area interessata dai lavori e dagli scavi si inserisce in un contesto urbano già noto per la ricchezza di testimonianze archeologiche di epoche diverse. Tra gli elementi più rilevanti si segnalano le imponenti sostruzioni (strutture sotterranee) in opera reticolata delle cosiddette Terme di Diana.
Il rinvenimento del mosaico e delle sepolture medioevali conferma come Tivoli conservi una stratificazione storica particolarmente densa e articolata, dove elementi della vita urbana romana coesistono con testimonianze di epoche successive.

Fonte:
quotidianoarte.com

Elefanti in Sicilia...

Sicilia i resti dell'elefante nano ritrovato
(Fonte: siciliafan.it)

Nel Siracusano, in località Fontane Bianche sono tornati alla luce i resti fossili dell'elefante nano Palaeloxodon mnaidriensis, una specie estinta che popolava la Sicilia durante il Pleistocene.
Ad individuare il riaffioramento dei resti è stato il geologo Fabio Branca, dell'Università di Catania. Si tratta di una scoperta che assume un grande rilievo poiché avvenuta in un'area ricchissima dal punto di vista ambientale, dove insistono riserve naturali, geositi e zone speciali di conservazione.
Il nuovo ritrovamento si inserisce in un contesto paleontologico ben documentato. A pochi chilometri da Fontane Bianche si trova la Grotta di Spinagallo, celebre per i fossili di un'altra specie estinta: il Palaeloxodon falconeri. Questo elefante, alto appena un metro, è uno degli esempi più estremi di nanismo insulare. I suoi resti sono oggi custoditi nel Museo di Paleontologia dell'Università di Catania e nel Museo Archeologico Regionale "Paolo Orsi" di Siracusa.
Secondo quanto riportato dal Museo Gemellaro dell'Università di Palermo, l'antenato comune di queste specie era il gigantesco Palaeloxodon antiquus, noto anche come "l'elefante dalle zanne dritte", alto fino a 4,5 metri. Questo colosso continentale colonizzò la Sicilia in due distinte ondate migratorie: la prima, circa 690mila anni fa, diede origine al minuscolo Palaeloxodon falconeri; la seconda, circa 200mila anni fa, portò alla formazione del più robusto Palaeloxodon mnaidriensis. Entrambe le specie rappresentano casi emblematici di evoluzione insulare, un processo in cui gli animali modificano taglia e caratteristiche fisiche in risposta alle condizioni ambientali uniche delle isole.
Sulle isole, in assenza di predatori e con risorse limitate, alcuni animali diventano più piccoli per risparmiare energia. E' quello che accadde al Palaeloxodon falconeri, che trovò in Sicilia un ambiente con poche minacce e poche risorse, condizioni perfette per miniaturizzarsi. Al contrario, il Palaeloxodon mnaidriensis visse in un'epoca in cui la Sicilia ospitava grandi mammiferi, tra i quali gli ippopotami, predatori e competitori alimentari. Per questo motivo non poté ridursi eccessivamente: doveva difendersi, muoversi agilmente e nutrirsi.
Entrambe le specie si nutrivano di erbe dure e ricche di silice. Il minuscolo falconeri aveva una dieta più selettiva, adattata ad un ambiente povero di risorse. Il più grande Mnaidriensis (alto tra 1,8 e 2 metri) si adattò, invece, a praterie aperte, condivise con altri erbivori.
L'analisi volumetrica dei fossili suggerisce che i maschi pesavano circa 250 kg, mentre le femmine intorno ai 150 kg. Molto più piccoli dei loro antenati, ma dotati di un cervello proporzionalmente più grande, una crescita lenta ed una maggiore longevità.

Fonte:
siciliafan.it

Turchia, l'antichissima e leggendaria città di Troia svela nuovi gioielli

Turchia, il fermaglio d'oro di 4500 anni rinvenuto a Troia (Foto: Ministero della Cultura e del Turismo della  Repubblica della Turchia)...