venerdì 29 agosto 2025

Gerusalemme, rinvenuta una rara moneta d'oro di Berenice II

Gerusalemme, la moneta delle regina Berenice
(Foto: Eliyahu Yanai, Città di David)

Una scoperta ritenuta di eccezionale rarità e valore storico è emersa dagli scavi della Città di David a Gerusalemme: una moneta d'oro con il ritratto della regina ellenistica Berenice II d'Egitto, risalente a circa 2200 anni fa. Si tratta di un rinvenimento che getta nuova luce sul ruolo della città nel periodo ellenistico e sul legame con le grandi potenze del Mediterraneo orientale.
La moneta è stata trovata nell'area di scavo del parcheggio Givati, parte del Parco Nazionale della Città di David, durante un'attività di setacciatura del terreno.
La moneta, di piccolo taglio - un quarto di dracma - è stata coniata in oro puro (99,3%) tra il 246 ed il 241 a.C., durante il regno di Tolomeo III, marito della regina Berenice II. Al dritto presenta il ritratto della sovrana, con diadema e velo, oltre ad una collana al collo. Il rovescio raffigura una cornucopia, simbolo di fertilità e prosperità, affiancata da due stelle, con la scritta in greco "della regina Berenice". L'iscrizione ha un valore particolare: raramente, infatti, in quel periodo le monete recavano il nome di una regina, e nel caso di Berenice l'attribuzione "Basilisses", ovvero "della regina", sembra suggerire una dignità autonoma e un potere politico diretto, non solo come consorte del sovrano.
La coniazione, avvenuta con ogni probabilità ad Alessandria d'Egitto, sarebbe stata legata al ritorno vittorioso delle truppe egiziane dalla Terza guerra siriaca, combattuta contro il regno seleucide di Siria, una delle maggiori potenze ellenistiche rivali. Le monete, probabilmente, furono realizzate in serie limitata per essere distribuite come premio ai soldati, un donativo di alto valore simbolico e materiale.
Secondo il Dottor Robert Kool, capo del Dipartimento di Numismatica dell'Autorità israeliana per le Antichità, e il Dottor Haim Gitler, curatore di Archeologia e Numismatica al Museo d'Israele, la scoperta ha un rilievo unico. "Per quanto sappiamo, la moneta è l'unica del suo del suo genere mai scoperta fuori dall'Egitto, che era il centro del dominio tolemaico. - Affermano i due studiosi. - Sono note solo circa venti monete di questo tipo e questa è la prima mai rinvenuta in uno scavo archeologico controllato, il che la rende un reperto di straordinaria importanza scientifica". Fino ad oggi gli esemplari conosciuti provenivano da collezioni private o mercati antiquari, privi quindi di informazioni sul contesto originario.
Berenice II, figlia de re Magas di Cirene e moglie di Tolomeo III, regnò in Egitto dal 246 al 222 a.C. E' una figura nota per la sua influenza politica e culturale, legata anche alla celebre "chioma di Berenice", la costellazione che porta il suo nome e che, secondo la leggenda, nacque dal sacrificio della sua bellissima chioma dedicata ad una divinità per propiziare la vittoria del marito. La sua raffigurazione su una moneta con titolo regale, da viva, è un evento rilevante e conferma lo status eccezionale di questa sovrana all'interno della dinastia tolemaica.

Fonte:
finestresullarte.info

Emirati Arabi Uniti, scoperta la croce di un'antica chiesa cristiana

Emirati Arabi Uniti, la croce scoperta a Sir Bani Yas
(DCT Abu Dhabi)

Importante scoperta archeologica negli Emirati Arabi Uniti: è stata rinvenuta una croce in gesso proveniente da un antico monastero cristiano (di cui oggi rimangono i resti) che si trovava sull'isola di Sir Bani Yas, al largo della regione di Al Dhafra, nell'emirato di Abu Dhabi.
La scoperta è stata fatta durante il primo grande scavo sull'isola in oltre 30 anni. La campagna di ricerca sull'isola di Sir Bani Yas è stata avviata nel 2025. La croce è modellata su una targa di gesso, mostra somiglianze con reperti provenienti da Iraq e Kuwait ed è legata alla Chiesa d'Oriente, le cui origini risalgono all'antico Iraq. Il monastero cristiano da cui proviene risale al VII-VIII secolo d.C. e venne scoperto nel 1992 dall'Abu Dhabi Islands Archaeological Survey (ADIAS). Da allora, gli scavi hanno portato alla luce una chiesa e un complesso monastico occupati contemporaneamente al monastero. Attualmente vengono interpretati come spazi separati, dove i monaci anziani si ritiravano per periodi di contemplazione ed isolamento ascetico.
Sir Bani Yas fa parte di un più ampio gruppo di chiese e monasteri sorti nella regione nello stesso periodo, con siti simili a Umm Al Quwain, in Kuwait, in Iran e in Arabia Saudita. Il cristianesimo si diffuse e declinò nella penisola arabica tra il IV ed il VI secolo d.C. Cristiani e musulmani coesistettero fino all'VIII secolo d.C., quando il monastero di Sir Bani Yas fu abbandonato. Oggi, la chiesa ed il monastero, situati all'interno di riserve naturali, sono una testimonianza dell'antico passato di Abu Dhabi.
Gli archeologi stanno attualmente studiando ed esplorando un gruppo di abitazioni con cortile nei pressi del monastero, dove i primi monaci cristiani vivevano in ritiro.

Fonte:
finestresullarte.info

Gran Bretagna, il gigante del forte di Magna...

Gran Bretagna, scarpa romana extralarge
(Foto: The Vindolanda Trust)
Dal sito romano di Magna, una delle roccaforti lungo il Vallo di Adriano, sono emerse delle scarpe romane di taglia extralarge.
L'attuale campagna di scavi a Magna (ora Carnovan) ha permesso di recuperare diversi reperti. La scoperta più sorprendente è stata quella di 34 calzature in pelle, alcune delle quali in uno stato di conservazione sorprendentemente buono. La più curiosa è senza dubbio una scarpa di dimensioni molto grandi, corrispondenti al numero 48 attuale, che ha suscitato, oltre allo stupore, numerose domande una delle quali riguardante il "proprietario" di una calzatura così grande.
Magna, nome romano che si può approssimativamente tradurre come "il forte sulla roccia", sorge all'estremità della cresta rocciosa del Whin Sill. Anche se non menzionata nelle famose tavolette di Vindolanda, l'identità e l'importanza del sito emergono chiaramente dagli scavi. Il nome moderno, Carvoran, potrebbe significare "il forte alla fine della via della Vergine", come suggerito dal reverendo ed antiquario Anthony Hedley, che iniziò gli scavi nel sito nel 1830 e costruì l'edificio che attualmente ospita il museo.
Gli archeologi erano impegnati nel documentare un fossato a gradoni, largo oltre sei metri, con base a frantumazione ed un rivestimento in pietra lungo il bordo meridionale: un perfetto esempio delle sofisticate tecniche difensive romane. E' proprio da questo fossato che provengono le scarpe, tra le quali quella che si è guadagnata l'epiteto di "scarpa gigante di Magna".
Le condizioni del sito hanno permesso la conservazione di notevoli dettagli: tomaie ancora attaccate, decorazioni impresse nella pelle e cuciture visibili. Tuttavia non tutti i reperti hanno resistito allo stesso modo. Mentre gli archeologi si preparano a proseguire gli scavi all'interno del forte, nella speranza di scoprire di più sulla vita degli antichi abitanti, resta la domanda su chi indossava scarpe così grandi. Un viaggiatore straniero? O, forse, un comandante con esigenze personalizzate? O, ancora, erano delle soprascarpe?
Le ricerche sono ancora in corso con il supporto di esperti come la Dottoressa Elizabeth Greene, Professoressa associata presso la Western University in Ontario e specialista nelle calzature di Vindolanda.
"Questo ritrovamento è importante anche perché mostra come venivano realizzate le calzature romane. - Ha spiegato Rachel Frame, una delle archeologhe del Magna Project. - La suola era composta da più strati di cuoio, tenuti insieme da stringhe, cuciture e chiodini, ma poiché mancava la parte della punta, non è stato possibile stimarne la misura. Una seconda scarpa, trovata sul fondo dello 'spacca caviglie' era intatta e la suola misura 32 centimetri di lunghezza, l'equivalente di un numero 48".
Va tenuto presente che in epoca romana l'altezza media era inferiore a quella attuale, poco meno di 1,70 metri per gli uomini. Questo suggerisce che chi indossava queste enormi calzature fosse un vero e proprio gigante per la sua epoca. Nel forte di Magna, comunque, erano ospitati, oltre ai romani, anche legionari provenienti dalle province più lontane come quelle siriane.
Tra i reperti rinvenuti nella stagione di scavo figurano ceramiche, un pettine di legno, palette per il trucco e picchetti per le tende.
Lo "spacca caviglie" era una fenditura stretta e profonda situata nel fondo di un fossato, che, una volta nascosta dall'acqua, faceva inciampare i soldati nemici, rompendo loro la caviglia ed intrappolandoli.

Fonti:
mediterraneoantico.it
focus.it
fanpage.it

domenica 24 agosto 2025

Israele, scoperta la prima "casa per anziani" della storia

Israele, un primo piano del mosaico rinvenuto
(Foto: Dott. Michael Eisenberg)

Durante gli scavi archeologici nel Parco Nazionale di Hippos, vicino al Mar di Galilea, i ricercatori dell'Università di Haifa hanno scoperto un'iscrizione a mosaico in greco recante l'insolita benedizione: "Pace agli anziani". L'iscrizione indica, probabilmente, l'esistenza della più antica casa di cura conosciuta scoperta in uno scavo archeologico.
Datata alla fine del IV o, al più tardi, all'inizio del V secolo d.C., l'iscrizione è stata trovata all'interno di un medaglione decorato con motivi colorati, accanto ad uno dei mosaici più impressionanti scoperti nel sito.
"Questa è la prova che la cura e la preoccupazione per gli anziani non sono solo un'idea moderna, ma facevano parte di istituzioni e concetti sociali già circa 1600 anni fa", ha detto il Dottor Michael Eisenberg dello Zinman Institute of Archaeology e del Dipartimento di Archeologia dell'Università di Haifa, nonché co-direttore del progetto di scavo.
Hippos era una città cristiana nella regione del Mar di Galilea in epoca bizantina e fungeva da sede vescovile, ospitando almeno sette chiese. Situata su una collina che domina il Mar di Galilea, la città è stata al centro di scavi sistematici, compresi ampi sforzi di conservazione, sin dal 2000. Durante il periodo bizantino, Hippos funzionò come centro religioso, sociale ed economico, con il decumano massimo ed una rete di cardines che fungevano da arterie principali.
Il mosaico è stato scoperto vicino all'incrocio di due strade principali, a circa 100 metri dalla piazza centrale, all'interno di uno dei blocchi residenziali circostanti. I ricercatori hanno analizzato l'iscrizione in greco dal punto di vista sia linguistico che stilistico che contestuale, confrontandola con fonti storiche del periodo bizantino che menzionano istituzioni per anziani. Hanno anche esaminato le raffigurazioni iconografiche presenti attorno all'iscrizione, che raffigurano oche egiziane, cipressi, frutti e vasi. I ricercatori ritengono che il mosaico sia stato posizionato vicino all'ingresso dell'edificio, centralmente, in modo da essere visibile a chi entrava.
Gli studi finora condotti indicano che il mosaico di Hippos è probabilmente la prima prova archeologica di un'istituzione progettata specificatamente per servire gli anziani durante il periodo bizantino. Sebbene tali istituzioni siano note da fonti scritte del V e VI secolo, questa è la prima volta che sono state trovate prove fisiche direttamente collegate a questa tipologia di attività.
Il mosaico di Hippos offre una visione unica della vita sociale e religiosa durante il periodo bizantino, in particolare per quel che riguarda la cura degli anziani. La scoperta getta nuova luce sul ruolo degli anziani nella società cristiana bizantina, evidenziando che vennero costruite non solo chiese ed edifici religiosi, ma anche strutture con funzioni sociali quotidiane.

Fonte:
israelnationalnews.com


Bulgaria, trovata la sepoltura di un principe tracio

Bulgaria, la sepoltura del guerriero (Foto: archeomedia.net)

Gli archeologi dell'Accademia bulgara delle scienze hanno portato alla luce, nei pressi del villaggio di Kapitan Petko Volvada, nella regione di Topolovgrad, una sepoltura del II secolo a.C., che viene considerata la più ricca dell'epoca ellenistica mai rinvenuta in Bulgaria.
La tomba apparteneva ad un guerriero tracio di alto rango, forse anche un sovrano, sepolto insieme al suo cavallo da guerra. Il corredo funebre comprendeva una corona in argento dorato, simbolo d'onore nella cultura tracia, un bracciale d'argento, un anello, una fibula decorata e una spada greca makhaira con impugnatura in oro e pietre preziose. Il cavallo era ornato con medaglioni in oro, argento e bronzo raffiguranti scene mitologiche, tra cui Ercole in lotta con il gigante Anteo.
I Traci, popolo indoeuropeo attestato sin dall'Età del Bronzo, furono a lungo impiegati come guerrieri e mercenari per potenze più grandi. In età ellenistica e romana, la loro abilità nella cavalleria e nella fanteria leggera portò spesso a ricompense in terre, favorendo la romanizzazione delle regioni in cui vivevano.
La scoperta è avvenuta durante i lavori di posa di un cavo elettrico.

Fonte:
artslife.com

Cartagine, scoperte sepolture di bambini ed animali in giare

Tunisia, gli scavi di Cartagine (Foto: Ansa.it)

Nell'ambito del progetto di sviluppo e valorizzazione del tofet di Cartagine (Tunisia), gli scavi archeologici presso il tempio di Tanit e Baal Hammon hanno portato alla scoperta di un numero significativo di giare votive ed offerte.
Lo ha annunciato l'Istituto Nazionale del Patrimonio (INP) tunisino, precisando che alcune di queste risalgono al V secolo a.C., o addirittura alla fine del VI secolo a.C., mentre altre risalgono al III secolo a.C.
Secondo la stessa fonte queste giare conterrebbero resti carbonizzati di neonati prematuri e vari animali, che erano stati sepolti secondo i riti religiosi praticati a Cartagine all'epoca.
Gli scavi, prosegue l'INP, hanno anche fatto luce sulle trasformazioni subite dal sito sacro durante il periodo romano. Il team ha riportato alla luce mura risalenti al II e III secolo d.C., oltre ad altre risalenti al tardo periodo romano.

Fonte:
archeomedia.net

Egitto, i tesori del mare di Abu Qair


Alessandria d'Egitto, il recupero di una delle statue ad Abu
Qair (Foto: Ministero del Turismo e delle Antichità)
Ad Abu Qair, a nordest di Alessandria d'Egitto sono riemerse, dalle acque del Mediterraneo tre statue di rilevanza storica. Si tratta della prima operazione di recupero subacqueo di questa portata in Egitto negli ultimi 25 anni.
Le opere estratte comprendono una statua colossale in quarzo con i cartigli di Ramses II, una figura in granito pertinente un personaggio che non è stato ancora identificato e di epoca tolemaica, danneggiata dal collo alle ginocchia ed una statua in marmo bianco che rappresenta un esponente dell'aristocrazia romana.
All'operazione hanno assistito non solo i media, ma anche ambasciatori e consoli stranieri oltre ai rappresentanti del Consiglio Supremo delle Antichità e dell'Autorità Generale Egiziana per la Promozione ed il Turismo.
Le indagini recenti hanno confermato la presenza di strutture stabili rimaste a lungo sommerse, probabilmente a causa di fenomeni geologici o di terremoti che ne hanno provocato lo sprofondamento sotto il livello del mare.
Secondo i dati raccolti finora, il sito corrisponderebbe ad una città di epoca romana, che doveva comprendere edifici, templi, cisterne idriche, vasche per l'allevamento ittico, un porto ed alcune banchine. Alcuni studiosi ritengono possa trattarsi di un'estensione della città di Canopo, i cui resti significativi erano stati già rinvenuti nella stessa zona. La stratificazione del sito ha restituito testimonianze riferibili a diverse fasi storiche, dall'epoca faraonica, a quella tolemaica, romana, bizantina ed islamica, delineando una continuità di insediamenti che rende Abu Qair uno dei principali centri di studio per l'archeologia subacquea.
Le ricerche hanno permesso il ritrovamento di molti reperti: anfore recanti bolli commerciali e date di produzione, resti di una nave mercantile con un carico di frutta secca e una bilancia in rame per la pesatura, statue reali e figura di Ushabti, ancore in pietra, monete risalenti alle epoche romana, bizantina ed islamica, oltre a ceramiche, piatti, vasche da allevamento ed una passeggiata marittima lunga 125 metri.

Fonte:
finestresullarte.info

venerdì 15 agosto 2025

Orvieto, emergono dal terreno i tesori del Fanum Voltumnae

Orvieto, l'area di scavo alle pendici della rupe
(Foto: siviaggia.it)

Due teste di ariete, una di leone ed altari monumentali emersi dalla terra degli etruschi, sono gli straordinari ritrovamenti delle recenti campagne di scavo al Campo della Fiera, alle pendici della rupe di Orvieto, dove da 26 anni lavora l'equipe guidata dall'archeologa Simonetta Stopponi.
I depositi del sito custodiscono i tesori del Santuario federale degli etruschi, il celebre Fanum Voltumnae, luogo dove si riunivano annualmente i rappresentanti delle dodici città-stato etrusco.
"Siamo nel santuario federale degli etruschi. - Ha spiegato la professoressa Stopponi. - I primi segni di culto risalgono alla prima metà del VI secolo a.C., ma è nella seconda metà, con la pianificazione urbanistica voluta da Porsenna re di Chiusi e Orvieto, che il sito raggiunge la sua piena fioritura".
Qui, ai margini della città, in posizione pianeggiante e strategica, sorgevano templi, altari e strutture monumentali oggi parzialmente riportate alla luce. Ma è negli ultimi anni che sono stati rinvenuti alcuni dei reperti più significativi. "Abbiamo trovato altari giganteschi. - Ha raccontato la professoressa Stopponi. - I più grandi finora scoperti in Etruria, composti da blocchi sovrapposti e decorati con teste di ariete e di leone, risalenti all'inizio del V secolo a.C.". Perfettamente scolpite con dettagli naturalistici e uno sguardo magnetico, ornavano questi altari dedicati agli dei celesti, come indicano anche le fonti latine.
E' stato trovato anche un occhio in bronzo e pasta vitrea. Accanto a questi capolavori sono stati estratti dal terreno migliaia di reperti: ceramiche, oggetti votivi, monete romane ed un pendente d'oro cavo, usato per contenere profumo, a forma di ghianda. Questo era, infatti, il cuore spirituale e politico dell'Etruria.
Il centro del santuario è il Tempio A, dove si è conservata una continuità di culto che va dal VI al IV secolo d.C., sotto il controllo dei romani, che consentirono il mantenimento delle pratiche religiose solo in questo luogo. Tra le scoperte più emozionanti vi è la base di statua bronzea sottratta dai romani con la più lunga iscrizione etrusca mai ritrovata ad Orvieto. "L'ultima parola dell'incisione indica il luogo dove si trovava la statua: un luogo celeste ed è la prova che questo era il Fanum Voltumnae", ha detto la professoressa Stopponi. 

Fonte:
archeomedia.net

Castelseprio, scoperto i resti di un edificio. Indizi delle origini?

Gli scavi di Castelseprio (Foto: archeomedia.net)

Castelseprio era un'antica città dotata di mura possenti, torri, case e chiese. L'insediamento venne distrutto nel 1287 durante la guerra tra i Visconti di Milano ed i Della Torre per il controllo del territorio.
Prima di allora l'abitato era capoluogo del Seprio, un importante distretto territoriale oggi compreso tra l'Alto Milanese ed il Varesotto. Sotto i re longobardi aveva raggiunto straordinarie vette di splendore. Tra il VI ed il X secolo, un pittore venuto dall'Oriente aveva dipinto i suggestivi e misteriosi affreschi della chiesa di Santa Maria foris portas, oggi ritenuti un capolavoro dell'arte medioevale. Il sito, nel 2011, è entrato nella lista dei beni UNESCO e dichiarato Patrimonio Mondiale dell'Umanità.
Finora poco si sapeva sulla storia più antica di Castelseprio e non era noto il periodo di fondazione della città. La IX campagna di scavi presso la "casa medioevale", conclusasi nel luglio 2025, ha in parte chiarito questo mistero. Gli archeologi, che avevano trovato nelle precedenti campagne resti di abitazioni di epoca basso medioevale, longobarda e gota, infatti, hanno fatto una scoperta inaspettata: hanno portato alla luce i resti di un edificio databile tra il IV ed il V secolo d.C.
Grazie a questa scoperta, i ricercatori potranno comprendere meglio le origini dell'insediamento. Si pensa che quanto scoperto possa avere una rilevante importanza in campo archeologico. Infatti permette di spostare le origini dell'intero insediamento ad un'epoca nella quale l'impero romano era ancora in vita, prima dell'arrivo dei Longobardi (568), che lo portarono al massimo splendore.
Castelseprio aveva iniziato a formarsi, dunque, già in piena epoca romana, epoca alla quale data il basamento della torre di Torba, nella parte bassa del sito (che parrebbe, appunto, risalire a fine IV - inizio V secolo d.C.). La nascita del castrum non fu una conseguenza delle dinamiche medioevali, ma affonda le radici nel periodo tardoantico, in una fase storica di grandi cambiamenti e transizioni.
Durante il regno longobardo (568-774) vennero realizzati i celebri affreschi della chiesa di Santa Maria foris portas. Questi affreschi sono ispirati ai Vangeli apocrifi ed in particolare al Protovangelo di Giacomo, testo greco della metà del secolo. Le pitture erano celate da strati di intonaco attribuibili a rimaneggiamenti successivi. Quando sono stati scoperti risultavano anche parzialmente danneggiati dai martellamenti del XVI secolo, dovuti al sovrapporsi di nuove decorazioni.

Fonti:
archeomedia.net
storiearcheostorie.com

giovedì 14 agosto 2025

Turchia, Laodicea, scoperto l'edificio del consiglio cittadino

Laodicea, il teatro (Foto: AA)
 

A Denizli, in Turchia, durante i recenti scavi nel sito archeologico dell'antica Laodicea, è stato portato alla luce l'edificio del consiglio, risalente a 2050 anni fa. Si tratta di un traguardo importante nei 22 anni di lavori archeologici e di restauro nella città, che ha una storia che risale al 5500 a.C.
Tra le scoperte precedenti, Laodicea ha restituito blocchi di travertino decorati con intricati motivi, una statua alta tre metri di Traiano, la fontana di Traiano ed un gruppo scultoreo con Scilla, il terribile mostro che compare nell'Odissea.
"Sappiamo già, dalle fonti antiche, che era un centro amministrativo che controllava 7-10 città. - Ha dichiarato all'agenzia turca Anadolu il responsabile della missione, l'archeologo Celal Simsek. - Quando abbiamo iniziato gli scavi nell'edificio del consiglio, abbiamo visto che le mura perimetrali erano a cinque angoli e che insieme alla facciata formavano una struttura esagonale. E' la prima volta che ci imbattiamo in uno stile architettonico del genere".
Sono stati portati alla luce i gradini superiori e inferiori: la parte inferiore è completamente intatta, e sui gradini sono incisi i nomi del presidente e dei membri del consiglio, circostanza che ha permesso di identificare i membri del consiglio in carica all'epoca (anziani, giovani e cittadini comuni). L'edificio era dotato di 17 file di sedili, 8 nella parte inferiore e 9 nella parte superiore.
La struttura venne costruita durante il regno dell'imperatore Augusto, dopo la metà del I secolo a.C. circa. L'imperatore Adriano arrivò qui nel 129 d.C. Dopo il suo arrivo qui venne eseguito un restauro su larga scala, rivelato dai blocchi architettonici. L'edificio del consiglio è stato utilizzato fino al VII secolo d.C. e si pensa che potesse ospitare fino a 600-800 membri. Dopo che Laodicea divenne la capitale della Frigia, questo luogo divenne anche un centro giudiziario.
La scultura rinvenuta in posizione seduta durante gli scavi dell'edificio si riferisce, con tutta probabilità ad un amministratore, un giudice supremo o un governatore dell'epoca. La statua risale al II secolo d.C. mentre la testa che vi è stata collocata sopra dagli archeologi, risale al 400 d.C., il che significa che, mentre il sistema giudiziario era in funzione, la persona qui raffigurata sedeva come giudice supremo. Con il passare del tempo, i presidenti ed i giudici venivano sostituiti ed i loro ritratti venivano rifatti e qui collocati.
La struttura era circondata da un'agorà politica, da sale d'archivio, da un grande complesso termale e dallo stadio più grande della regione.

Fonti:
ilgiornaledellarte.com
trt.global

Parco sommerso di Baia, ritrovate le terme di Cicerone?

Le rovine di Portus Iulius all'interno del Parco 
sommerso di Baia (Foto: Minitero della Cultura -
Parco Archeologico Campi Flegrei)

Si sono concluse in questi giorni le operazioni di scavo subacqueo che hanno riportato alla luce un ambiente termale di età romana, situato a tre metri di profondità al centro del Portus Iulius, all'interno della zona B del Parco sommerso di Baia. L'intervento, condotto dopo l'individuazione del sito nel 2023, ha permesso di documentare una struttura ben conservata, offrendo nuove prospettive di studio sul complesso archeologico sommerso.
L'ambiente, riconducibile ad una sala per bagni caldi, si distingue per l'ottimo stato di conservazione. Il pavimento musivo, ancora in posizione originaria, poggia sulle pilae del sistema a suspensurae: piccoli pilastri in laterizio che sostenevano il piano di calpestio, creando un'intercapedine in cui circolava aria calda. Il calore si diffondeva anche attraverso tubuli inseriti nelle pareti, consentendo il riscaldamento uniforme della stanza. La tipologia di struttura corrisponde ad un laconicum, un ambiente simile ad una sauna diffuso nelle terme romane.
Durante lo scavo sono stati recuperati numerosi materiali ceramici, attualmente in fase di studio, che appaiono di particolare interesse per la ricostruzione della storia del sito. Secondo le prime ipotesi, la loro analisi potrà chiarire non solo le tecniche costruttive adottate, ma anche le circostanze che portarono alla distruzione e all'abbandono dell'ambiente. Tra le possibilità allo studio vi è l'identificazione della sala con le terme nella villa di Cicerone, menzionate nelle fonti antiche e localizzate proprio nell'area di Baia.
Il Portus Iulius, oggi sommerso a causa del bradisismo, rappresentava in età romana un importante complesso portuale residenziale. La presenza di ambienti termali così ben conservati conferma la ricchezza architettonica e la complessità degli impianti presenti nella zona, che univano funzioni pubbliche e private.
Gli scavi hanno rivelato, inoltre, tracce di decorazione pittorica sulle pareti dell'ambiente, seppure in stato frammentario. Si tratta di resti cromatici che, nonostante la lunga permanenza sott'acqua, permettono di ipotizzare la presenza originaria di un apparato decorativo elaborato, probabilmente in linea con il gusto dell'epoca per ambienti termali riccamente abbelliti.

Fonte:
finestresullarte.info

domenica 10 agosto 2025

Turchia, scoperto in Anatolia il "cerchio dei bambini perduti"

Turchia, gli scavi italiani in Anatolia Centrale
(Foto: archeomedia.com)

Si è da poco conclusa la diciottesima campagna di scavo della Missione Archeologica Italiana in Anatolia Centrale. Una missione ha restituito scoperte di grande rilievo, su tutte il ritrovamento di resti umani infantili in un contesto che lascia ipotizzare pratiche rituali di epoca ittita.
Il team di archeologi dell'Ateneo pisano, coordinato da Anacleto D'Agostino, professore di Archeologia e Storia dell'Arte dell'Asia occidentale, era composto da studenti e archeologi del Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere, che hanno lavorato nell'ambito di un progetto internazionale a fianco di ricercatori provenienti dall'Università di Koç (Istanbul), Siena, Firenze, Ucl (Londra), Bozok (Yozgat), Sapienza (Roma) e Hacettepe (Ankara).
Le ricerche di questi ultimi mesi hanno permesso di chiarire aspetti finora poco noti relativi alla cosiddetta "struttura circolare" di età ittita, scoperta nel 2021, contribuendo a definirne la funzione e il contesto d'uso. Al tempo stesso, le indagini hanno restituito elementi preziosi per comprendere lo sviluppo dell'insediamento a partire dall'Età del Ferro, offrendo nuove chiavi di lettura dei cambiamenti che accompagnano l'evoluzione delle strutture sociali e politiche. La struttura circolare è stata ribattezzata "il cerchio dei bambini perduti".
I ritrovamenti più significativi riguardano i resti di 7 infanti in stretta connessione con la "struttura circolare", un'enigmatica architettura in pietra che già in anni recenti aveva attirato l'attenzione degli studiosi per la sua possibile funzione cultuale. Le ossa non sono deposte in tombe vere e proprie, ma associate a frammenti ceramici, cenere e resti di animali: un contesto tanto misterioso quanto prezioso. Le fonti ittite non forniscono indicazioni chiare sui rituali riservati ai bambini deceduti, ma i ritrovamenti di Usakli rafforzano l'ipotesi che si trattasse di un'area destinata alla loro deposizione, così come accadeva, ad esempio, nel caso dei "tofet" delle città fenicie e puniche.
Particolarmente rilevante è il ritrovamento del dente di un infante, sia per la possibilità di ottenere una datazione assoluta, sia perché, grazie al suo stato di conservazione e al contesto stratigrafico preciso, potrà fornire, attraverso le analisi del Dna, dati fondamentali sulla composizione biologica delle genti che abitavano il sito nel periodo ittita. Gli studi sono in corso presso il laboratorio Human-G dell'Università Hacettepe di Ankara.
Il contesto dei ritrovamenti si colloca nell'Area F, dove lo scavo ha rivelato nuovi muri riferibili a una fase tarda dell'occupazione ittita nell'Età del Bronzo, tra il XVII ed il XII secolo a.C.. Le murature rispettano la presenza della "struttura circolare" suggerendone una continuità d'uso e una funzione riconosciuta nel corso del tempo. Sul lato orientale, le stratificazioni dei lastricati indicano una lunga frequentazione connessa, forse, ad un ambito cultuale.
Grazie alle nuove evidenze, si fa più concreta l'ipotesi che la struttura avesse un ruolo centrale nella definizione dello spazio sacro dell'insediamento, forse in rapporto con il culto del dio della tempesta, divinità principale della città ittita di Zippalanda, che molti studiosi tendono oggi ad identificare con Usakli Hoyuk.
Oltre all'Area F, la campagna 2025 ha interessato l'acropoli, dove per la prima volta è stato possibile ricostruire una sequenza di abitazioni e spazi aperti compresi tra l'Età del Ferro e il periodo ellenistico. In un saggio esplorativo, a quattro metri di profondità, è emerso anche un deposito di distruzione con pietre bruciate e ceneri, databile alla media Età del Ferro, che potrà offrire nuove informazioni su un periodo ancora poco conosciuto della regione. La sequenza di pavimenti lastricati e punti fuoco, oltre al ritrovamento di un braciere in pietra, suggeriscono una continuità funzionale dell'area, mentre l'assenza di tracce di epoca medioevale, documentate invece nella città bassa, ne conferma l'abbandono in età posteriore. Un ulteriore fronte di ricerca ha riguardato l'Area G, dove continua lo studio della necropoli medioevali. Le indagini genetiche su una famiglia sepolta stanno restituendo informazioni interessanti sul popolamento medioevale dell'altopiano anatolico dopo la battaglia di Manzinkert (1071 d.C.).
In Area F, una fossa di epoca tarda contenente resti interi di vari animali - tra i quali cavalli, asini, bovini, caprovini ed una lepre - potrebbe testimoniare pratiche collettive o cerimoniali. Le analisi sulle ceramiche, intanto, proseguono anche attraverso sperimentazioni relative all'archeologia del cibo.

Fonte:
archeomedia.net

Pompei dopo il 79 d.C.

Pompei, granai del tempio di Venere con evidenti
tracce di insediamento post 79 d.C.
(Foto: Pompei, parco archeologico)

Dopo la catastrofica eruzione del Vesuvio del 79 d.C., che seppellì Pompei sotto metri di cenere e lapilli, la narrazione storica ha spesso considerato la città come definitivamente morta. Tuttavia, recenti scavi nell'Insula Meridionalis, parte meridionale dell'area archeologica, stanno cambiando radicalmente questa visione: Pompei fu rioccupata e la vita continuò, anche se in forme nuove e profondamente trasformate.
Subito dopo l'eruzione, alcuni sopravvissuti ritornarono tra le rovine della città. A loro si aggiunsero, con ogni probabilità, persone provenienti da altre zone, senza fissa dimora o in cerca di fortuna. Pompei, pur devastata, rappresentava un'occasione: offriva rifugi tra gli edifici semisepolti, oggetti di valore ancora nascosti sotto le macerie e nel tempo tornò ad essere un luogo vivibile, grazie al graduale ripristino della vegetazione e dell'ambiente naturale.
Le nuove indagini archeologiche hanno fatto emergere testimonianze materiali di questa fase dimenticata della storia pompeiana. Si tratta di focolari, forni, piccoli mulini: elementi che indicano una vita quotidiana semplice e disorganizzata, sviluppatasi tra i piani superiori degli edifici sopravvissuti all'eruzione. Ciò che un tempo era il pianterreno divenne ora seminterrato o cantina, mentre i livelli superiori furono adattati come nuovi spazi abitativi. Quella che un tempo era una città fiorente divenne così una sorta di insediamento spontaneo, fragile e privo delle infrastrutture proprie di una vera città romana.
Il quadro che emerge è quello di un accampamento permanente, un agglomerato umano che resistette per secoli, fino al V secolo d.C., quando una nuova e forse definitiva crisi - forse l'eruzione di Pollena - portò all'abbandono totale dell'area.
L'imperatore Tito inviò due ex consoli, i curatores Campaniae restituendae, con il compito di amministrare i beni degli scomparsi senza eredi e promuovere una rifondazione di Pompei ed Ercolano. Tuttavia il progetto non ebbe successo. Pompei non tornò mai più ad essere un centro vitale, ma restò un luogo di sopravvivenza ai margini del sistema romano.
Il dato più significativo che emerge dagli scavi è anche di tipo storiografico e culturale: per secoli gli scavi archeologici hanno trascurato o addirittura cancellato intenzionalmente le tracce di questa fase post-eruttiva. L'entusiasmo degli archeologi e del pubblico era tutto concentrato sulla "Pompei del 79", con i suoi affreschi, arredi e strade perfettamente conservati. In questo contesto, le testimonianze della rioccupazione post-disastro venivano considerate scomode, disturbanti o semplicemente poco rilevanti e, quindi, ignorate.
Come ha osservato Gabriel Zuchtriegel, direttore del Parco Archeologico di Pompei e co-autore della pubblicazione sui nuovi ritrovamenti, la Pompei post-79 è stata letteralmente rimossa dalla memoria storica. Eppure questa "seconda vita" della città racconta molto delle capacità di resilienza umana, della precarietà dell'esistenza e delle dinamiche sociali che seguono una grande tragedia.
Quella che oggi riemerge è un'immagine diversa da quella iconica e cristallizzata di Pompei: non più la città elegante e fiorente fermata nel tempo, ma un luogo di sopravvivenza, trasformazione e marginalità. Un insediamento che, pur nelle difficoltà, rappresenta la continuazione della vita.

Fonte:
mediterraneoantico.it

Ritrovata la città perduta dei Maya ribelli

Chiapas, scoperta un'ultima città, forse è Sak-Bahlàn
(Foto: Josuhé Lozada, CINAH Chiapas)

Dopo più di tre secoli dalla sua scomparsa, Sak-Bahlàn, l'ultima città nota dei lacandoni-ch'olti'es (antica etnia della civiltà maya), potrebbe essere stata finalmente localizzata. Il sito archeologico individuato nella Riserva della Biosfera di Montes Azules, in Chiapas (Messico meridionale), è ritenuto da un'équipe internazionale di studiosi, la possibile terra del giaguaro bianco, l'ultimo bastione dei maya ribelli del sud del Messico.
"Ho preso dati dalla cronaca del frate De Rivas del 1698; per esempio, racconta che, quell'anno lui ed una truppa di soldati partirono da Nostra Signora dei Dolori (ex Sak-Bahlàn) e camminarono quattro giorni fino al fiume Lacantùn. - spiega il ricercatore Josuhé Lozada Toledo, del Centro INAH Chiapas, che ha guidato le operazioni di individuazione. - Navigarono per due giorni e lasciarono le loro canoe per poi camminare fino al lago Petén Itzà, in Guatemala. Da quei luoghi menzionati, che avevo georeferenziati, ho fatto una conversione dei quattro giorni, da qualche punto del fiume Lacantùn a Sak-Bahlàn. Mettendo tutte queste variabili sono stato in grado di fare la proposta sulla mappa ed ottenere delle possibili, approssimative localizzazioni del sito di Sak-Bahlàn".
Lozada ha elaborato un complesso sistema di localizzazione, partendo da fonti storiche e da una serie di dati geospaziali. Utilizzando un software ha sovrapposto diversi livelli informativi, includendo l'altimetria, la vegetazione, la presenza di corpi idrici e le rotte preispaniche di comunicazione, tenendo conto persino del peso medio trasportato per persona. Un approccio che ha permesso di individuare un'area compatibile con le descrizioni seicentesche di Sak-Bahlàn: una pianura racchiusa da un'ansa del fiume Lacantùn, come riportato nella lettera del frate Diego de Rivas nel 1698.
L'esistenza dell'antica città è documentata negli archivi coloniali. Fu avvistata per la prima volta dal missionario Pedro de la Concepciòn nello stesso anno, durante le campagne di sottomissione degli ultimi gruppi Maya indipendenti. Dopo la sua conquista, l'insediamento venne ribattezzato Nostra Signora dei Dolori, ma fu abbandonato già nel 1721, inghiottito dalla fitta giungla del Chiapas. I lacandoni-ch'olti'es vi resistettero per oltre un secolo, a partire dal 1586, anno della caduta della loro capitale Lacam-Tùn, conosciuta anche come Gran Penòn.
In verità il sito si era già rivelato sfuggente in passato. Nel 1999, una spedizione organizzata dall'ONG Conservaciòn Internacional, alla quale prese parte anche lo storico Jan de Vos, non riuscì a localizzarlo. De Vos descrisse le campagne spagnole come un processo di etnocidio che cancellò la cultura lacandona.
Nel 1769 il sindaco di Suchitepéquez, in Guatemala, avviò una ricerca per rintracciare il villaggio scomparso di Dolores, nome coloniale assegnato alla città ribelle. L'indagine lo condusse fino ad un quartiere abbandonato di Santa Caterina Retalhuleu, dove individuò gli ultimi tre superstiti della tribù, un tempo temuta dagli indigeni cristiani e considerata una minaccia costante dalle autorità spagnole.

Fonte:
finestresullarte.info

venerdì 8 agosto 2025

Gerusalemme, trovata una rara moneta bronzea degli anni della rivolta

Gerusalemme, la moneta ritrovata
(Foto: finestresullarte.info)

Una rara moneta in bronzo, risalente ad oltre 1950 anni fa, è stata recentemente rinvenuta durante gli scavi archeologici in corso nel Giardino Archeologico di Gerusalemme - Davidson Center. Il reperto, eccezionalmente raro, risale al quarto anno della Grande Rivolta ebraica contro l'impero romano, il 69 d.C., esattamente un anno prima della distruzione del Secondo Tempio, avvenuta nel 70.
A rendere ancora più significativo il ritrovamento è l'iscrizione incisa in antico alfabeto ebraico sul recto della moneta: "per la redenzione di Sion". Un formula potente, sintesi del sentimento collettivo del popolo ebraico in quegli anni drammatici, quando la ribellione contro il dominio romano aveva ormai raggiunto il suo culmine e il destino della città santa si faceva sempre più incerto.
Il ritrovamento è avvenuto nei pressi dell'angolo sudoccidentale del Monte del Tempio, un'area particolarmente sensibile dal punto di vista archeologico e religioso, già teatro in passato di importanti scoperte. L'intervento rientra nella sesta campagna di scavi condotta per conto dell'Autorità Israeliana per le Antichità, in collaborazione con la Città di David e la Società per la Ricostruzione e lo Sviluppo del Quartiere Ebraico.
Si tratta di un rinvenimento che conferma il controllo esercitato dai ribelli ebrei sulla città fino alle fasi finali del conflitto. La possibilità di coniare moneta propria, in un periodo di forte tensione bellica e politica, indica la presenza di strutture organizzate e di una leadership determinata a mantenere vive le istituzioni, anche simboliche, di una nazione sotto assedio.
Yaniv David Levy, ricercatore e curatore del dipartimento numismatico dell'Autorità Israeliana per le Antichità, spiega: "La moneta è in bronzo e in buone condizioni. Sul dritto si vede un calice e, attorno, la scritta in antico ebraico 'LeGe 'ulat Zion' (Per la redenzione di Sion). Sul retro sono raffigurati un lulav (ramo di palma utilizzato durante la festa di Sukkot) e due etrog (cedri). Il retro reca l'iscrizione 'Anno Quattro' che indica il quarto anno dalla rivolta e ci permette di datare la moneta tra il mese ebraico di Nissan (marzo-aprile) del 69 d.C. ed il mese di Adar (febbraio-marzo) del 70. Queste monete si distinguono da quelle degli anni precedenti per dimensioni e peso maggiori e per per la sostituzione dell'iscrizione 'Per la Libertà (Herut) di Sion con 'Per la redenzione di Sion'".
Secondo gli studiosi, le monete del quarto anno furono probabilmente coniate a Gerusalemme sotto la guida di Shimon Bar Giora, uno dei principali comandanti della fase finale della rivolta. Sono considerati relativamente rari, a causa delle difficoltà logistiche e produttive dei ribelli verso la fine del conflitto.

Fonte:
ilgiornaledellarte.info

domenica 3 agosto 2025

Spagna, trovate tracce di un'antica sinagoga

Spagna, tegola proveniente da Castulo con la
raffigurazione di una menorah
(Foto: Bautista Ceprian)

Gli archeologi che stanno scavando nell'antico insediamento romano di Castulo, nel sud della Spagna, hanno identificato le tracce di un edificio che si ritiene possa essere stato, in passato, una sinagoga.
Alcune lampade ad olio frantumate potrebbe, infatti, far luce su una piccola comunità ebraica scomparsa da tempo, che viveva nel sud della Spagna nella tarda età romana.
Gli archeologi hanno scavato la città ibero-romana di Castulo, le cui rovine si trovano vicino all'attuale città andalusa di Linares e, vicino al sito di quella che i ricercatori avevano un tempo ipotizzato essere una basilica cristiana del IV o V secolo d.C., sono stati rinvenuti i frammenti di tre lampade ad olio e di una tegola che raffigura una menorah a cinque bracci (scavi del 2012-2013), oltre al coperchio di un vaso inciso con caratteri ebraici. Gli esperti si sono divisi sul fatto che l'incisione riporti le parole "luce del perdono" o "Canto di Davide", ma sicuramente questo frammento indica la presenza di una popolazione ebraica precedentemente sconosciuta nella città.
Quando i ricercatori hanno riconsiderato l'identificazione della struttura vicina come luogo di culto paleocristiano, hanno scoperto che molte caratteristiche dell'edificio corrispondevano alla disposizione delle sinagoghe dell'epoca ed hanno notato che questo edificio si trovava vicino alle rovine di un balneum romano. Gli archeologi dubitano che i cristiani avrebbero autorizzato la costruzione di un luogo di culto così vicino ad una struttura deputata a pratiche pagane. Questa nuova identificazione è supportata dall'assenza di materiali cristiani nel sito, combinata con l'assenza di prove di sepolture o reliquie religiose, quali normalmente sono presenti nelle chiese cristiane dell'epoca.
Inoltre, come sostengono i ricercatori, le sinagoghe dell'epoca avevano una forma più quadrata rispetto alle basiliche cristiane, poiché nel culto ebraico di solito c'è una bimah centrale (una piattaforma rialzata), attorno alla quale si siedono i fedeli. In una chiesa, invece, il sacerdote esegue i rituali nell'abside.
Il balneum romano era già stato chiuso alla fine del IV - inizio del V secolo d.C. Gli archeologi sostengono che la posizione della sinagoga, così vicina ad un edificio chiaramente pagano, abbia aiutato la gerarchia ecclesiastica nei suoi sforzi di confondere l'ebraismo con pratiche empie.
Se le teorie dei ricercatori dovessero essere confermate, la sinagoga di Castulo sarebbe tra i più antichi templi ebraici della penisola iberica. Il problema resta la carenza di conferme storiche scritte. Comunque sia, resta il fatto che a Castulo siano state rinvenute le prove di quella che sembrerebbe essere una piccola comunità ebraica che conviveva pacificamente con la vicina comunità cristiana.

Fonte:
theguardian.com

"Le terme romane sono state l'ultimo luogo pagano sopravvissuto in città." Ha affermato l'archeologo Bautista Ceprian.



Egitto, riemergono i resti di un'antica città in un'oasi

Egitto, i resti della città copta dell'oasi di Ain al-Kharab
(Foto: Ministero del Turismo e degli Archivi)

Una nuova scoperta archeologica fa luce sulle prime fasi della diffusione del cristianesimo in Egitto. La missione del Consiglio Supremo delle Antichità egiziano, che opera nella regione di Ain al-Kharab, parte dell'area dell'oasi copta e islamica all'aperto nella Nuova Valle, ha riportato alla luce i resti di quella che fu la principale città residenziale dell'oasi all'inizio dell'epoca copta. Il sito documenta il passaggio dal paganesimo al cristianesimo, un periodo cruciale nella storia religiosa e cultura dell'Egitto.
Lo scavo ha permesso di rinvenire edifici residenziali, chiese e sepolture. Di particolare rilievo è il ritrovamento di un affresco raffigurante Gesù Cristo nell'atto di guarire un malato. Un'immagine che, secondo il Consiglio Supremo delle Antichità, assume valore documentario che contribuisce a delineare il profilo spirituale ed iconografico delle prime comunità cristiane dell'area.
Secondo Mohamed Ismail Khaled, Segretario Generale del Consiglio Supremo di Archeologia, il ritrovamento segna una tappa fondamentale nella conoscenza dell'inizio dell'epoca copta in Egitto. La missione ha identificato i resti di un'intera città, composta da abitazioni costruite in mattoni crudi, alcune delle quali conservano ancora le pareti rivestite di piastrelle. Tra gli spazi individuati figurano aree di servizio dotate di forni domestici, una serie di canalizzazioni in mattoni e grandi contenitori ceramici incassati nel terreno, utilizzati per la conservazione di grano e derrate alimentare. Il sito ha restituito anche numerosi manufatti tra i quali figurano frammenti di ceramica, vetro, pietra ed ostraka.
Tra le scoperte più importanti figurano i resti di due chiese. La prima è stata realizzata in stile basilicale con mattoni crudi ed è caratterizzata dalla sua ampiezza. Gli archeologi hanno rinvenuto le fondamenta in pietra ed identificato una grande navata centrale affiancata da due navate laterali, separate da tre colonne quadrate su ciascun lato. A sud dell'edificio sacro si estende una zona attribuita a strutture di servizio.
Il secondo edificio religioso, a pianta rettangolare e di dimensioni minori, è circondato dai resti di sette colonne perimetrali. Alcune delle pareti interne conservano iscrizioni in lingua copta, elemento che contribuisce ad attribuire la struttura al primo periodo cristiano. Sul lato occidentale sono emersi i resti di edifici funzionali alla vita del complesso ecclesiastico. Alcuni degli edifici risalgono al periodo romano ma risultano riutilizzati successivamente in epoca copta ed anche in epoca islamica.

Fonte:
finestresullarte.info

Soriano nel Cimino, ritrovato un edificio ecclesiastico altomedioevale

Soriano nel Cimino, vista di uno degli ambienti del
Castello di Corviano (Foto: ilgiornaledellarte.com)

Nel corso dei lavori relativi alla campagna di scavo 2025 al Castello di Corviano, nel comune di Soriano nel Cimino, sono stati aperti due saggi di scavo. Il primo all'interno della rocca, che ha permesso il ritrovamento di un edificio ecclesiastico di età altomedioevale circondato da un cimitero con tombe a fossa. Nell'aula è stato identificato un fonte battesimale e sono stati recuperati frammenti di arredi liturgici tra i quali resti di un ciborio ed una colonna con capitello a foglie. Il secondo saggio, aperto lungo il perimetro fortificato, ha permesso la lettura della complessità architettonica della struttura difensiva, sviluppata in più fasi tra l'alto e il basso medioevo.
Al momento alcuni reperti sono in fase di studio nei laboratori dell'Università della Tuscia a Viterbo, dove si stanno effettuando le operazioni di pulitura, siglatura e catalogazione. I dati raccolti gettano nuova luce sulla vita religiosa e insediativa di Corviano, attiva almeno fino alla fine del XIII - inizi del XIV secolo, epoca in cui il sito venne abbandonato.

Fonti:
finestresullarte.info
ilgiornaledellarte.com

Barberino Tavernelle, emerge una quarta sepoltura nel sito della Pieve di San Pietro in Bossolo

Barberino Tavernelle, la sepoltura rinvenuta nella Pieve di
San Pietro in Bossolo (Foto: ilgiornaledellarte.com)

Nel cantiere archeologico della Pieve di San Pietro in Bossolo, situata nel comune di Barberino Tavernelle, in provincia di Firenze, è stata rinvenuta un'antica sepoltura che potrebbe essere, come ha commentato il sindaco David Baroncelli, "fra le tracce di vita più antiche del sito".
L'etimologia del toponimo "in Bossolo" è riferita all'espressione "in buxula", che era il nome con cui, nell'esercito romano, si definiva la cassa imperiale. Il luogo in cui sorge la chiesa era abitato sin dal V secolo, circostanza dimostrata dal ritrovamento, nel XIX secolo, di un'iscrizione risalente al 424.
"Abbiamo ampliato lo scavo verso sud, intercettando nuove strutture. - Ha detto l'archeologa Chiara Marcotulli, direttrice dello scavo e presidente dei Laboratori archeologici San Gallo. - Sempre riferibili alle fasi più recenti del sito, che sono bassomedioevali, e stiamo procedendo in profondità nella zona centrosettentrionale. Abbiamo trovato una serie di strutture murarie che testimoniano il tentativo di fondare ben due castelli, probabilmente mai portati a termine, nell'XI e nel XIII secolo, in accordo con quanto tramandato dalle fonti scritte. Allo stesso tempo, i livelli medioevali si trovano sopra le fasi di abbandono di edifici di epoca precedente sui quali stiamo scavando. Le fasi di abbandono sono databili, grazie ai reperti ceramici, fra VI ed VIII secolo d.C."
Alcuni elementi, secondo l'archeologa, quali particolari tipi di laterizi, frammenti di pavimentazioni in cocciopesto, reperti e un frammento marmoreo, potrebbero suggerire una fase di vita di epoca tardo antica (dal IV secolo) ma, forse, anche romana.
Nella fase di passaggio fra l'epoca antica e quella medioevale la zona venne adibita a cimitero. Gli scavi hanno, infatti, restituito recentemente, oltre a quella rinvenuta ultimamente, tre sepolture, tutte prive di corredo.

Fonte:
ilgiornaledellarte.com
 

Francia, scoperta una cattedrale ed un battistero paleocristiani

Francia, scoperto un battistero paleocristiano a Vence
(Foto: F. Blanc Garidel)

A Vence, nel dipartimento delle Alpi Marittime in Provenza, gli scavi archeologici iniziati quest'anno continuano a riservare sorprese. Dopo l'individuazione delle strutture di una cattedrale paleocristiana del V secolo, gli archeologi hanno recentemente riportato alla luce un battistero risalente allo stesso periodo, situato all'esterno dell'edificio di culto.
Le indagini archeologiche sono condotte dal Servizio Archeologico della Metropoli Nizza Costa Azzurra, nell'ambito di alcuni lavori relativi all'edificazione di centri commerciali nel centro della città.
Le strutture emerse hanno un notevole valore dal punto di vista architettonico e sono in buono stato di conservazione. Il battistero, rinvenuto a pochi metri dalla cattedrale paleocristiana, presenta una vasca battesimale destinata ai riti d'iniziazione cristiana.
Accanto al battistero sono state rinvenute una trentina di sepolture, in parte all'interno della cattedrale, che erano destinate ai defunti di alto rango, probabilmente dignitari ecclesiastici oppure nobili laici. Tra i resti ossei sono stati identificati quelli di tre bambini sepolti anch'essi in prossimità dell'edificio di culto.
Si attendono, ora, i risultati delle analisi isotopiche in corso che potranno stabilire con maggior precisione l'età, il sesso e, forse, anche alcuni tratti biografici dei defunti.
La struttura originaria venne abbattuta in occasione della cattedrale attuale, risalente al IX secolo. All'interno dell'antica navata sono stati individuati due stampi per campane risalenti ad una fase successiva all'abbandono dell'edificio paleocristiano.

Fonte:
finestresullarte.info

sabato 2 agosto 2025

Sardegna, nuove Domus de Janas emergono dal terreno

Sardegna, le Domus de Janas appena scoperte
(Foto: finestresullarte.info)

In Sardegna sono state scoperte, all'interno del Complesso archeologico di Sant'Andrea Priu, nel territorio di Bonorva, tre nuove Domus de Janas. Con queste tombe sale a venti il numero totale degli ipogei finora conosciuti, Gli scavi si sono concentrati su un pianoro che si estende vicino alla roccia conosciuta come il Campanile o Toro.
L'area compresa tra la Tomba XII e la Tomba XIII, nota anche come Tomba del Focolare, mostrava segni compatibili con la presenza di un altro sepolcro. Le indagini archeologiche, pertanto, hanno permesso di individuare e portare alla luce tre nuove tombe: la XVIII, la XIX e la XX, disposte a ventaglio rispetto alla Tomba del Focolare.
La Tomba XVIII, la prima ad emergere durante lo scavo, presenta un dromos. Tra i reperti rinvenuti vi sono picconi, un'accetta in pietra verde, una fusaiola e frammenti di ossidiana. La struttura è composta da una cella quadrangolare centrale, con un focolare scolpito a rilievo, e da qui si accede alla cella principale rettangolare, alla cui sinistra compare un vano più piccolo.
La Tomba XIX, di dimensioni più ridotte, presenta, esternamente, un piccolo padiglione mentre l'interno è articolato in una cella rettangolare ed una seconda cella più piccola di forma tondeggiante. La più complessa è la Tomba XX, dotata di una cella d'ingresso da cui si dipartono due corridoi laterali, per un totale di sette celle. In una di queste è ancora visibile una fascia decorativa dipinta. Il corredo funerario era composto da oltre 30 manufatti ceramici di epoca romano-imperiale, che le è valso l'appellativo di Tomba dei Vasi Romani.
Questo intervento fa parte di un progetto di scavo più ampio, di restauro e di valorizzazione che interessa i siti di Nuraghe Oes e Nuraghe Santu Antine.

Fonte:
finestresullarte.info

Repubblica Ceca: trovate armi risalenti alla guerra di Troia

Brno, il frammento di armatura risalente alla 
guerra di Troia (Foto: finestresullarte.info)

A Brno, nella Repubblica Ceca, è stato rinvenuto un frammento di un'armatura di 3200 anni fa, epoca nella quale, convenzionalmente , si colloca la guerra di Troia
Il ritrovamento risale al 2023, ma la notizia è stata data solo in questi giorni, dopo gli studi che sono stati effettuati sul reperto. Si tratta di un frammento bronzeo. Le armi in bronzo erano, all'epoca, appannaggio delle élite guerriere e la loro produzione richiedeva una straordinaria maestria. La maggior parte delle armature venivano realizzate con materiali organici deperibili e questa caratteristica rende ancora più rara questa scoperta, che amplia fondamentalmente la nostra comprensione della cultura militare dell'Età del Bronzo in Europa centrale. 
Il frammento è stato rinvenuto con una punta di lancia, una falce e diversi altri frammenti di metallo. Gli oggetti erano stati deliberatamente danneggiati e sepolti insieme, forse come parte di un rituale sacrificale. Tra i reperti figura anche una lamiera piegata che faceva parte di un'armatura. Si tratta del secondo esemplare noto di armatura in bronzo rinvenuto nella Repubblica Ceca.
L'armatura risale a circa 3200 anni fa, allo stesso periodo al quale gli esperti datano le battaglie descritte da Omero nell'Iliade. La produzione di queste armi richiedeva una maestria straordinaria e, pertanto, aveva un prezzo astronomico per le condizioni dell'epoca. Nell'Iliade Diomede afferma che l'armatura costava l'equivalente di nove tori.
All'epoca il territorio moravo era abitato dalla cultura dei Campi d'Urna. Non era una nazione, piuttosto si trattava di gruppi di persone che condividevano usanze e tipi di sepoltura, ceramica, insediamenti e persino armi.

Fonte:
finestresullarte.info

Germania, scoperta una fabbrica di giocattoli medioevali a Friburgo

Friburgo, gli scavi visti dall'alto (Foto: Denkmalpflege Baden-Wurttemberg) Durante gli scavi per la nuova Scuola Superiore di Finanza a...